Un blog porta ad un altro blog che porta ad un altro blog che porta ad un altro blog.
Una persona porta a un'altra persona che porta a un'altra persona che porta a un'altra persona.
Un pensiero porta a un altro pensiero che porta a un altro pensiero che porta a un altro pensiero.
La vita deve essere fatta di scambi, incontri e condivisione.
È con questo spirito che oggi vi propongo il cortometraggio "Motore!". Opera del regista catanese Alessandro Marinaro. Un film del 2010 che ha raccolto numerosi premi e consensi, primo fra tutti il successo a La 25 ora, il prestigioso concorso de La 7.
Una pellicola che tratta dei sogni e del sogno. In particolare del desiderio folle di darsi all'arte, addirittura al cinema! Una pazzia, una colpa, un imbarazzante peccato che possono permettersi solo quegli squilibrati che decidono di non svegliarsi mai.
Una dichiarazione d'amore al cinema, ai suoi maestri e al coraggio del sogno. Perché di coraggio si tratta.
Un film tutto siciliano, nell'idea, nella parola e nei luoghi, ma che finisce, involontariamente o meno, col raccontare una storia italiana e non solo.
Buona visione.
Una persona porta a un'altra persona che porta a un'altra persona che porta a un'altra persona.
Un pensiero porta a un altro pensiero che porta a un altro pensiero che porta a un altro pensiero.
La vita deve essere fatta di scambi, incontri e condivisione.
È con questo spirito che oggi vi propongo il cortometraggio "Motore!". Opera del regista catanese Alessandro Marinaro. Un film del 2010 che ha raccolto numerosi premi e consensi, primo fra tutti il successo a La 25 ora, il prestigioso concorso de La 7.
Una pellicola che tratta dei sogni e del sogno. In particolare del desiderio folle di darsi all'arte, addirittura al cinema! Una pazzia, una colpa, un imbarazzante peccato che possono permettersi solo quegli squilibrati che decidono di non svegliarsi mai.
Una dichiarazione d'amore al cinema, ai suoi maestri e al coraggio del sogno. Perché di coraggio si tratta.
Un film tutto siciliano, nell'idea, nella parola e nei luoghi, ma che finisce, involontariamente o meno, col raccontare una storia italiana e non solo.
Buona visione.
Chi conosce Berlino conosce il Tacheles.
La casa dell'arte che per più di vent'anni ha ospitato il lavoro, il sudore e la passione di artisti provenienti da tutto il mondo.
Il centro sociale sempre aperto a chi voleva esprimersi e a chi aveva solo voglia di curiosare. Ai turisti e agli appassionati. Ai berlinesi e a tutti gli altri.
Il Tacheles è stata un'istituzione della Berlino post muro. Testimonianza di una mentalità aperta alla creatività e all'espressione del proprio essere. Cuore pulsante di una città curiosa ed in continuo movimento.
L'altro ieri la Kunsthaus è stata ufficialmente chiusa. La Polizia ha mandato via tutti. Gli ultimi artisti hanno salutato lo spazio speciale, che per tanto tempo li aveva ospitati, con un'ultima rappresentazione: un'orazione funebre in onore di un posto unico che ormai non c'è più.
L'arte comunque non muore mai. E non smette di parlare alle coscienze ed alle anime. Le opere, le installazioni e le mani che le hanno create troveranno altri luoghi, a Berlino o chissà dove.
Ma questo mondo sarà un po' più triste, grigio e soprattutto noioso senza il Tacheles.
La casa dell'arte che per più di vent'anni ha ospitato il lavoro, il sudore e la passione di artisti provenienti da tutto il mondo.
Il centro sociale sempre aperto a chi voleva esprimersi e a chi aveva solo voglia di curiosare. Ai turisti e agli appassionati. Ai berlinesi e a tutti gli altri.
Il Tacheles è stata un'istituzione della Berlino post muro. Testimonianza di una mentalità aperta alla creatività e all'espressione del proprio essere. Cuore pulsante di una città curiosa ed in continuo movimento.
L'altro ieri la Kunsthaus è stata ufficialmente chiusa. La Polizia ha mandato via tutti. Gli ultimi artisti hanno salutato lo spazio speciale, che per tanto tempo li aveva ospitati, con un'ultima rappresentazione: un'orazione funebre in onore di un posto unico che ormai non c'è più.
L'arte comunque non muore mai. E non smette di parlare alle coscienze ed alle anime. Le opere, le installazioni e le mani che le hanno create troveranno altri luoghi, a Berlino o chissà dove.
Ma questo mondo sarà un po' più triste, grigio e soprattutto noioso senza il Tacheles.
Siamo finalmente giunti all'ultimo appuntamento con le repliche del blog.
Se fossi una persona ed una blogger organizzata avrei programmato questi post con un certo ordine e significato, ma ovviamente non l'ho fatto. Ogni domenica ho scelto l'argomento da riproporre sull'onda dell'ispirazione del momento e del caso.
Però, arrivata all'ultimo episodio di questa rubrica, mi è preso un certo panico.
"Devo finire col botto", mi son detta.
"Devo cercare un post che rappresenti tutti e 5 gli anni di Radio Cole", ho insistito.
"Devo. Devo. Devo", mi sono tormentata.
E invece no. Non devo proprio niente.
Ed è con questo nuovo spirito, un poco più lieve rispetto ai miei standard, che alla fine ho deciso di accendere i riflettori sui microracconti. Mezzo espressivo che ho iniziato a sperimentare a partire del 14 giugno 2011.
Ve ne ripropongo uno per tutti:
Se fossi una persona ed una blogger organizzata avrei programmato questi post con un certo ordine e significato, ma ovviamente non l'ho fatto. Ogni domenica ho scelto l'argomento da riproporre sull'onda dell'ispirazione del momento e del caso.
Però, arrivata all'ultimo episodio di questa rubrica, mi è preso un certo panico.
"Devo finire col botto", mi son detta.
"Devo cercare un post che rappresenti tutti e 5 gli anni di Radio Cole", ho insistito.
"Devo. Devo. Devo", mi sono tormentata.
E invece no. Non devo proprio niente.
Ed è con questo nuovo spirito, un poco più lieve rispetto ai miei standard, che alla fine ho deciso di accendere i riflettori sui microracconti. Mezzo espressivo che ho iniziato a sperimentare a partire del 14 giugno 2011.
Ve ne ripropongo uno per tutti:
"Lui non disse una parola e lei riempì la valigia.Gli altri li potete leggere qua.
Lui la guardò con occhi vuoti e lei gli voltò le spalle.
Lui perse l'ultima goccia di sangue e lei chiuse la porta."
Il meme di Clarina prevedeva la confessione di "undici cose di sé". Siamo dunque giunti all'ultimo episodio di questa rubrica estiva.
Sapete cosa ho voglia di confessarvi adesso? Voglio confessarvi che io odio confessarmi.
Nonostante abbia un blog non amo parlare di me e, sopra ogni cosa, non amo parlare dei miei problemi.
Chiedetelo alle mie amiche, rassegnate a non ricevere risposta alle loro telefonate di sostegno.
Chiedetelo alla povera SorellaCole che, se mi sente giù, ha imparato a limitarsi ad un semplice "Se vuoi, io sono qua". Già sapendo che tanto non vorrò.
Io non amo parlare delle mie crisi.
Perché sono riservata.
Perché raccontare troppo di me mi fa sentire nuda e vulnerabile, molto più che prendere il sole come mamma mi ha fatta.
Perché essere esposti fa paura a tutti, e a me di più.
Perché ad aprire il vaso di Pandora c'è il rischio che non si riesca più a richiuderlo.
E perché i problemi, quei gran bastardi, una volta che ne hai parlato ad alta voce non puoi più nasconderli sotto un tappeto ma devi farci per forza i conti. Quelli ti piantano il loro brutto muso in faccia e, a quel punto, neanche chiudere gli occhi può salvarti.
Io non amo confessarmi, parlare delle mie paure e delle mie debolezze. Quando lo faccio dopo arriva regolarmente il panico, l'orrore della compassione, e il desiderio di tornare a nascondermi nel sicuro delle collaudate certezze e delle antiche corazze.
Certi meccanismi di difesa non sono genetici ma il frutto di un patologico lavoro messo in atto da più di 30 anni.
Nonostante tutto, però, nessuna serratura è tanto vecchia da non poter essere aperta. Una porta può cedere di schianto. I fantasmi uscire da sotto il letto urlando e trascinando le loro catene.
A quel punto non resta che serrare gli occhi e tapparsi le orecchie. Attendere che l'aria si fermi, per scoprire di essere sopravvissuti anche questa volta, e di avere una stanza tutta nuova da arredare.
Sapete cosa ho voglia di confessarvi adesso? Voglio confessarvi che io odio confessarmi.
Nonostante abbia un blog non amo parlare di me e, sopra ogni cosa, non amo parlare dei miei problemi.
Chiedetelo alle mie amiche, rassegnate a non ricevere risposta alle loro telefonate di sostegno.
Chiedetelo alla povera SorellaCole che, se mi sente giù, ha imparato a limitarsi ad un semplice "Se vuoi, io sono qua". Già sapendo che tanto non vorrò.
Io non amo parlare delle mie crisi.
Perché sono riservata.
Perché raccontare troppo di me mi fa sentire nuda e vulnerabile, molto più che prendere il sole come mamma mi ha fatta.
Perché essere esposti fa paura a tutti, e a me di più.
Perché ad aprire il vaso di Pandora c'è il rischio che non si riesca più a richiuderlo.
E perché i problemi, quei gran bastardi, una volta che ne hai parlato ad alta voce non puoi più nasconderli sotto un tappeto ma devi farci per forza i conti. Quelli ti piantano il loro brutto muso in faccia e, a quel punto, neanche chiudere gli occhi può salvarti.
Io non amo confessarmi, parlare delle mie paure e delle mie debolezze. Quando lo faccio dopo arriva regolarmente il panico, l'orrore della compassione, e il desiderio di tornare a nascondermi nel sicuro delle collaudate certezze e delle antiche corazze.
Certi meccanismi di difesa non sono genetici ma il frutto di un patologico lavoro messo in atto da più di 30 anni.
Nonostante tutto, però, nessuna serratura è tanto vecchia da non poter essere aperta. Una porta può cedere di schianto. I fantasmi uscire da sotto il letto urlando e trascinando le loro catene.
A quel punto non resta che serrare gli occhi e tapparsi le orecchie. Attendere che l'aria si fermi, per scoprire di essere sopravvissuti anche questa volta, e di avere una stanza tutta nuova da arredare.
Quello di oggi è il penultimo appuntamento con le repliche di Radio Cole.
Per l'occasione ripesco una delle iniziative più conosciute (nel mio piccolo) e di successo (nel mio piccolissimo) realizzate su queste pagine: il racconto a puntate "Adelina".
I lettori storici non l'avranno certo dimenticato. Agli altri, come sempre, buona lettura.
Per l'occasione ripesco una delle iniziative più conosciute (nel mio piccolo) e di successo (nel mio piccolissimo) realizzate su queste pagine: il racconto a puntate "Adelina".
I lettori storici non l'avranno certo dimenticato. Agli altri, come sempre, buona lettura.
Vengo qua tutti i giorni. D'inverno il freddo e l'umidità mi entrano nelle ossa, ma in primavera con il sole ed il cielo limpido è un vero piacere passeggiare lungo i viali.
I visitatori della domenica sono tanti e diversi, ma in settimana ci sono sempre le stesse facce.
Le sorelle Zaccaria che avranno trecento anni in due.
La vedova Greco con la cofana color carta da zucchero, il rossetto e le guance dipinte, neanche avesse ancora settant'anni.
E poi quello scostumato del Cavalier Casotti che quando mi vede si toglie il cappello, mi saluta con un piccolo inchino e comincia con le sue chiacchiere: "Ma come la trovo bene signora Adelina", "Le andrebbe un caffè signora Adelina?", "Io vado sempre in balera, perché non ci viene anche lei signora Adelina?"
Ma per chi mi ha presa? Se il bastone non mi servisse per camminare gliel'avrei già spaccato su quella capoccia pelata.
Continua...
Un'avvenente fanciulla trascorre la gioventù a vestire una perfetta taglia 42.
Le piace mangiare, si nutre come un maiale all'ingrasso, ma non prende neanche 1/2 kg.
Non ama lo sport, non alza il sedere dalla sedia, ma non prende neanche 1/2 kg.
Scollinati i trent'anni, la medesima avvenente fanciulla sente una risata risuonare dentro di sé. All'inizio non capisce cosa sia, ma poi tutto le diventa dolorosamente chiaro: è il proprio metabolismo.
Metabolismo che si scompiscia alla faccia della sventurata e che, da quel momento, decide di complicare alla suddetta vita e girovita.
Grammo dopo grammo, anno dopo anno, la situazione degenera fino a pochi mesi fa, quando la morbida fanciulla, non più tanto avvenente, viene invitata ad un matrimonio. Occasione in cui è previsto l'incontro con vecchie amicizie che non la vedono da tempo e ciccia immemore.
Ella decide, dunque, di mettersi seriamente a dieta, di riacquistare la forma perduta, di tornare a riconoscersi nello specchio, di riprendere possesso di quel bel corpicino ormai nascosto da una custodia di estranea ciccia.
Per raggiungere lo scopo prefissato non sceglie di alimentarsi solo con pastiglie, tisane o sacchi di crusca ma opta per la strada più impervia quanto efficace: mangiare di meno e fare più movimento.
Attualmente sono passati quasi tre mesi dall'inizio di quel percorso. I risultati cominciano a vedersi, checché ne dica qualche secco e sobrio amico, tanto che persino Ciccio, noto per essere un vero adulatore, guardandola con occhi colmi d'amore ha recentemente esclamato:
"É incredibile quanto tu sia dimagrita rispetto al barattolino che eri diventata"
Secondo voi, amati lettori, quante volte la quasi avvenente fanciulla dovrà ripetere questa frase a voce alta per riuscire a convincersi che sia un complimento?
I tuoi maiali sono ancora disponibili, Lumaca?
Le piace mangiare, si nutre come un maiale all'ingrasso, ma non prende neanche 1/2 kg.
Non ama lo sport, non alza il sedere dalla sedia, ma non prende neanche 1/2 kg.
Scollinati i trent'anni, la medesima avvenente fanciulla sente una risata risuonare dentro di sé. All'inizio non capisce cosa sia, ma poi tutto le diventa dolorosamente chiaro: è il proprio metabolismo.
Metabolismo che si scompiscia alla faccia della sventurata e che, da quel momento, decide di complicare alla suddetta vita e girovita.
Grammo dopo grammo, anno dopo anno, la situazione degenera fino a pochi mesi fa, quando la morbida fanciulla, non più tanto avvenente, viene invitata ad un matrimonio. Occasione in cui è previsto l'incontro con vecchie amicizie che non la vedono da tempo e ciccia immemore.
Ella decide, dunque, di mettersi seriamente a dieta, di riacquistare la forma perduta, di tornare a riconoscersi nello specchio, di riprendere possesso di quel bel corpicino ormai nascosto da una custodia di estranea ciccia.
Per raggiungere lo scopo prefissato non sceglie di alimentarsi solo con pastiglie, tisane o sacchi di crusca ma opta per la strada più impervia quanto efficace: mangiare di meno e fare più movimento.
Attualmente sono passati quasi tre mesi dall'inizio di quel percorso. I risultati cominciano a vedersi, checché ne dica qualche secco e sobrio amico, tanto che persino Ciccio, noto per essere un vero adulatore, guardandola con occhi colmi d'amore ha recentemente esclamato:
"É incredibile quanto tu sia dimagrita rispetto al barattolino che eri diventata"
Secondo voi, amati lettori, quante volte la quasi avvenente fanciulla dovrà ripetere questa frase a voce alta per riuscire a convincersi che sia un complimento?
I tuoi maiali sono ancora disponibili, Lumaca?
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