Una cronaca che non è una cronaca: Humans-Stage
Questa cronaca, che non è una cronaca, parte da più lontano del solito.
Parte da una settimana prima dello spettacolo. Parte da un piovoso sabato mattina in cui il socio ed io siamo andati a San Pietro in Vincoli.
La rassegna teatrale Palco Oscenico e la pagina facebook Humans Torino quest'anno hanno stretto un Media Parternship. Detto così fa molto figo, ma anche incredibilmente freddo.
In realtà quest'estate Nat ed Elena, già organizzatrici di Facce da palco, mi hanno chiesto "Vi va, a te e il socio, di fotografare e intervistare i nostri artisti?" "Certo che ci va!"
Molto meno figo ma decisamente più umano.
Così è nata la collaborazione. Collaborazione che ci ha portato ad incontrare persone interessanti in luoghi interessanti. Un gorilla in un bar. Due pazzi ai bordi di una fontana. E un gruppo di attori in una chiesa sconsacrata. E' questo che è San Pietro in Vincoli. Una chiesa sconsacrata all'ingresso di un ex cimitero.
Ecco spiegati, il socio ed io, un plumbeo sabato mattina a parcheggiare, varcare un cancello, attraversare un porticato, passare una porta, scendere delle scale e...
...e perderci.
Ebbene sì, ci siamo persi nei corridoi sotterranei di una chiesa sconsacrata.
Ci siamo persi tra le mille fotografie di una mostra appena allestita. Meravigliosa ma inquietante.
Ci siamo persi con lui che rideva e cercava di farmi paura. Ed io che tentavo dignitosamente di essere disinvolta ma che, tutto sommato, avrei preferito stare da un'altra parte. Meravigliosa (io) ma fifona e impressionabile.
Dopo dieci minuti di giri a vuoto, altre scale e porte serrate, siamo tornati sui nostri passi per ritrovare finalmente la giusta strada.
"Prego, accomodatevi" ci ha detto in un soffio Katia facendoci entrare, mentre gli altri stavano già provando. Gli altri erano gli artisti del LabPerm sull'Arte dell'Attore. Parlavano, cantavano, sussurravano. Ripetevano, correggevano, confrontavano. Tutto questo mentre il socio fotografava ed io cercavo di farmi il più piccola possibile. Per non disturbare, infastidire, rompere la magia. Piccola e mimetizzata con la parete. "Ti vuoi sedere?" mi ha chiesto mille volte Katia. "No, no" ho risposto mille volte io, dritta come un fuso. Un fuso che tratteneva il fiato e sgranava gli occhi. Perché le prove, spesse volte, possono essere più interessanti dello spettacolo stesso. Secondo me non si perde la magia, a differenza di quanto accade a Dorothy quando scopre l'ometto celato dietro la grande maschera di Oz, ma si comprende il meccanismo, l'ideazione, la fatica, la narrazione.
Poi i personaggi sono tornati ad essere persone. Il racconto vita. Ed una caffettiera è stata messa sul fuoco. L'incanto è diventato accoglienza.
Insomma, le prove si sono interrotte per un po' e noi ci siamo messi al lavoro. Il socio ed io abbiamo fotografato ed intervistato. E da quei pochi minuti di chiacchiere è nato questo post.
Uno dei miei preferiti da quando è iniziata l'avventura di Humans Torino. Se volete vederlo per bene, e magari guardare l'intera pagina, e già che ci siete dare un'occhiata alle altre foto, e inoltre metterci anche il like, cliccate qui. Altrimentiche voi siate maledetti! amici come prima.
Una settimana dopo, il 22 novembre, mentre il socio se ne stava in giro come al suo solito, io sono andata a vedere la data dei LabPerm all'interno del calendario di Palco Oscenico. Niente chiesa sconsacrata questa volta, ma l'accogliente e familiare Cafè des Arts. Non lo spettacolo originale per intero, dato che mancava il tempo e soprattutto lo spazio, ma una sintesi il più coerente e vicino possibile al prodotto completo e originale.
Ho visto 45 minuti di rabbia e poesia, musica e canzoni, storie e personaggi. Quarantacinque minuti per rappresentare la società attuale con limiti e storture, ingiustizie e follie. Tre quarti d'ora di talento e passione, comunicazione e arte, lotta e denuncia.
Noi del pubblico eravamo seduti vicini, stretti, periferici per lasciar il maggior spazio possibile alla rappresentazione. Ed è proprio da quella posizione che, oltre ad osservare gli artisti, ho potuto guardare anche la gente. Il ragazzo perplesso, la donna rapita, la bambina attenta. Ed ho capito. E' questo il bello di un progetto come Palco Oscenico. E' questo il suo senso. Il teatro fuori dai teatri. A disposizione di tutti. Di chi cercherebbe il bello comunque e di chi ha bisogno di essere rincorso. Ogni forma di arte performativa e spettacolo: l'improvvisazione, il cabaret, la sperimentazione. Ad ogni appuntamento uno spicchio diverso di questo mondo. Tutto a disposizione di tutti. In luoghi accessibili e vicini, seppur in alcuni casi non particolarmente adatti. Per l'opportunità di chi rappresenta e di chi gode della rappresentazione.
Palco Oscenico torna a gennaio e io ci sarò. Come sempre. Gioiosa ed orgogliosa.
Parte da una settimana prima dello spettacolo. Parte da un piovoso sabato mattina in cui il socio ed io siamo andati a San Pietro in Vincoli.
La rassegna teatrale Palco Oscenico e la pagina facebook Humans Torino quest'anno hanno stretto un Media Parternship. Detto così fa molto figo, ma anche incredibilmente freddo.
In realtà quest'estate Nat ed Elena, già organizzatrici di Facce da palco, mi hanno chiesto "Vi va, a te e il socio, di fotografare e intervistare i nostri artisti?" "Certo che ci va!"
Molto meno figo ma decisamente più umano.
Così è nata la collaborazione. Collaborazione che ci ha portato ad incontrare persone interessanti in luoghi interessanti. Un gorilla in un bar. Due pazzi ai bordi di una fontana. E un gruppo di attori in una chiesa sconsacrata. E' questo che è San Pietro in Vincoli. Una chiesa sconsacrata all'ingresso di un ex cimitero.
Ecco spiegati, il socio ed io, un plumbeo sabato mattina a parcheggiare, varcare un cancello, attraversare un porticato, passare una porta, scendere delle scale e...
...e perderci.
Ebbene sì, ci siamo persi nei corridoi sotterranei di una chiesa sconsacrata.
Ci siamo persi tra le mille fotografie di una mostra appena allestita. Meravigliosa ma inquietante.
Ci siamo persi con lui che rideva e cercava di farmi paura. Ed io che tentavo dignitosamente di essere disinvolta ma che, tutto sommato, avrei preferito stare da un'altra parte. Meravigliosa (io) ma fifona e impressionabile.
Dopo dieci minuti di giri a vuoto, altre scale e porte serrate, siamo tornati sui nostri passi per ritrovare finalmente la giusta strada.
"Prego, accomodatevi" ci ha detto in un soffio Katia facendoci entrare, mentre gli altri stavano già provando. Gli altri erano gli artisti del LabPerm sull'Arte dell'Attore. Parlavano, cantavano, sussurravano. Ripetevano, correggevano, confrontavano. Tutto questo mentre il socio fotografava ed io cercavo di farmi il più piccola possibile. Per non disturbare, infastidire, rompere la magia. Piccola e mimetizzata con la parete. "Ti vuoi sedere?" mi ha chiesto mille volte Katia. "No, no" ho risposto mille volte io, dritta come un fuso. Un fuso che tratteneva il fiato e sgranava gli occhi. Perché le prove, spesse volte, possono essere più interessanti dello spettacolo stesso. Secondo me non si perde la magia, a differenza di quanto accade a Dorothy quando scopre l'ometto celato dietro la grande maschera di Oz, ma si comprende il meccanismo, l'ideazione, la fatica, la narrazione.
Poi i personaggi sono tornati ad essere persone. Il racconto vita. Ed una caffettiera è stata messa sul fuoco. L'incanto è diventato accoglienza.
Insomma, le prove si sono interrotte per un po' e noi ci siamo messi al lavoro. Il socio ed io abbiamo fotografato ed intervistato. E da quei pochi minuti di chiacchiere è nato questo post.
Uno dei miei preferiti da quando è iniziata l'avventura di Humans Torino. Se volete vederlo per bene, e magari guardare l'intera pagina, e già che ci siete dare un'occhiata alle altre foto, e inoltre metterci anche il like, cliccate qui. Altrimenti
Una settimana dopo, il 22 novembre, mentre il socio se ne stava in giro come al suo solito, io sono andata a vedere la data dei LabPerm all'interno del calendario di Palco Oscenico. Niente chiesa sconsacrata questa volta, ma l'accogliente e familiare Cafè des Arts. Non lo spettacolo originale per intero, dato che mancava il tempo e soprattutto lo spazio, ma una sintesi il più coerente e vicino possibile al prodotto completo e originale.
Ho visto 45 minuti di rabbia e poesia, musica e canzoni, storie e personaggi. Quarantacinque minuti per rappresentare la società attuale con limiti e storture, ingiustizie e follie. Tre quarti d'ora di talento e passione, comunicazione e arte, lotta e denuncia.
Noi del pubblico eravamo seduti vicini, stretti, periferici per lasciar il maggior spazio possibile alla rappresentazione. Ed è proprio da quella posizione che, oltre ad osservare gli artisti, ho potuto guardare anche la gente. Il ragazzo perplesso, la donna rapita, la bambina attenta. Ed ho capito. E' questo il bello di un progetto come Palco Oscenico. E' questo il suo senso. Il teatro fuori dai teatri. A disposizione di tutti. Di chi cercherebbe il bello comunque e di chi ha bisogno di essere rincorso. Ogni forma di arte performativa e spettacolo: l'improvvisazione, il cabaret, la sperimentazione. Ad ogni appuntamento uno spicchio diverso di questo mondo. Tutto a disposizione di tutti. In luoghi accessibili e vicini, seppur in alcuni casi non particolarmente adatti. Per l'opportunità di chi rappresenta e di chi gode della rappresentazione.
Palco Oscenico torna a gennaio e io ci sarò. Come sempre. Gioiosa ed orgogliosa.
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