Erasmus (17. C'è chi lo fa dietro ad una stalla)

Molti giovani, che si trovano a vivere per un breve periodo all'estero, tornano in patria cambiati, non solo nello spirito, ma anche e soprattutto nell'aspetto.
Io non feci eccezione.

La prima vittima della mia smania di rinnovamento fu la capigliatura che, oltre a subire un progressivo ed inesorabile mutamento dal castano scuro al biondo VorreiEssereSvedese, venne brutalmente ridotta di volume e lunghezza dalle mie stesse mani durante una serata di solitario e sforbiciante delirio.
Mi ero scocciata dei miei capelli, da sciolti avevo un capoccione ingestibile e da legati sembravo una giovane signorina Rottermeier. Era assolutamente necessario prendere provvedimenti!
L'idea di rivolgermi ad un parrucchiere tedesco non mi sfiorò neanche per un momento e preferì fare tutto da sola.
Il risultato fu al di là delle mie più rosee aspettative. Da un insano gesto, che avrebbe potuto costringermi a girare con un sacchetto in testa per almeno un paio di mesi, scaturì invece un taglio molto carino, che avrei conservato per parecchio tempo.

Fu molto più graduale, ma decisamente più devastante l'effetto che l'Erasmus ebbe sul mio guardaroba.
I tedeschi hanno tante qualità, ma non sono certo famosi per il buon gusto nel vestire. Il loro problema, secondo me, sta nell'approccio troppo disinvolto con l'abbinamento di capi e colori differenti. Approccio che può diventare contagioso come il raffreddore.
Mi bastarono alcune settimane in Germania e gli accostamenti, che a Torino avrei definito brutti e di cattivo gusto, divennero ai miei stessi occhi mettibili, interessanti o addirittura "cool".
Questo muovermi al di fuori degli schemi e dei percorsi conosciuti mi diede un senso di vertigine e libertà. La sensazione era tanto piacevole che me la portai dietro anche al ritorno in Italia e ci misi anni per riacquistare il senso del decoro.

Ma se con capelli ed abiti ci vuole poco, se ci si pente, a ritornare sui propri passi, ci sono alcune scelte definitive che lasciano segni indelebili.
Io, ovviamente, feci anche una di quelle scelte.
Un sabato pomeriggio ci ritrovammo in tre in uno storico negozietto del centro. Lui trafficava con i suoi attrezzi, bofonchiando nel proprio idioma. Io, sdraiata sul lettino, mi guardavo attorno, preoccupata che fosse tutto realmente sterilizzato e monouso. Eli, seduta accanto a me, si occupava del supporto morale.
L'oracolo segnò anche quest'occasione con una delle sue ispirate frasi: "Una mia amica l'ha fatto in un tendone dietro ad una stalla, ma è ancora viva."
"Sticaz...ouch!", non ebbi neanche il tempo di risponderle che avevo già il mio nuovo piercing all'ombelico.

Una studentessa Erasmus con una nuova pettinatura, un nuovo guardaroba ed un piercing. Ero praticamente un cliché vivente.

Continua...

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