Lampedusa, 3 ottobre 2013
Amore mio,
mia adorata Chara,
mia bellissima giovane moglie.
Quando ti ho salutato hai messo le tue mani sul mio viso e hai appoggiato la tua fronte contro la mia.
"Tornerai a prendermi?" mi hai chiesto.
"Tornerò" ti ho giurato.
Chara, dolcissimo amore mio, penserai che non ho mantenuto la mia promessa. Penserai che sono un marito infedele. Penserai che non ti amo abbastanza.
No. Non pensarlo. Non pensarlo neanche per un attimo.
Ho freddo e il mare si chiude sopra di me.
Ho freddo e mi scalda solo il pensiero di saperti al sicuro. Di saperti viva.
Tornerò Chara, tornerò dopo che avrai vissuto una lunga vita felice.
Tornerò per camminare con te. Tornerò per accoglierti.
Tu perdonami. Perdonami per non essere stato abbastanza forte. Ma giuro che ci ho provato. Ci abbiamo provato tutti.
Vivi, Chara, vivi anche per me.
Ognuno ha una storia da raccontare.
Come la ragazza coi ricci e gli occhiali dorati.
"Sono felice e disperata", dice prima di un sorso di Berliner.
"Dovrei fare un viaggio", pensa ad alta voce.
"Sì, lo dovremmo fare", le risponde l'amico che le sta seduto accanto.
Ognuno ha una storia da raccontare.
Io racconto le mie e quelle degli altri.
Ascolto.
Ingoio.
E poi risputo fuori.
Vere o finte.
Mie o no.
Dalle orecchie alla mano.
Dallo stomaco alla tastiera.
Ognuno ha una storia da raccontare.
Mentre te la racconta, te ne fa dono.
Mentre l'ascolti, ringrazi per la fiducia.
Ognuno ha una storia da raccontare e una vita da vivere.
"Non colpevole".
Non ci crede nessuno ma vengo dichiarato "non colpevole".
(1995)
Ognuno ha una storia da raccontare.
Come la barista dalla caviglia tatuata.
Ti serve una rossa in bottiglia mentre dice di sua madre:
"La conosco appena. Mio padre invece si è spezzato la schiena per me".
Ma da solo non è mai riuscito a stare. Una fidanzata dopo l'altra. Una donna dopo l'altra.
"Alla fine mi sono stufata e me ne sono andata"
Un lavoro. Una mansarda. Una vita indipendente. A 15 anni.
A quell'età devi stare attenta. Ti devi difendere. Ti fai venire la scorza dura. Fuori e pure dentro.
"Ho fatto le cose per bene. Non è mica facile quando ci si trova da soli così piccoli. Sono già passati dieci anni e non ho mai combinato un casino. E non ho mai avuto bisogno di chiedere aiuto", dice accarezzandosi la pancia.
E' orgogliosa.
Di sé. Del bambino che attende. Della famiglia che si sta costruendo.
"Non è successo per caso. L'abbiamo voluto."
Ognuno ha una storia da raccontare.
Siamo rimasti solo in tre. Gli altri sono tutti dietro.
Douglas e Ahmed scattano, ma questa è la mia giornata.
Muscoli. Fiato. Testa.
Un passo dopo l'altro. Sono leggero. Volo.
Questa è la mia medaglia.
(1988)
Ognuno ha una storia da raccontare.
Come l'uomo dalla cravatta gialla.
Ingoia
piccoli sorsi di una bionda torbida e ad alta voce dice di suo padre:
"Era bello come il sole! Ma io ho preso da mamma. Diciamo che sono
simpatico. Un tipo"
Ride.
Il padre andò a comprare le sigarette. E sparì in una nuvola di fumo.
Sparì lasciando una moglie e tre figli.
Tre figli. Due femmine e un maschio.
"Da quando se ne è andato ho fatto sempre il mio dovere. Ho fatto l'uomo di casa."
Per
quarant'anni si è caricato sulle spalle ogni responsabilità. Ha vissuto
la vita che gli era stata assegnata, senza un dubbio, senza un
ripensamento. Sapeva cosa c'era da fare e l'ha fatto.
"Le foto delle mie figlie", mostra orgoglioso. "Non sono bellissime?"
Per quanrat'anni ha fatto ciò che ci si aspettava da lui.
Poi,
quando tutto era sistemato, quando tutte erano sistemate, ha aperto la
porta e ha cominciato a camminare. Ha cominciato a vivere.
Non è scomparso in una nuvola di fumo. Non lo farebbe mai. Non potrebbe stare senza le sue donne.
"Le mie figlie hanno capito. Pure le mie sorelle. Persino mia madre. Mia moglie no"
"Frocio!" gli urlano da un tavolo.
Lui ride, paga da bere a tutto il locale e se ne va via con un inchino.
Ognuno ha una toria da raccontare.
Entro nel negozio di Hiroji. Cartelloni colorati annunciano una grande novità: si chiama Compact Disc.
(1982)