Jane e Ciccio uscendo dal cinema.
"Parliamo un poco del film?"
"No"
"Come no?"
"No"
"Non hai commenti da fare? Non vuoi confrontare le nostre opinioni? Non vuoi estrapolare un'analisi congiunta della pellicola?"
"No. No. No."
"Ma non ti è piaciuto?"
"Assolutamente no."
"Per niente?"
"Per niente."
"Non hai apprezzato la rappresentazione del dramma dell'emarginazione? La sofferenza del perdente che rimane tale sempre e comunque? Lo struggente sentimento di protezione del cugino più grande nei confronti del più piccolo? Il pathos dello scontro finale? La rabbia contro il padre e il dolore per la perdita della madre che si fanno forza distruttiva?"
"Ma che ti hanno messo nei pop corn?"
Che film avranno mai visto Jane e Ciccio?
L'avete capito? Provate a indovinare, avete tempo fino al 17 maggio alle ore 17.
Tra chi avrà dato la risposta esatta verrà estratto un unico vincitore.
Il premio? Un post tutto dedicato al fortunato concorrente. Sì, avete letto bene, "un post dedicato". E, nel caso vi stiate chiedendo "in che senso?", sappiate che me lo sto chiedendo anch'io. Ma qualcosa mi verrà in mente.
In bocca al lupo!
"Parliamo un poco del film?"
"No"
"Come no?"
"No"
"Non hai commenti da fare? Non vuoi confrontare le nostre opinioni? Non vuoi estrapolare un'analisi congiunta della pellicola?"
"No. No. No."
"Ma non ti è piaciuto?"
"Assolutamente no."
"Per niente?"
"Per niente."
"Non hai apprezzato la rappresentazione del dramma dell'emarginazione? La sofferenza del perdente che rimane tale sempre e comunque? Lo struggente sentimento di protezione del cugino più grande nei confronti del più piccolo? Il pathos dello scontro finale? La rabbia contro il padre e il dolore per la perdita della madre che si fanno forza distruttiva?"
"Ma che ti hanno messo nei pop corn?"
Che film avranno mai visto Jane e Ciccio?
L'avete capito? Provate a indovinare, avete tempo fino al 17 maggio alle ore 17.
Tra chi avrà dato la risposta esatta verrà estratto un unico vincitore.
Il premio? Un post tutto dedicato al fortunato concorrente. Sì, avete letto bene, "un post dedicato". E, nel caso vi stiate chiedendo "in che senso?", sappiate che me lo sto chiedendo anch'io. Ma qualcosa mi verrà in mente.
In bocca al lupo!
Avere i capelli ricci è una missione.
Non tutte le donne se li possono permettere. Non è un caso che le permanenti chimiche siano spesso un fallimento, o che i bigodini diano risultati deludenti. Se uno i ricci non ce li ha non se li può dare. Ricce si nasce, non si diventa. E, comunque, non tutte le ricce naturali hanno la forza d’animo, lo charme e la personalità necessari per poter gestire una testa anarchica.
Avere i capelli ricci è una missione, una vocazione e, a tratti, una condanna.
Quand’ero piccola mia madre, stritolata tra il lavoro fuori casa e l’animo da casalinga disperata, per ridurre i tempi di gestione della mia criniera non faceva altro che tagliare. Tagliare senza pietà. Regalandomi un’acconciatura in bilico tra un marine e un impiegato del catasto. Regalandomi così anche un bonus per una manciata di anni di analisi.
“Ma che bel bambino!”, dicevano al mercato. “Sono una femmina!”, ringhiavo io.
“Avete fatto anche il maschietto?”, chiedevano i lontani parenti incontrati per caso. “Sono una femmina”, urlavo io.
“Visto che hai i capelli corti ti faccio fare Don Rodrigo”, mi diceva la maestra Egle. “Va bene, ma voglio pure un cappello con la piuma”, rispondevo io cercando di ricavare qualcosa di buono dalla mia incresciosa situazione tricotica.
Di notte io non sognavo svolazzanti mini poni color pastello o vasche piene di orsetti gommosi. Io sognavo di avere i capelli lunghi. Perché quando hai una sorella molto più grande di te e molto gnocca, ti senti cozza già di tuo, senza bisogno che ogni tre per due si metta in dubbio addirittura la tua appartenenza al genere femminile.
Dovetti aspettare fino alle medie per avere carta bianca e totale controllo della mia chioma. “Mi farò crescere i capelli”, annunciai al mondo. “Cresceranno in larghezza e non in lunghezza”, sentenziò mia madre.
I miei ricci crebbero, crebbero e crebbero. Prima in larghezza. Ma poi anche in lunghezza.
I miei ricci con il tempo sono diventati medi, lunghi, lunghissimi, corti, cortissimi e poi di nuovo medi, lunghi, lunghissimi, corti e cortissimi. I miei ricci sono diventati rossi, biondi, biondissimi, neri, castani e poi di nuovo rossi, biondi, biondissimi, neri, castani. I miei ricci hanno provato spuma, gel e centinaia di tipi diversi di balsamo.
I miei ricci hanno espresso tutte le proprie potenzialità.
I miei ricci esprimono ancora tutte le proprie potenzialità.
Avere i capelli ricci è una missione.
Non tutte le donne se li possono permettere.
Io sì.
Non tutte le donne se li possono permettere. Non è un caso che le permanenti chimiche siano spesso un fallimento, o che i bigodini diano risultati deludenti. Se uno i ricci non ce li ha non se li può dare. Ricce si nasce, non si diventa. E, comunque, non tutte le ricce naturali hanno la forza d’animo, lo charme e la personalità necessari per poter gestire una testa anarchica.
Avere i capelli ricci è una missione, una vocazione e, a tratti, una condanna.
Quand’ero piccola mia madre, stritolata tra il lavoro fuori casa e l’animo da casalinga disperata, per ridurre i tempi di gestione della mia criniera non faceva altro che tagliare. Tagliare senza pietà. Regalandomi un’acconciatura in bilico tra un marine e un impiegato del catasto. Regalandomi così anche un bonus per una manciata di anni di analisi.
“Ma che bel bambino!”, dicevano al mercato. “Sono una femmina!”, ringhiavo io.
“Avete fatto anche il maschietto?”, chiedevano i lontani parenti incontrati per caso. “Sono una femmina”, urlavo io.
“Visto che hai i capelli corti ti faccio fare Don Rodrigo”, mi diceva la maestra Egle. “Va bene, ma voglio pure un cappello con la piuma”, rispondevo io cercando di ricavare qualcosa di buono dalla mia incresciosa situazione tricotica.
Di notte io non sognavo svolazzanti mini poni color pastello o vasche piene di orsetti gommosi. Io sognavo di avere i capelli lunghi. Perché quando hai una sorella molto più grande di te e molto gnocca, ti senti cozza già di tuo, senza bisogno che ogni tre per due si metta in dubbio addirittura la tua appartenenza al genere femminile.
Dovetti aspettare fino alle medie per avere carta bianca e totale controllo della mia chioma. “Mi farò crescere i capelli”, annunciai al mondo. “Cresceranno in larghezza e non in lunghezza”, sentenziò mia madre.
I miei ricci crebbero, crebbero e crebbero. Prima in larghezza. Ma poi anche in lunghezza.
I miei ricci con il tempo sono diventati medi, lunghi, lunghissimi, corti, cortissimi e poi di nuovo medi, lunghi, lunghissimi, corti e cortissimi. I miei ricci sono diventati rossi, biondi, biondissimi, neri, castani e poi di nuovo rossi, biondi, biondissimi, neri, castani. I miei ricci hanno provato spuma, gel e centinaia di tipi diversi di balsamo.
I miei ricci hanno espresso tutte le proprie potenzialità.
I miei ricci esprimono ancora tutte le proprie potenzialità.
Avere i capelli ricci è una missione.
Non tutte le donne se li possono permettere.
Io sì.
Per fare certe scoperte uno pensa di dover affidarsi a Giacobbo, Daniele Bossari oppure a Fiammetta Cicogna. Per venire a conoscenza di certi misteri della natura uno pensa di aver bisogno di una laurea in scienze naturali, un master in biologia applicata, o perlomeno un abbonamento a Focus Junior. Per poter giungere a un tale livello di scienza e conoscenza dell’essere umano e delle sue intrinseche capacità uno pensa di dover viaggiare in lungo e in largo per tutto il globo terracqueo, frequentare le tribù della Papuasia, o essere eletto vicesindaco di una comunità Inuit.
E invece no! Certe cose si finisce con l’impararle in posti, tempi e luoghi tra i più impensati.
Ad esempio, se non fosse stato per un pisolino pomeridiano, cuore a cuore con mio nipote, non avrei mai saputo che un grazioso esemplare di homino sapiens sapiens, alto 90 cm e la cui massa si aggira intorno ai 14 kg, fosse in grado di russare con la potenza e il talento di un ippopotamo adulto con le adenoidi ingrossate.
N.d.A. Passando dalle scienze alle lettere, vi segnalo che la favola “Il Cavaliere che divenne Principe”, che la maggior parte di voi già conosce, ora è disponibile anche sulle pagine di Ti racconto una Fiaba. Un sito che raccoglie racconti classici, meno classici, e piccole opere di sconosciuti. Un progetto per far sognare grandi e piccini, a cui possono partecipare tutti, proponendo anche una microfavola di soli 140 caratteri.
E invece no! Certe cose si finisce con l’impararle in posti, tempi e luoghi tra i più impensati.
Ad esempio, se non fosse stato per un pisolino pomeridiano, cuore a cuore con mio nipote, non avrei mai saputo che un grazioso esemplare di homino sapiens sapiens, alto 90 cm e la cui massa si aggira intorno ai 14 kg, fosse in grado di russare con la potenza e il talento di un ippopotamo adulto con le adenoidi ingrossate.
N.d.A. Passando dalle scienze alle lettere, vi segnalo che la favola “Il Cavaliere che divenne Principe”, che la maggior parte di voi già conosce, ora è disponibile anche sulle pagine di Ti racconto una Fiaba. Un sito che raccoglie racconti classici, meno classici, e piccole opere di sconosciuti. Un progetto per far sognare grandi e piccini, a cui possono partecipare tutti, proponendo anche una microfavola di soli 140 caratteri.
Nel futuro possibile, seppur improbabile, mi affitterò un bilocale a pochi soldi, attraverso chissà quali arzigogolati passaparola. Avrò una cucina piccola piccola con gli sportelli dipinti di blu e una finestra aperta verso l'orizzonte.
Nel futuro possibile, seppur improbabile, sarà appena cominciata la primavera. Il tempo sarà bizzarro e poco affidabile. Sopra i vestitini leggeri indosserò lunghe giacche di lana che mi faranno sentire protetta e al sicuro.
Nel futuro possibile, seppur improbabile, ogni tanto scenderò al porto per cenare e mi siederò ad un tavolo con la tovaglia a quadretti. Dopo qualche giorno la padrona del locale, una donna bella e in carne, occuperà il posto accanto al mio, mi racconterà la sua storia ed ascolterà la mia.
Nel futuro possibile, seppur improbabile, io sarò la straniera che scrive e ogni tanto va a trovare le tartarughe. Mi ritaglierò un ruolo, una parte, un personaggio da interpretare sul palcoscenico rivolto verso il mare.
Nel futuro possibile, seppur improbabile, un giorno da quel traghetto scenderà anche lui, mi sorriderà e dirà soltanto "Tu sei tutta matta". Con sé avrà una valigia piena di magliette e senza calzini. Perché, come al solito, li avrà dimenticati.
Un futuro possibile, seppur improbabile, è una boccata d'aria, un piccolo tesoro da custodire, un sogno da nutrire con sorrisi e non sospiri. Perché ciò funzioni è bene che questo futuro non abbia scadenze, che possa realizzarsi domani come fra dieci anni, che possa rappresentare l'inizio di una nuova vita o semplicemente una vacanza dalla vecchia.
Se c'è una cosa che mi ha sempre fatto paura è l'idea di avere tutte le risposte, di non avere più scelte da fare ma solo vie già battute da percorrere. Ed è per questo che ho bisogno del mio futuro possibile, seppur improbabile.
Chi mi ama lo sa e ci convive con la mia stessa leggerezza.
Un piccolo capolavoro.
Una vita. Un amore. In meno di due minuti.
Ho scoperto questo video grazie al blog Voglio sposare Tiziano Ferro. Consigliatissimo.
Una vita. Un amore. In meno di due minuti.
Ho scoperto questo video grazie al blog Voglio sposare Tiziano Ferro. Consigliatissimo.
Ciccio: "Sto leggendo Un italiano in America di Beppe Severgnini"
Jane: "E com'è?"
Ciccio: "Interessante, ma Pancrazia in Berlin è molto più divertente"
Altro che banali dichiarazioni d'amore eterno, questo vale molto ma molto di più.
Jane: "E com'è?"
Ciccio: "Interessante, ma Pancrazia in Berlin è molto più divertente"
Altro che banali dichiarazioni d'amore eterno, questo vale molto ma molto di più.
E' proprio vero che l'arrivo di un bambino cambia la vita.
Cambia la vita dei genitori, dei nonni e persino degli zii.
In particolare cambia la vita delle zie gelose della propria intimità.
Quelle che, per loro natura, sentono il bisogno di chiudersi in bagno a doppia mandata. Sempre, anche se sono sole in casa, anche se la porta è difettosa, anche se, così facendo, più di una volta si sono trovate a dover gestire situazioni imbarazzanti quanto sgradevoli.
Se poi, a questo cambiamento, si aggiunge la sciagura di una serratura rotta, le suddette zie possono ritrovarsi a condurre, loro malgrado, conversazioni che mai avrebbero pensato di dover condurre.
"Ziaaa, dove seiii?"
"Aspetta un attimo e arrivo, tesoro"
"Sei in bagnooo?"
"Aspetta amore, non entrare, ora esco, non entr..."
"Ciao", dice il nipote arrampicandosi sopra il bidet.
"Ciao"
"Fai la cacca?"
"Non potresti uscire un attimino, mio invadente congiunto?"
"No"
"No???"
"No. Io voglio stare con te. Sempre."
Io amo il mio piccolo stalker in erba, ma bisognerà provvedere ad aggiustare quella maledetta serratura. Al più presto. Prima di subito. Ora!
Cambia la vita dei genitori, dei nonni e persino degli zii.
In particolare cambia la vita delle zie gelose della propria intimità.
Quelle che, per loro natura, sentono il bisogno di chiudersi in bagno a doppia mandata. Sempre, anche se sono sole in casa, anche se la porta è difettosa, anche se, così facendo, più di una volta si sono trovate a dover gestire situazioni imbarazzanti quanto sgradevoli.
Se poi, a questo cambiamento, si aggiunge la sciagura di una serratura rotta, le suddette zie possono ritrovarsi a condurre, loro malgrado, conversazioni che mai avrebbero pensato di dover condurre.
"Ziaaa, dove seiii?"
"Aspetta un attimo e arrivo, tesoro"
"Sei in bagnooo?"
"Aspetta amore, non entrare, ora esco, non entr..."
"Ciao", dice il nipote arrampicandosi sopra il bidet.
"Ciao"
"Fai la cacca?"
"Non potresti uscire un attimino, mio invadente congiunto?"
"No"
"No???"
"No. Io voglio stare con te. Sempre."
Io amo il mio piccolo stalker in erba, ma bisognerà provvedere ad aggiustare quella maledetta serratura. Al più presto. Prima di subito. Ora!
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