Marije era la coinquilina perfetta: pulita, affabile e sempre disponibile.
In verità, a voler essere proprio pignoli, un difettuccio ce l'aveva: ospitava continuamente gente a casa.
La sua vita randagia, divisa tra Olanda, Svizzera, Australia e Germania, l'aveva portata ad avere amici sparsi per tutto il mondo. Amici che periodicamente la venivano a trovare.
Tutto questo via vai era molto pittoresco e divertente, ma ogni tanto un po' di tranquillità non mi sarebbe dispiaciuta. Fare colazione con emeriti sconosciuti o sorprendere coppie nordiche che copulano sotto la doccia può anche essere divertente, ma dopo un po' viene a noia.
Ad onor del vero, devo ammettere che tutto questo traffico aveva un suo lato positivo. Ogni volta che doveva arrivare qualcuno, Marije si metteva a pulire casa da cima a fondo e, data la frequenza con cui arrivavano ospiti, l'appartamento era sempre lindo e splendente senza bisogno che io alzassi un dito.
Lei entrava in cucina con secchio e scopettone ed io capivo che di lì a poco avremmo avuto visite.
La prima sera nel nuovo appartamento la trascorsi a chiacchierare con un ragazzo olandese.
Preda della mia solita ansia da prestazione, desiderosa di risultare simpatica e smaniosa di fare "la donna di mondo", non trovai niente di meglio che raccontargli quella volta che, durante un viaggio in Belgio, mi ero spinta fino in Olanda.
In quell'occasione avevo visitato la cittadina di Maastricht, che non mi aveva colpito particolarmente e che quella sera definì senza mezzi termini: anonima ed insignificante.
"Io sono di Maastricht", disse lui asciutto.
Per un attimo sperai che quello fosse un esempio di ironia olandese. Una battuta. Uno scherzo.
Ed invece no.
Lui non era un olandese ironico in vena di spiritosaggini, ma io ero decisamente un'italiana cretina in vena di figuredimerda.
Un giorno aiutai Marije a preparare una luculliana cenetta per due suoi amici: una ragazza svedese ed il di lei fidanzato.
L'innamorato era nuovo di pacca, venuto fino a Berlino proprio per essere presentato alla mia coinquilina.
Lei era il prototipo perfetto della bellezza nordica: capelli color oro, occhi azzurri, zigomi alti ed un corpo aggraziato.
Lui aveva il fisico del Gobbo di Notre Dame, l'eleganza di Homer Simpson e la simpatia di Puffo Quattrocchi.
Marije, superato lo shock iniziale, esibì per tutta la sera un sorriso tirato, molto simile ad un ringhio, mentre io, zitella ma felice, capì finalmente il profondo significato del detto "meglio soli che male accompagnati".
La mia accondiscendenza nei confronti dei continui ospiti vacillò quando mi venne annunciato l'arrivo di alcune amiche.
Sette.
Sette amiche svizzere.
Nove donne ed un solo bagno. Credo che siano scoppiate guerre sanguinose per molto meno!
Il folto gruppo si fermò per una lunga, lunghissima settimana, dormendo spalmato su letti, brandine e materassini. Un accampamento in piena regola.
Questa affollata visita cadde proprio nel bel mezzo della sessione dei miei esami e più di una volta, esasperata dalla confusione ed il chiacchiericcio, ebbi la tentazione di soffocare nel sonno tutte e sette le galline starnazzanti.
Per fortuna non lo feci e la mattina di una prova scritta trovai, attaccato alla porta della mia camera, un post-it d'incoraggiamento firmato da tutto l'elvetico gruppo vacanze.
Erano molto fastidiose, ma sapevano farsi voler bene.
Ma l'ospite numero uno, l'ospite di tutti gli ospiti, fu lui: l'Australiano.
Tornando a casa un pomeriggio, entrai in cucina e mi trovai di fronte ad un bellissimo ragazzo coperto solo da un asciugamano striminzito avvolto intorno ai fianchi.
"Ciao! Io sono Tom, e tu?"
"Io sono Jane e vivo qua."
"Sei l'Italiana? Io sono stato in vacanza in Italia, mi hanno insegnato tantissime parole", e mi vomitò addosso una serie di parolacce e volgarità che avrebbero fatto arrossire la più navigata delle peripatetiche.
Alla fine mi guardò tutto sorridente e fiero di sé, come un bimbo che ha appena recitato la poesia di Natale ed aspetta l'applauso dei nonni.
Io abbozzai un sorriso e lo perdonai immediatamente. Era evidente che non fosse completamente consapevole di tutto ciò che aveva detto.
Era carino e mezzo nudo, non potevo pretendere che fosse anche sveglio.
Continua...
Prologo, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15
In verità, a voler essere proprio pignoli, un difettuccio ce l'aveva: ospitava continuamente gente a casa.
La sua vita randagia, divisa tra Olanda, Svizzera, Australia e Germania, l'aveva portata ad avere amici sparsi per tutto il mondo. Amici che periodicamente la venivano a trovare.
Tutto questo via vai era molto pittoresco e divertente, ma ogni tanto un po' di tranquillità non mi sarebbe dispiaciuta. Fare colazione con emeriti sconosciuti o sorprendere coppie nordiche che copulano sotto la doccia può anche essere divertente, ma dopo un po' viene a noia.
Ad onor del vero, devo ammettere che tutto questo traffico aveva un suo lato positivo. Ogni volta che doveva arrivare qualcuno, Marije si metteva a pulire casa da cima a fondo e, data la frequenza con cui arrivavano ospiti, l'appartamento era sempre lindo e splendente senza bisogno che io alzassi un dito.
Lei entrava in cucina con secchio e scopettone ed io capivo che di lì a poco avremmo avuto visite.
La prima sera nel nuovo appartamento la trascorsi a chiacchierare con un ragazzo olandese.
Preda della mia solita ansia da prestazione, desiderosa di risultare simpatica e smaniosa di fare "la donna di mondo", non trovai niente di meglio che raccontargli quella volta che, durante un viaggio in Belgio, mi ero spinta fino in Olanda.
In quell'occasione avevo visitato la cittadina di Maastricht, che non mi aveva colpito particolarmente e che quella sera definì senza mezzi termini: anonima ed insignificante.
"Io sono di Maastricht", disse lui asciutto.
Per un attimo sperai che quello fosse un esempio di ironia olandese. Una battuta. Uno scherzo.
Ed invece no.
Lui non era un olandese ironico in vena di spiritosaggini, ma io ero decisamente un'italiana cretina in vena di figuredimerda.
Un giorno aiutai Marije a preparare una luculliana cenetta per due suoi amici: una ragazza svedese ed il di lei fidanzato.
L'innamorato era nuovo di pacca, venuto fino a Berlino proprio per essere presentato alla mia coinquilina.
Lei era il prototipo perfetto della bellezza nordica: capelli color oro, occhi azzurri, zigomi alti ed un corpo aggraziato.
Lui aveva il fisico del Gobbo di Notre Dame, l'eleganza di Homer Simpson e la simpatia di Puffo Quattrocchi.
Marije, superato lo shock iniziale, esibì per tutta la sera un sorriso tirato, molto simile ad un ringhio, mentre io, zitella ma felice, capì finalmente il profondo significato del detto "meglio soli che male accompagnati".
La mia accondiscendenza nei confronti dei continui ospiti vacillò quando mi venne annunciato l'arrivo di alcune amiche.
Sette.
Sette amiche svizzere.
Nove donne ed un solo bagno. Credo che siano scoppiate guerre sanguinose per molto meno!
Il folto gruppo si fermò per una lunga, lunghissima settimana, dormendo spalmato su letti, brandine e materassini. Un accampamento in piena regola.
Questa affollata visita cadde proprio nel bel mezzo della sessione dei miei esami e più di una volta, esasperata dalla confusione ed il chiacchiericcio, ebbi la tentazione di soffocare nel sonno tutte e sette le galline starnazzanti.
Per fortuna non lo feci e la mattina di una prova scritta trovai, attaccato alla porta della mia camera, un post-it d'incoraggiamento firmato da tutto l'elvetico gruppo vacanze.
Erano molto fastidiose, ma sapevano farsi voler bene.
Ma l'ospite numero uno, l'ospite di tutti gli ospiti, fu lui: l'Australiano.
Tornando a casa un pomeriggio, entrai in cucina e mi trovai di fronte ad un bellissimo ragazzo coperto solo da un asciugamano striminzito avvolto intorno ai fianchi.
"Ciao! Io sono Tom, e tu?"
"Io sono Jane e vivo qua."
"Sei l'Italiana? Io sono stato in vacanza in Italia, mi hanno insegnato tantissime parole", e mi vomitò addosso una serie di parolacce e volgarità che avrebbero fatto arrossire la più navigata delle peripatetiche.
Alla fine mi guardò tutto sorridente e fiero di sé, come un bimbo che ha appena recitato la poesia di Natale ed aspetta l'applauso dei nonni.
Io abbozzai un sorriso e lo perdonai immediatamente. Era evidente che non fosse completamente consapevole di tutto ciò che aveva detto.
Era carino e mezzo nudo, non potevo pretendere che fosse anche sveglio.
Continua...
Prologo, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15