Trucco e parrucco: mi preparo alla seconda serata del talent per artisti ardimentosi.
Obiettivo da raggiungere: arrivare in anticipo e respirare un po' del clima di concitazione pre-spettacolo.
Che credete? Prendo molto seriamente questo mio ruolo da blogger-cronista.
Prendo molto seriamente anche la penuria di posteggi in zona San Salvario e, quindi, lascio la macchina a casa e vado in metro. Lo spettacolo questa sera si tiene alla
Casa del Quartiere in via Morgari 14. Torino, ovviamente.
Arrivo e sono passate da poco le 20.
Il pubblico attende fuori. Io mi faccio largo a spallate. Come ogni vera finta VIP che si rispetti.
In sala c'è un gran fermento. I rapper rappano. I fotografi fotografano. Gli improvvisatori improvvisano.
E Natalia, sobriamente vestita com'è nel suo stile, dà di matto:
"Problemi tecnici, tanti problemi tecnici", ripete concitata. "Questa sera krande disastritudine si abbatterà su tutti, schiacciando noi come frittelle che faceva nonna Ludmilla in piccola casetta su Volga. Serata troppo difficilissima. Io non sento me. Io voglio morire in erotico abbraccio tra miei Boys"
Mi allontano dall'isteria in salsa ninfo-esteuropea e giro tra le sedie ancora vuote in cerca di campo per il mio cellulare. Campo che non troverò mai. Tra l'altro, tra un'elegante smadonnamento da blogger sconnessa e l'altro, scopro che il mio posto questa sera sarà in prima fila. Al centro. Accanto alla giuria.
"E magari ti facciamo anche intervenire" m'informano dall'organizzazione.
Mi sento carica ma terrorizzata. Soprattutto terrorizzata.
'Quasi quasi scappo dalla finestra dal bagno', penso.
'No, rimango qua e faccio la blogger scoppiettante!' mi rispondo.
'Vabbè, facciamo che resto e cerco di cavarmela con meno imbarazzi possibili', concludo.
Intanto, tra una chiacchiera schizofrenica e l'altra, si fa una certa. Il pubblico entra e io, prima che incominci lo spettacolo, faccio in tempo a incontrare un mio compagno del liceo che, accidenti a lui, non è invecchiato neanche di un secondo, e a farmi dare della "signora" da una ragazza seduta dietro di me.
Tesoro, che la simpatia ti travolga: sotto forma di una colata lavica!
E non venite a dirmi che, tecnicamente, ha ragione lei. Lo so anch'io di essere abbondantemente in età da "signoritudine". Ma mi sento di affermare liberamente il mio pensiero con un semplice:
echisenefotte!
Ho la sindrome di Trilly o come diavolo si chiama. Il corrispettivo femminile della sindrome di Peter Pan. E se non esiste, non importa, io ce l'ho. E' una patologia seria. Oh come soffro!
Ma andiamo oltre: è l'ora di cominciare.
La sala è strapiena.
Natalia e i Boys entrano in scena tra un'abbondanza di lustrini, paillettes, petti villosi e numeri di telefono lanciati come coriandoli. Stasera, inoltre, per dare man forte nella conduzione, è stato chiamato anche il cugino Lothar. Riccio da cherubino. Canotta d'ordinanza. Sguardo pallato da "mucca che fissa i treni". Quasi quasi m'innamoro.
Le prime ad esibirsi sono
Giulia Bavelloni e
Daniela Pisci del
Municipale Teatro. Portano in scena 20 minuti di
R.I.P., una commedia drammatica in un unico atto.
Due ragazze insoddisfatte che assomigliano a tutte e a nessuna. In cerca di un lavoro, in cerca di un amore, in cerca del phon.
"Se domani finisce tutto?" si chiedono.
Se domani ci danno un taglio loro o il mondo per loro? Non è dato saperlo ma solo intuirlo. E poi, del resto, non importa.
Venti minuti che scorrono via tra valige da preparare, colloqui lavorativi da sostenere, addominali da scolpire, e quel qualcosa da trovare. Da trovare prima che domani finisca tutto. Da trovare perché domani non finisca tutto.
Passano i venti minuti. Il pubblico esplode in un lungo meritato applauso, il più lungo della rassegna finora. La giuria elargisce commenti entusiasti.
Ed io? Io voglio assolutamente vedere tutto lo spettacolo. Spettacolo scritto dalle stesse protagoniste e diretto da Chiara Lombardo.
E voglio parlarne ancora in questo blog. Perché tanto talento, professionalità e lavoro travolge e appassiona. E, soprattutto, merita di essere pubblicizzato il più possibile.
Le prime concorrenti hanno portato la competizione a un livello superiore e ora tocca alla
Domus Alpha Crew.
Lello Carbone in arte “Zens” e Federico Salvai in arte “Twice” sono due giovanissimi rapper che entrano in scena pieni d'entusiasmo, ma con un grave handicap: la cassa in dotazione non è adatta allo scopo. Risultato: l'audio è pessimo e si fa molta fatica a capire le parole. Nonostante questo, il ritmo della base riesce a fare presa ma loro, ovviamente, non sono ancora soddisfatti. E allora che succede? Lello blocca la musica, chiede scusa, e comincia con il freestyle. Tutto con umiltà e un gran sorriso. In seguito verrà rimproverato dalla giuria per questo: "Dovevi andare avanti comunque", "Non avresti dovuto chiedere scusa al pubblico", "Sei un rapper, cazzo!"
Bah, probabilmente avranno ragione loro. Forse avrebbe potuto rendere il passaggio al freestyle meno "drammatico". Ma che vi devo dire? A me questa cosa è piaciuta moltissimo. Ho visto qualcuno che ama ciò che fa, non molla mai, cerca una soluzione, sa stare sul palco e sa stare pure al mondo! Niente vittimismi, niente frigne: c'è un pubblico da intrattenere e lo s'intrattiene. Bravo, bravi!
L'esibizione alla fine è più che dignitosa, ma rimane il rimpianto di non aver potuto sentire la crew al meglio delle possibilità. E allora sapete che vi dico? La sentiamo adesso su Radio Cole!
Dopo il rap, in una montagna russa di emozioni e cambiamenti di scenografia, si passa al teatro sperimentale. E' il turno dei milanesi
Into the Aquarius.
Fanno teatro emozionale, interattivo e partecipativo.
La loro esibizione prevede la presenza costante del pubblico che viene coinvolto a coppie. Purtroppo lo spazio non è adatto, chi non partecipa si sente escluso e fa fatica a capire ciò che accade al centro della scena. La rappresentazione si protrae oltre i 20 minuti, dietro di me sento l'attenzione calare, ed io vivo nel terrore di essere chiamata a partecipare.
Poi l'incubo si realizza. Uno degli attori mi prende per mano e, in men che non si dica, mi trovo inginocchiata accanto a un ragazzo sdraiato, dormiente, e in mutande.
Ma, superato il primo comprensibile imbarazzo, finalmente comprendo. O almeno credo. Questo è un teatro da vivere dall'interno.
Emozionale. Interattivo. Partecipativo.
Nel momento in cui ci sei in mezzo, anche se non capisci molto cosa stai facendo o cosa ti viene chiesto di fare, ti senti parte di un gruppo, di una creazione, di un progetto.
Una volta che vieni chiamato, non te ne vai più fino a quando non ti riaccompagnano al posto. E non solo perché hai paura di essere sgridato ma proprio perché, investito di nuova responsabilità, senti tuo dovere prendere parte alla rappresentazione fino a quando ti viene richiesto. Hai un compito. Hai un ruolo. Stai creando anche tu con gli altri. Ogni tuo gesto cambia il quadro generale.
So che non tutti quelli coinvolti hanno provato il mio stesso entusiasmo. Ma questa è la mia cronaca. Ed io vi racconto il mio punto di vista. Non ho pretese da critica esperta. Non so nulla del teatro sperimentale. Non so se ciò a cui ho assistito sia ultramoderno o riprenda semplicemente vecchi schemi degli anni '70.
So che mi è piaciuto però. Ed ho molto apprezzato il coraggio di chi porta tanta diversità in mezzo a un pubblico non pronto e, spesso, non ben disposto.
Alla fine la giuria non risparmia critiche, la responsabile del progetto (
Alessandra MR D'Agostino) difende la propria creatura come una leonessa, gli attori sorridono con bellissimi sorrisi da bambini, io intervengo non nascondendo l'entusiasmo e la simpatia per tutti loro.
Ormai è tardissimo, manca solo un'esibizione.
E sapete di cosa si tratta?
Ebbene sì, proprio della "mia specialità" da cronista, l'improvvisazione teatrale!
Mi pavoneggio con chi mi è accanto, faccio quella che ne sa, elargisco commenti con tutta la spocchia di cui sono capace.
Ad esibirsi sono i
SuMaDai (
Roberto Tavella, Nancy String Citro, Sergio Sasso, Gianluca Villata, Ivano Zanchetta). Portano in scena il Club dei Segreti.
E che cos'è?
Cerco di spiegarlo rapidamente: a inizio serata è stato chiesto a tutti i presenti in sala di scrivere un proprio segreto sopra un foglietto. Da questi suggerimenti partirà l'improvvisazione.
Ecco, questa è la teoria, ma non ho la più pallida idea di come funzioni la pratica. Altro che esperta. Tanto per cambiare faccio la figura della millantante cioccolataia. Grandi soddisfazioni!
Lo spettacolo inizia. Ognuno degli improvvisatori estrae un "segreto", lo legge tra sé e sé, e se lo mette in tasca. Infine ne viene estratto un altro, viene letto ad alta voce, "In una vita precedente sono stato un guerriero barbaro", e i Sumadai partono da questa suggestione.
Sono bravi, la storia si dipana, il pubblico si appassiona. Il ritmo non cala mai tra tradimenti, rincarnazioni, morti premature, passioni travolgenti, demoni e gatti.
Alla fine, tra gli applausi, viene svelato il contenuto degli altri foglietti("canto a squarciagola in macchina", "sono uscito dal bar senza pagare", "ho tradito l'intradibile"...) tutti elementi che ognuno di loro ha inserito nell'improvvisazione ad insaputa dei compagni e del pubblico. Un ulteriore elemento di difficoltà. Chi, come me, non conosceva il meccanismo si entusiasma ancora di più. Bravi!
L'improvvisazione spesso viene sottovalutata, ma stare sul palco senza un testo da seguire, affidandosi solo alla tecnica, alla propria inventiva, e a quella dei compagni, non è facile. Ci vuole coraggio, fiducia, e una certa dose di follia.
Anche la giuria è soddisfatta.
La serata è finita.
Tanto talento. Tanta fatica. Tanta energia.
Pubblico e giuria votano.
A passare il turno sono i SuMaDai con il loro Club dei Segreti.
Io, prima di correre alla metro, faccio in tempo a congratularmi con i vincitori, fotografare i rapper, abbracciare i milanesi, e rincorrere le bravissime Giulia e Daniela.
Ah, già che ci sono, limono anche con due preti nel pubblico. Ma questa è un'altra storia.
Il prossimo appuntamento?
Giovedì 13 marzo ore 21,30 presso il Circolo Arci Bazura di via Belfiore 1, Torino.