“Per il mio bene”.
Raccontare la propria vita senza filtri.
Ema Stokholma, per chi non la conoscesse, è una dj e un personaggio televisivo italo francese.
Una ragazza altissima, piena di tatuaggi e dall’accento a dir poco inconfondibile.
Fino a poco tempo fa, per me, era più che altro un’ex concorrente di Pechino Express per cui, onestamente, non provavo nessuna particolare simpatia.
Poi, per caso, complice l’ultimo Salone del Libro di Torino, ho scoperto brandelli della sua storia e qualche giorno fa ho ascoltato il suo libro.
So già cosa starà pensando qualcuno di voi: “Ecco, a questa raccomandata le hanno pubblicato un libro solo perché è già famosa”.
Sicuramente l’essere una faccia nota avrà aiutato l’impresa, non ne dubito. Ma Ema Stokholma aveva una storia importante da raccontare e non si può dire altrettanto di molti autori, regolarmente pubblicati e unanimemente riconosciuti.
Ema ha avuto un’infanzia da incubo, cresciuta da una madre violenta e instabile. Picchiata e umiliata regolarmente. Con un padre italiano che l’ha abbandonata ancora prima che nascesse. E un fratello vittima quanto lei, impegnato quindi, quanto lei, a sopravvivere un giorno dopo l’altro.
Ema, che in realtà si chiama Morwenn, a 15 anni è scappata, ci aveva già provato più volte da bambina, ma finalmente da adolescente è riuscita nell’impresa. È scappata da colei che, nel libro, mai definisce madre ma sempre Mostro. Un paio di All Star, la fedele musica nelle orecchie e un treno per ricominciare.
È arrivata in Italia, a Roma, è stata qualche giorno da Antonio, l’inutile padre, per poi iniziare una vita indipendente e senza freni.
È stata per anni una ragazza in giro per l’Europa tra lavoretti, furti, rave e droga.
Ha vissuto a lungo una vita confusa, drammatica, appassionata, instabile ma anche piena di legami e amici, destinati a diventare quella famiglia che non aveva avuto prima.
Ora Ema sta meglio, è cresciuta, ha chiuso con le droghe, ha seppellito sua madre e ha ritrovato suo fratello. Una storia così però è destinata a lasciare dei segni e lei così continua il suo percorso, nel tentativo di guarire da tutte le ferite accumulate negli anni, trovare finalmente lo psicanalista giusto e, come le dice la sua amica Andrea (Andrea Delogu, credo), smettere di accontentarsi di essere una sopravvissuta.
Ema ha scritto questo libro per raccontare la sua storia e quella di tutti i bambini maltrattati nell’indifferenza altrui. “Non fatevi i fatti vostri” chiede.
E così leggere il suo libro o ascoltarlo, come nel mio caso, è quasi un dovere.
Un dovere doloroso. All’inizio ho fatto fatica, le descrizioni delle violenze subite sono esplicite e fanno male allo stomaco. Ma se ce l’ha fatta una bimba di 7 anni a subirle e a sopravvivere, ce la possiamo fare pure noi ad ascoltarle. Perché se non si è fatto nulla per le vittime nel momento in cui erano tali, il minimo che si possa fare, in quanto essere umano degno di questo nome, è ascoltare con attenzione e rispetto il racconto dei loro dolori, per prenderne consapevolezza e, quando e se capiterà, non farci i fatti nostri.
Lo stile è asciutto, la storia genuina e affilata.
Il libro consigliatissimo.
ps: l'audiolibro è letto dalla stessa Ema. Per me è un valore aggiunto.