Scontenta per la posizione periferica dello studentato, a Novembre compilai il modulo di rinuncia alla mia camera. Dal momento della consegna avrei avuto un mese a disposizione prima di dover andarmene.
30 giorni per trovare l'appartamento dei miei sogni, 30 giorni per cercare un nuovo posto dove stare, 30 giorni per non finire a dormire sotto un ponte.
30 giorni possono essere tanti o pochissimi.
Carica di ottimismo, ma anche di una certa ansia, mi imbarcai nella ricerca della mia nuova casa.
Lo scopo era quello di trovare una stanza in una WG (alloggio diviso tra più adulti, studenti o meno), in un bel quartiere e ad un prezzo ragionevole.
La concorrenza era agguerrita, le offerte (decenti) inferiori alle domande, l'impresa ardua.
Fatica, frustrazione e scoramento sarebbero stati i miei fedeli compagni per alcune intense settimane.
Ogni sabato mattina mi recavo in edicola a comprare i giornali specializzati, spulciavo tutti gli annunci, selezionavo le proposte più interessanti e poi telefonavo per prendere appuntamento. Il momento topico della conversazione era sempre lo stesso:
Nel giro di un paio di settimane vidi molti appartamenti.
Quelli migliori venivano presi d'assalto da orde di giovani. Ci ritrovavamo in fila, come all'ufficio di collocamento o ad un provino per il Grande Fratello. Non eravamo noi a "giudicare" la casa, ma i futuri coinquilini a decidere se noi eravamo all'altezza del giaciglio offertoci.
Quelli peggiori erano ovviamente molto meno ambiti. Del resto non c'è da stupirsi che non ci fosse la fila per accaparrarsi un sottoscala caro quanto un attico, per godere la gioia di un' ottantenne come coinquilina, o per provare le brezza di vivere tra simpatici spacciatori ed amichevoli Naziskin.
Alla fine, dopo settimane di appuntamenti e molte delusioni, le opzioni vagamente accettabili rimaste a mia disposizione erano solo due. Potevo scegliere se vivere con "Rosemary' s Baby" o lo "Psycho Brother".
Il primo alloggio si trovava nel mio quartiere preferito: Prenzlauerberg (ora entrato a far parte del distretto di Pankow). Vitale polo di attrazione per artisti e giovani provenienti da tutto il mondo, pieno di Caffè, negozi colorati e ristorantini etnici.
Guardai le strade ed i palazzi limitrofi con commozione, iniziai a salire le scale con una rinnovata speranza, bussai alla porta con il cuore gonfio d'attesa. Dopo un secondo l'uscio si aprì, io sfoderai il migliore dei miei sorrisi, ma davanti a me non trovai il tipico fricchettone berlinese o l'ennesimo studente Erasmus, bensì una bambina.
Una bimba con il viso imbronciato e lo sguardo rabbioso.
I miei futuri coinquilini sarebbero dovuti essere un padre single, giovane e belloccio, e la di lui figlioletta, con l'aria dolce e rassicurante della protagonista de L'Esorcista.
Mentre il papà mi mostrava l'appartamento, l'adorabile frugoletto mi lanciava sguardi carichi d'odio.
Mentre sedevamo tutti intorno ad un tavolo, l'angioletto tentava di prendermi a calci.
Mentre parlavamo di affitti e spese, la fetente lillipuziana precisava che: "Io questa in casa non ce la voglio!"
La camera da affittare era enorme e bella, l'alloggio fantastico, il quartiere il meglio che io potessi desiderare, ma l'idea di convivere con la bimba posseduta dallo dimonio mi frenava assai.
Me ne andai con un vago "Mi faccio sentire io" ed affranta arrancai verso la mia ultima destinazione: l'appartamento dello Psycho Brother.
Il quartiere era periferico, quasi quanto quello dello studentato, e l'edificio un casermone in pieno stile sovietico. Una tristezza infinita.
Ad aspettarmi trovai un ragazzo alto e smilzo, proprietario dell'immobile; una ragazza coreana, che si era appena aggiudicata l'ultimo posto decente disponibile, lasciando a mia disposizone uno sgabuzzino con lucernaio; tre gatti piscioni e lo Psycho Brother, fratello del proprietario, chiuso a doppia mandata nella propria stanza perché "preferisce stare per i fatti propri" , "non ama gli estranei" ed "è un po' strano, ma tranquillo".
La casa era carina, ma la brutta posizione, le dimensioni della mia camera e soprattutto la presenza dello strano figuro di cui sopra, mi facevano intravedere terribili quadri futuri. Che andavano dall'obbligo di dividere il mio misero giaciglio con i tre gatti piscioni fino al mio accoltellamento sotto la doccia ad opera dello Psycho Brother.
La mia calda ed accogliente stanzetta a Schlachtensee non mi era mai parsa così bella e sicura.
Tornai a casa terribilmente scoraggiata e, mentre affogavo i dispiaceri in un thè alla cannella, qualcuno bussò alla mia porta:
Continua...
Prologo, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13
30 giorni per trovare l'appartamento dei miei sogni, 30 giorni per cercare un nuovo posto dove stare, 30 giorni per non finire a dormire sotto un ponte.
30 giorni possono essere tanti o pochissimi.
Carica di ottimismo, ma anche di una certa ansia, mi imbarcai nella ricerca della mia nuova casa.
Lo scopo era quello di trovare una stanza in una WG (alloggio diviso tra più adulti, studenti o meno), in un bel quartiere e ad un prezzo ragionevole.
La concorrenza era agguerrita, le offerte (decenti) inferiori alle domande, l'impresa ardua.
Fatica, frustrazione e scoramento sarebbero stati i miei fedeli compagni per alcune intense settimane.
Ogni sabato mattina mi recavo in edicola a comprare i giornali specializzati, spulciavo tutti gli annunci, selezionavo le proposte più interessanti e poi telefonavo per prendere appuntamento. Il momento topico della conversazione era sempre lo stesso:
"Wie ist die Adresse?"Erano pochissime le volte in cui capivo l'indirizzo al volo, spesso dovevo chiedere lo spelling ed in alcuni imbarazzanti e penosi casi neanche ciò era sufficiente. Allora mi armavo di stradario e pazienza e, andando per tentativi ed assonanze, alla fine risolvevo il mistero e risalivo al nome esatto della via. Un' acuta detective? No, semplicemente una ragazza disperata e caparbia.
"Sbaragnaustrasse"
"Eh???"
"Superkazzolenstrasse"
"Wasssssss?"
Nel giro di un paio di settimane vidi molti appartamenti.
Quelli migliori venivano presi d'assalto da orde di giovani. Ci ritrovavamo in fila, come all'ufficio di collocamento o ad un provino per il Grande Fratello. Non eravamo noi a "giudicare" la casa, ma i futuri coinquilini a decidere se noi eravamo all'altezza del giaciglio offertoci.
Quelli peggiori erano ovviamente molto meno ambiti. Del resto non c'è da stupirsi che non ci fosse la fila per accaparrarsi un sottoscala caro quanto un attico, per godere la gioia di un' ottantenne come coinquilina, o per provare le brezza di vivere tra simpatici spacciatori ed amichevoli Naziskin.
Alla fine, dopo settimane di appuntamenti e molte delusioni, le opzioni vagamente accettabili rimaste a mia disposizione erano solo due. Potevo scegliere se vivere con "Rosemary' s Baby" o lo "Psycho Brother".
Il primo alloggio si trovava nel mio quartiere preferito: Prenzlauerberg (ora entrato a far parte del distretto di Pankow). Vitale polo di attrazione per artisti e giovani provenienti da tutto il mondo, pieno di Caffè, negozi colorati e ristorantini etnici.
Guardai le strade ed i palazzi limitrofi con commozione, iniziai a salire le scale con una rinnovata speranza, bussai alla porta con il cuore gonfio d'attesa. Dopo un secondo l'uscio si aprì, io sfoderai il migliore dei miei sorrisi, ma davanti a me non trovai il tipico fricchettone berlinese o l'ennesimo studente Erasmus, bensì una bambina.
Una bimba con il viso imbronciato e lo sguardo rabbioso.
I miei futuri coinquilini sarebbero dovuti essere un padre single, giovane e belloccio, e la di lui figlioletta, con l'aria dolce e rassicurante della protagonista de L'Esorcista.
Mentre il papà mi mostrava l'appartamento, l'adorabile frugoletto mi lanciava sguardi carichi d'odio.
Mentre sedevamo tutti intorno ad un tavolo, l'angioletto tentava di prendermi a calci.
Mentre parlavamo di affitti e spese, la fetente lillipuziana precisava che: "Io questa in casa non ce la voglio!"
La camera da affittare era enorme e bella, l'alloggio fantastico, il quartiere il meglio che io potessi desiderare, ma l'idea di convivere con la bimba posseduta dallo dimonio mi frenava assai.
Me ne andai con un vago "Mi faccio sentire io" ed affranta arrancai verso la mia ultima destinazione: l'appartamento dello Psycho Brother.
Il quartiere era periferico, quasi quanto quello dello studentato, e l'edificio un casermone in pieno stile sovietico. Una tristezza infinita.
Ad aspettarmi trovai un ragazzo alto e smilzo, proprietario dell'immobile; una ragazza coreana, che si era appena aggiudicata l'ultimo posto decente disponibile, lasciando a mia disposizone uno sgabuzzino con lucernaio; tre gatti piscioni e lo Psycho Brother, fratello del proprietario, chiuso a doppia mandata nella propria stanza perché "preferisce stare per i fatti propri" , "non ama gli estranei" ed "è un po' strano, ma tranquillo".
La casa era carina, ma la brutta posizione, le dimensioni della mia camera e soprattutto la presenza dello strano figuro di cui sopra, mi facevano intravedere terribili quadri futuri. Che andavano dall'obbligo di dividere il mio misero giaciglio con i tre gatti piscioni fino al mio accoltellamento sotto la doccia ad opera dello Psycho Brother.
La mia calda ed accogliente stanzetta a Schlachtensee non mi era mai parsa così bella e sicura.
Tornai a casa terribilmente scoraggiata e, mentre affogavo i dispiaceri in un thè alla cannella, qualcuno bussò alla mia porta:
"Ciao Jane"
"Ciao amichetta Eli"
"Com'è andata la ricerca?"
"Un disastro"
"Non ti preoccupare, ho trovato questo numero sulla bacheca di Fisica. E' l'appartamento perfetto per te!"
Continua...
Prologo, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13