Tornando tra le montagne ho trovato il nuovo elenco telefonico di Trento. Sulla copertina troneggia quest'immagine. Mi piace molto. Ma non porterà un po' sfiga?
Vi avverto fin d'ora, miei fedeli lettori, che se dovesse ripetersi un inverno come quello dell'anno scorso dovrete sorbirvi decinaia e decinaia di post a carattere meteo-lamentoso. Sappiatelo. Non vorrete mica lasciarmi da sola a pedalare sulla famosa bicicletta?
Immagine di Andrea Pregl.
Al telefono.
Ciccio: "Quando torni mia principessa? Questa dimora è vuota senza di te."
Jane: "Come sei dolce mio cavaliere dall'armatura scintillante. Soffri molto per la mia assenza?"
Ciccio: "Si, il cuore mi duole e sospiro guardando il tuo ritratto."
Jane: "Ma cosa ti manca di più? Dischiudimi il tuo animo."
Ciccio: "Mi manca tutto. Mi manchi tu. Mi manca... mi manca... mi manca..."
Jane: "Cosa amore mio? Non indugiare. Esprimiti liberamente."
Ciccio: "Mi manca soprattutto il tuo rompermi costantemente le pa##e."
Da quando divido la mia vita con Ciccio mi sento come Beatrice. Anzi no. Come Silvia. Anzi no. Come la fidanzata di Vito Catozzo. Ecco, così.
Anche se una determinata situazione l'ho scelta volontariamente, ciò non mi priva del sacrosanto diritto di lamentarmi. E poi magari io pensavo di andare a fare una semplice scampagnata e mi sono ritrovata sul Passo del Pordoi, sotto la grandine, con le ruote sgonfie ed una carogna di trecento chili sulle spalle.
Se mi confido, mi apro, ti parlo dei miei disagi, il minimo che mi aspetto da te, amico mio, e che tu metta in moto quei quattro neuroni addormentati che hai nella capoccia e ti sforzi di rispondermi con qualcosa di più che un banalissimo modo di dire del cazzo.
Ho voluto la bicicletta, ma non ho mica il sedere incollato al sellino. Quasi quasi ora scendo e te la tiro dietro! Ecco. Ora mi sento meglio.
...in un paesino di montagna.
Costei, tornando a casa di sera, a piedi, da sola, per una strada poco illuminata non avrà paura di essere scippata, aggredita o fatta a pezzi da un pericoloso serial killer. Ma guarderà con preoccupazione ogni ombra ed ogni angolo buio, perché ormai nella sua mente malata e melodrammatica avrà sviluppato il timore di essere aggredita da un orso. E a poco varranno le rassicurazioni di fidanzato e amici che "gli orsi raramente scendono così tanto di quota", che "adesso hanno cibo in abbondanza tra i boschi" e che "alla nostra altitudine fa ancora troppo caldo". Ella avrà comunque paura di incappare in un plantigrado anarchico, ingordo e amante dei climi miti.
* * * * *
A forza di stare tra i monti, Jane non riesce più a guardare con serenità il faccino giallo di Winnie the Pooh, ed anche negli occhioni dolci di Bear, l'Orso nella Grande Casa Blu, le sembra di cogliere un lampo crudele ed omicida.
Si, Jane forse è un tantino paranoica.
Restare sveglia fino alle 2:30 per colpa di un'ulcera bastarda. Strisciare fuori dal letto alle 6:30. Riuscire a mettersi in strada nel traffico impazzito di una giornata di pioggia. Arrivare al lavoro già sfatta.
Avere a che fare con la numerosa e varia umanità che costituisce i donatori di sangue. Dallo scorbutico al lumacone. Dal sessantenne giovane-dentro che vuole donare dritto su un piede solo, al ventenne terrorizzato che esige la presenza della mamma che gli tenga la manina. Dall'esile ragazza che ha scritto in fronte "mi sentirò male entro 2 minuti" alla possente signora con le braccia da camionista e le vene nascoste sotto 10 centimetri di morbidosa ciccia. Questo è il mio habitat naturale, mi ci trovo bene, mi ci muovo con sicurezza: ignoro il maleducato, tengo a bada il provolone, sono inflessibile con il supereroe, coccolo il pauroso, cullo l'acciughina e mi affido all'esperienza e al c#lo per beccare le vene balorde. Sono professionale, efficiente e cordiale.
La mattinata sta per finire, vedo il traguardo, mi rilasso. Ma entra lui. Giovane e gentile. Mi sorride, si siede sulla poltroncina e attende. Io gli chiedo di togliersi la felpa, lui obbedisce. Io preparo le provette e sistemo la sacca sulla bilancia. Per la prima volta guardo il suo braccio. C'è Mussolini. Sopra il braccio. Mussolini. Braccio. Benito. Il ragazzo educato e carino ha il faccione di Mussolini tatuato sull'avambraccio interno. Un tatuaggio enorme, impossibile da ignorare.
Che faccio? Lo prendo a testate? Lo vampirizzo direttamente dalla giugulare? O lo mollo là e me ne torno a dormire?
Niente di tutto ciò. Il mio viso non tradisce nessuna reazione. Nascondo la sorpresa, la stizza ed il rimprovero. Forse sollevo un po' il sopracciglio sinistro, ma per il resto sono una maschera impenetrabile. La mano è ferma e leggera. Prima passo il cotone e poi prendo l'ago. Prima disinfetto il faccione e poi buco l'elmetto. Ho disinfettato il faccione di Mussolini. Ho bucato l'elmetto di Mussolini. In quanti possono dirlo senza paura di smentita?
Mi viene un po' da ridere, ma riesco a trattenermi. Prelievo finito.
Il donatore è contento: non ha sentito niente. Io sono contenta: questo è materiale da post. Benito un po' meno: è dispiaciuto per l'elmetto.
Novembre 2007
Dicembre 2007
Ottobre 2009
La mia testa è piemontese, anzi torinese. A Torino sono nata ed a Torino ho sempre vissuto. Torino è masticare il cicles, svoltare nel controviale e togliere le macchie dai vestiti con la conegrina. Torino è il bicerin alla Consolata e la cioccolata calda da Fiorio. Torino è l'autunno mite con le foglie dorate e l'inverno freddo con la bisa che ti ghiaccia la faccia.
Il mio cuore è siciliano. I miei genitori vengono da Lercara Friddi, in provincia di Palermo. I miei nonni erano di Lercara. I miei bisnonni pure ed i miei trisavoli anche. La Sicilia è NonnoA, che non ho mai conosciuto e che è mancato poco prima che tutta la famiglia si trasferisse al Nord. La Sicilia è l'infanzia di mia madre. La Sicilia è i miei capelli ricci ed i miei fianchi da donna. La Sicilia è la Cuccia mangiata il 13 dicembre. La Sicilia è dire a Ciccio che è "camurruso", perché non esiste nessun'altra parola in italiano altrettanto efficace. La Sicilia è la mia famiglia.
In questi giorni la Sicilia piange ed io con lei.
L'ingresso del digitale terrestre in CasaCole risale all'aprile scorso.
Le SorelleCole recarono in dono un minuscolo, inoffensivo ed elementare decoder, che venne prontamente posizionato accanto al televisore. Ai genitori furono fornite poche e semplici indicazioni per ridurre al minimo le possibilità di errore e rendere poco traumatico l'impatto della novità tecnologica.
Tutto è filato liscio fino a quando PapàCole non si è imbattuto per caso in Rai Sport Più, un canale che per 24 ore al giorno trasmette solo sport, con una particolare predilezione per le discipline più astruse e di nicchia, dalla corsa coi sacchi al tamburello, dal tiro alla fune al torneo di freccette, dal ping pong dell'oratorio alla finale di Briscola di Villa Arzilla. Ormai da qualche mese a questa parte, ogni volta che è a casa, il capo famiglia si piazza davanti alla tv a rivestire i panni di giudice, arbitro, commentatore, telecronista o tifoso a seconda dell'ispirazione del momento.
MammaCole non l'ha presa benissimo. Non ha ancora deciso se chiedere il divorzio o soffocare il coniuge nel sonno. Anche lei si affiderà all'ispirazione del momento.
Ciccio mi ha confidato che, anche quando non sono con lui, mi sente vicina. Non è romantico? No.
Ciccio entra in casa con le scarpe inzaccherate ed una vocina isterica nella sua testa gli ricorda: "Attento al tappeto, sciagurato!" Ciccio si scofana una teglia di lasagne e la stessa vocetta lo rimbrotta: "Vergognati: sei a dieta!" Ciccio schiaccia troppo l'acceleratore e la signorina del Tom Tom acquista improvvisamente un sospetto strascico piemontese: "Ti dispiacerebbe andare un po' più piano? Neeeee"
La cosa più grave non è che il mio fidanzato senta le voci, ma che lui veda in me il suo personale Grillo Parlante. Il personaggio più saccente, scassaballe ed antisesso della letteratura mondiale.