L'importanza della letteratura e della mancanza di vergogna
Negli ultimi giorni su twitter si è molto parlato dei grandi classici della letteratura. Ma soprattutto dell'effetto deleterio della lettura scolastica coercitiva.
Io, al riguardo, mi sento una felice e fortunata eccezione. Eccezione dovuta a insegnanti colti ed appassionati che hanno saputo trasmettermi l'amore per molti autori e per le loro opere.
Fin dalle elementari, la mia distratta ma propositiva maestra mi condusse lungo le strade magiche ed esotiche delle imprese omeriche, per poi farmi passeggiare all'interno dei paesaggi nostrani del Manzoni.
Il professore del triennio liceale, uomo freddo e scostante ma portatore di un bagaglio culturale impressionante, mi guidò tra le parole dure e intense dei "Malavoglia", e tra le pagine struggenti di "Con gli occhi chiusi".
La sottile e brevilinea insegnante d'inglese mi svelò le meraviglie della letteratura d'oltre Manica: da Jane Austen alle sorelle Brontë, da Shakespeare a Conrad.
Ma, tra tutti, ricordo con particolare affetto soprattutto la mia professoressa di prima superiore. Piemontesissima signora dall'età indefinita e l'eleganza innata. Portava collane di lapislazzuli, non si era mai sposata, ed il suo sguardo tradiva una fame di vita che, soddisfatta o meno, le faceva brillare gli occhi intelligenti e vispi.
Ella cercò d'insegnarci, tra le altre cose, l'importanza della curiosità e l'amore per Sciascia.
Durante l'anno scolastico ci fece leggere tutte le opere principali dell'autore siciliano. Ad ogni titolo seguivano schede di lettura e discussioni libere in classe. Io leggevo e godevo, ma ci fu anche chi, inevitabilmente, scelse di percorrere l'ingannevole strada dei bignami e delle versioni cinematografiche.
Fu per questo motivo che un giorno l'insegnante, niente affatto ingenua, decise di assestarci un astuto tiro mancino.
Un tema da svolgere in classe. A sorpresa.
Un'unica traccia.
"Il giorno della civetta".
"L'avete letto, vero?", ci chiese con un lampo luciferino negli occhi.
Ci mettemmo tutti al lavoro, alcuni più sereni di altri, fino a quando non ebbe inizio la rappresentazione del secolo.
LAmicaMeri, che a quei tempi non era ancora LAmicaMeri ma solo la spilungona seduta in fondo all'aula, iniziò a contorcersi lamentando crampi addominali, sudori freddi, cefalea, broncospasmo, angina, delirium tremens, un inizio d'infarto e un sospetto di peste bubbonica.
Tutti la guardavamo perplessi. Tutti inclusi la professoressa.
Ma lei continuava a lamentarsi.
Tutti sospettavamo la truffa. Tutti inclusi la professoressa.
Ma lei continuava a contorcersi.
Tutti ammiravamo la sua spregiudicata faccia di tolla. Tutti. Probabilmente anche la professoressa.
E al fine LAmicaMeri ne uscì vittoriosa.
Nessuno le credette. Neanche la professoressa.
Ma una scena da melodramma simile meritò assoluzione immediata e stima sempiterna da parte di tutti.
E, inoltre, mi regalò il privilegio di poter ritirare periodicamente fuori questa storia solo per il piacere di sbertucciare un po' quella pazza dell'amica mia.
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