... anche il Pancarré.
A tal proposito, tempo fa, ho pubblicato un racconto sul quotidiano online TorinOggi. Realtà con cui collaboro felicemente da qualche anno.
Le prime righe ve le propongo qua, le altre dovrete leggerle sul sito ufficiale.
Buona lettura!
L'invenzione del Pancarré. Una storia raccontata da un punto di vista insolito
La folla urla e insulta. Il malcapitato ha le gambe che gli tremano. Cercherò di essere più rapido possibile, nessuno dovrebbe salutare questa terra nel terrore.
Non amo il mio lavoro ma mi permette di vivere bene. E poi qualcuno deve pur farlo.
La gente insulta ladri e assassini quando sono al patibolo ma poi quando tutto passa, la testa cade e si torna per le strade, quello ad essere insultato sono io. Il boia.
Le mie mani sono sporche di sangue, non lo nego. Ma lo sono anche quelle del giudice e soprattutto quelle della folla assetata del dolore altrui che, alla faccia di ciò che ci ha lasciato detto nostro signore Gesù Cristo, di “prime pietre” ne scaglia un bel po'.
Ogni volta che c'è un'esecuzione la piazza è così piena che, tra una spalla e l'altra, non riuscirebbe a cadere a terra neanche una capocchia di spillo. Stanno tutti là ad abbeverarsi del sangue colpevole del condannato. Senza carità cristiana. Senza perdono nel cuore. Senza vergogna negli occhi.
Loro urlano, incitano, maledicono. Ma poi sono io quello che viene segnato per strada, evitato come se infetto, insultato come se colpevole. Ma colpevole di cosa? Io per le anime e i corpi dei condannati la mostro un po' di pietà. Sono rapido e preciso. Mi pagano bene ma il mio lavoro non potrei farlo meglio.
Non amo il mio lavoro ma mi permette di vivere bene. E poi qualcuno deve pur farlo.
La gente insulta ladri e assassini quando sono al patibolo ma poi quando tutto passa, la testa cade e si torna per le strade, quello ad essere insultato sono io. Il boia.
Le mie mani sono sporche di sangue, non lo nego. Ma lo sono anche quelle del giudice e soprattutto quelle della folla assetata del dolore altrui che, alla faccia di ciò che ci ha lasciato detto nostro signore Gesù Cristo, di “prime pietre” ne scaglia un bel po'.
Ogni volta che c'è un'esecuzione la piazza è così piena che, tra una spalla e l'altra, non riuscirebbe a cadere a terra neanche una capocchia di spillo. Stanno tutti là ad abbeverarsi del sangue colpevole del condannato. Senza carità cristiana. Senza perdono nel cuore. Senza vergogna negli occhi.
Loro urlano, incitano, maledicono. Ma poi sono io quello che viene segnato per strada, evitato come se infetto, insultato come se colpevole. Ma colpevole di cosa? Io per le anime e i corpi dei condannati la mostro un po' di pietà. Sono rapido e preciso. Mi pagano bene ma il mio lavoro non potrei farlo meglio.