Mi chiamo Thomas Sutherland.
Sono preside della facoltà di
agronomia dell' Università Americana di Beirut.
Oggi vengo rapito
dalla Jihad.
Verrò liberato 2353 giorni dopo.
(1985)
Quando non si scrive per un po' di tempo le dita si arruginiscono, i pensieri si confondono e anche l'umore peggiora.
Io scrivo tutti i giorni. Scrivo per lavoro e per diletto. Scrivo di cose interessanti e di cose di cui non mi frega nulla. Scrivo. Scrivo. Scrivo.
Ma sono quasi due settimane che non scrivo un post sul blog.
Certo, continuo ad aggiornare Il Mio Progetto, ma quello è altra cosa.
Ciò che non scrivo da quasi due settimane è un post di quelli in cui racconto cosa mi è successo oggi, ieri o vent'anni fa.
Un post in cui sproloquio allegramente o approfondisco pesantemente.
Un post dove filosofeggio o psicanalizzo.
Insomma, un normale, banalissimo, post alla Pancrazia.
Dopo quasi due settimane in cui il lavoro, la casa nuova, la febbre e i timidi tentativi di avere una vita sociale degna di essere vissuta hanno avuto la precedenza, oggi ho deciso finalmente di riprendere in mano la penna, o meglio di riprendere a pigiare sulla tastiera.
E appena ho deciso, ovviamente, nel mio cervello si è creato il vuoto pneumatico.
Nessuna idea nuova.
Nessuna idea vecchia.
Nessuna idea. Punto.
Faceva tutto schifo.
Gli appunti sparsi? Porcherie.
I racconti appena abbozzati? Abomini.
Gli spunti scritti negli angoli di vecchie agendine? Deliri di una folle.
I miei neuroni oggi non si parlavano tra loro. E anche se lo avessero fatto, probabilmente, si sarebbero solo insultati.
Ma, nonostante tutto ciò, io non mi sono arresa.
Alla faccia del BloccoDelloScrittore, ignorando lo SpietatoCensoreInterno, ho scelto di fare l'unica cosa che può funzionare in questi momenti: ho aperto una pagina bianca e ho cominciato a scrivere senza pensare.
Senza pensare a quanto fosse inutile questo post.
Senza pensare alle critiche interne e neanche a quelle esterne.
Senza pensare alla necessità di mettere giù "qualcosa di veramente buono".
Senza pensare. Ma con l'unico obiettivo di rimettermi a camminare lungo questa strada. Un passo dopo l'altro. Una parola dopo l'altra. Prima piano. Poi sempre più velocemente.
Perché la scrittura è così. Per me è così. All'inizio mi sembra di dover affrontare una salita con una pendenza impossibile. Poi mi ritrovo a ridere, mentre rotolo giù da una collina ricoperta da erba alta e soffice.
Che poi magari quello che ho scritto, a rileggerlo, fa schifo.
Ma non importa.
Ci sarà sempre tempo e modo di scrivere qualcosa di meglio.
Intanto conservo i quadrifogli rimasti impigliati tra i ricci, faccio tesoro degli ultimi scoppi di risa ingiustificati e incomprensibili ai più, e mi rimetto a lavorare di buona lena. Nuovamente carica di energia e voglia di fare.
E voglia di scrivere. Ancora.
Nasco oggi.
Sono il Telefono Azzurro.
(1987)
Sono in piazza a Padova.
Vedo Enrico stare male.
Fa fatica a parlare, tossisce, si aggrappa al leggìo.
Quattro giorni dopo muore.
(1984)
Mio padre è Alexey Pajitnov. Ma a credere in me è soprattutto Henk Rogers.
Nasco oggi e faccio giocare un'intera generazione.
Mi chiamo Tetris.
(1984)
Stendo un comunicato ufficiale: cinque giovani californiani gay sono affetti da un
rarissima forma di polmonite.
Un anno dopo nasce l'AIDS.
(1981)
Ho solo 41 anni e sono all'apice della carriera.
Il mio cuore si ferma dodici ore dopo l'ultimo ciak de "Il Postino".
(1994)