Il giovane cineasta prese il passe-partout e si recò verso la stanza di Luca Bertoli.
Arrivato davanti alla porta fece un bel respiro e...
"Vado prima io" sentì alle sue spalle, "se ti dovesse succedere qualcosa sarebbe un gran casino, non lavori neanche qui!"
Alex si girò e vide Ivan. Indossava una strana armatura fai-da-te. Aveva razziato tutti i cuscini dal magazzino, e se li era legati attorno al corpo con del nastro isolante. Poi, a concludere l'opera, si era messo in testa il casco della moto.
"Fico! Sembri un incrocio tra RoboCop e Marshmallow Man"
Ivan, così bardato, entrò per primo. Alex dietro di lui.
L'uno terrorizzato. L'altro eccitato.
Timidamente prima, ma sempre più spavaldamente dopo, esaminarono a fondo la stanza. Partendo da un'occhiata sommaria, finirono col guardare persino dentro l'armadio e sotto il letto. Ad ogni secondo che la ricerca progrediva infruttosa e sicura, il loro ego lievitava sfacciato. Si sentivano due coraggiosi esploratori. Esploratori di moquette selvagge e abat jour amazzoniche.
"Hai visto? Era solo uno scherzo cretino!" esclamò Ivan, esibendo un sorriso soddisfatto. Che qualcuno avrebbe visto, se non fosse stato celato dal casco ancora saldamente calato in testa.
"Forse, ma manca ancora il bagno" gli fece notare Alex. E, per le ragioni di cui sopra, nessuno vide il sorriso di Ivan che tornava ad essere una smorfia di paura.
Fecero scivolare lentamente la porta a scrigno, allungarono i colli per affacciarsi guardinghi e, finalmente, lo videro. Era lì, raggomitolato sotto il lavandino. Affascinante a modo suo. Ivan e Alex trattennero il respiro per un attimo. Poi, quando il pitone cominciò a srotolarsi e scivolare lungo il pavimento, tirarono fuori in una sola volta tutto il fiato che avevano nei polmoni e scapparono urlando come due aquile impazzite.
Gino, da parte sua, sospirò di solitudine e riprese posto sotto il lavabo.
"Buongiorno, la stavo aspettando, prego si accomodi" le fu risposto dal sorriso untuoso e Alida entrò.
La stanza era minuscola e al centro troneggiava un letto. Lei si sentì subito a disagio e pensò di girare i tacchi, quando il dottor Rossi le indicò una piccola scrivania sotto la finestra.
"Mettiamoci al tavolo così mi racconta delle precedenti esperienze lavorative", le disse gentile.
E lei raccontò. Raccontò dell'inutile laurea, del call center, del negozio. Raccontò con la coda dell'occhio sempre fissa al letto.
"Bene, è evidente che è una donna in grado di darsi da fare. Bene. Molto bene. Ma la vedo un po' tesa, perché mai?"
"Beh..."
E lui intercettò lo sguardo di sbieco rivolto all'ingombrante talamo.
"Oh no, ma cielo, cosa avrà mai pensato? Non crederà che io? Siamo qua perché mi sono appena trasferito in città e non amo parlare di lavoro in mezzo alla confusione, in un bar, per esempio, ma se ciò la fa sentire più a suo agio" disse alzandosi.
"Ma no, ma no, ci mancherebbe" si allarmò Alida, temendo di averlo offeso e che la sua insicurezza le stesse facendo perdere la prima buona occasione lavorativa dopo anni.
"Bene" si sentì rassicurato lui.
E lei riprese a snocciolare conoscenze ed esperienze lavorative precedenti.
Continuò fino a quando non le sentì.
All'inizio furono un impressione, un sospiro. Poi un brivido, un sospetto. Infine una spiacevole certezza. Le dita della mano sinistra del dottore stavano risalendo la gamba destra di Alida. Dal polpaccio verso il ginocchio.
Lo stupore, si trasformò in repulsione. Il sorriso di lui tornò ad essere della sua specifica viscidezza.
La repulsione si abbandonò alla vergogna. Le labbra di lui vennero umettate dalla sua stessa puntuta violacea lingua.
La vergogna si mischio' alla rabbia, Alida di alzò di scatto, rovesciò la sedia e scappò in corridoio. La bocca di lui prese la perfetta forma circolare dello stupore.
"Stupida stupida stupida" si biasimò, piangendo e correndo, fino a quando non venne interrotta. Da un muro.