Il mio 4 marzo 1943

Lo scorso febbraio scrissi un post sulle vecchie canzoni dei cantautori italiani.
Scrissi di quanto queste mi piacessero ma anche del dolore provocatomi dai finali struggenti. Raccontai di come da bambina risolvessi la questione inventando trame diverse. Trame in cui agli sfortunati protagonisti veniva data una seconda e più felice alternativa.

Destino volle che, poche settimane dopo, venisse a mancare Lucio Dalla, interprete del brano 4 marzo 1943. Quel giorno sentii la necessità di mettere per iscritto il finale diverso, che era frullato nella mia testa riccia fin da quand'ero piccina.

Poi, però, per pudore questo racconto è rimasto nelle bozze.
Perché crescendo ci si rende conto che non c'è sempre bisogno di un lieto fine, e che certe cose sono già perfette così come sono.

Oggi mi è tornata in mente questa storia e ho pensato a Lucio Dalla, a com'era lui, o meglio, a come appariva a tutti noi che non abbiamo avuto la fortuna di conoscerlo.
Io me lo vedo così, con la barba e il sorriso storto, che mi dice: "Ma chi te lo fa fare di prenderti tanto sul serio? Pubblica sto racconto e beviti un quartino, Pancrazia!"
Lui non mi avrebbe mai chiamata Jane. Lui sicuramente avrebbe preferito Pancrazia.

E quindi oggi vi racconto il mio 4 marzo 1943.
Perché non ci sono mai abbastanza lieti fine nel mondo. E tutti, specialmente gli innamorati, dovrebbero goderne.

Dice che era un bell'uomo e veniva,
veniva dal mare
parlava un'altra lingua,
però sapeva amare
e quel giorno lui prese a mia madre
sopra un bel prato
l'ora più dolce prima di essere ammazzato.

Quella mattina lo trovarono con la pancia aperta, gli occhi all'infuori e la lingua penzoloni. Una scena da far accapponare la pelle. Una scena da morire impressionati.

Nicola era un baro e tutti gli volevano male. Due sere prima aveva persino provato a fare il furbo con lo Straniero. Ma questi si era messo a bestemmiare in una lingua antica, aveva fatto volare carte e bicchieri, e poi gliene aveva date tante ma tante da sbucciarsi le nocche.

Fu per questo motivo che, quando trovarono Nicolino ridotto a quel modo, diedero tutti la colpa all'ultimo arrivato e corsero a cercarlo. Sicuramente era stato lui a fargliela pagare, a finire la lezione, ad aprirlo come un capretto. Senza neanche un poco di carità cristiana, senza neanche un pezzo di cuore o di pietà. "Della gente che viene da fuori non ci si può fidare, sono bestie cresciute senza Dio", urlò Franco il fornaio. E tutti gli uomini del paese, armati di mazze e bastoni, corsero a cercare lo Straniero.

Maria era bella, giovane e coi ricci stretti come fusilli. Quando gli uomini le si avvicinavano li scacciava via con la scopa. Come una strega. Perché era bella, giovane, coi ricci stretti come fusilli ma non era una zozza.
Il parroco ancora zoppicava per la botta che s'era preso sulla coscia, razza di porco. L'appuntato non aveva saputo proprio come spiegare il bernoccolo sulla fronte, e per una settimana per la vergogna s'era guardato solo la punta delle scarpe. E il pastore aveva detto a tutti che s'era fatto male mettendosi sul groppone un montone, ma nessuno c'aveva creduto veramente.

Lo Straniero s'era infilato nel letto della bella Maria senza bisogno di parole, regalini o prepotenze. S'erano visti in piazza. A lei si era sciolto il cuore e s'erano aperte le gambe. Lui si era presentato alla porta della stanza vicino al porto, ed era rimasto tutta la notte a farle cantare corpo e gola. Prima sul piccolo letto di paglia e poi sul prato dietro la casa, nudi come due pupi a guardare le stelle e contare i sospiri.
Stavano ancora abbracciati sull'erba umida quando sentirono avvicinarsi la folla. La folla che urlava e si gonfiava come il mare. La folla senza testa ma con tante braccia. La folla cattiva come una creatura del demonio.

Lui scappò verso la collina e Maria rimase ad aspettare quelle furie con la scopa in mano.
"Dove l'hai messo quell'assassino, dove l'hai nascosto, puttana che non sei altro?", le urlarono contro mentre lei mostrava i denti e soffiava, peggio d'una gatta arrabbiata.

Per tutto il giorno e fino a notte fatta gli uomini continuarono a cercare lo Straniero.
"Andiamo alla cappella", diceva Franco il fornaio, e intanto nascondeva il coltello dietro la bottega. "Proviamo al faro", suggeriva mentre quella svergognata di sua moglie gli lavava la camicia zozza di sangue.
Lavava e piangeva. Piangeva per l'amore suo, il suo Nicolino che tante cose belle gli aveva promesso. Piangeva perché si ritrovava di nuovo sola con un marito senza poesia ma le mani pesanti, e la rabbia nel cuore.

Ogni tanto a qualcuno il dubbio gli veniva e allora guardava Franco di traverso. La storia della moglie sua e del baro la sapevano tutti. Ma comunque era meglio dare la colpa allo Straniero. Che tanto pure se l'assassino non era lui, qualche altra porcheria doveva averla combinata di sicuro. Veniva da fuori e chissà di chi era figlio.

Quella notte Maria tornò a dormire sul prato, a pensare all'amore suo, e a piangere un poco. Solo un poco però. Perché lei le lacrime le aveva finite quasi tutte da piccola. E aveva imparato che non servivano a niente. Solo a farti venire gli occhi rossi e la faccia brutta.

Maria stava rannicchiata a giocare con i fili d'erba quando sentì un fischio leggero e il profumo di terra lontana. Si mise seduta e lo vide. Lo Straniero stava in piedi in cima alla collina.
Era tornato. Era tornato solo per lei. Nessuno era mai tornato per lei.

"Assassino e ladro di femmine", lo ricordano ancora così in paese.
Pure adesso che sono passati tanti anni.
Pure adesso che Franco il fornaio l'hanno rinchiuso per aver aperto la pancia con un coltellaccio anche alla moglie.

Pure adesso che Maria e lo Straniero vivono felici dall'altra parte del mare, con un figlio ormai grande, l'argento tra i capelli e l'amore ancora stretto tra le cosce.

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