Al telefono.
Ciccio: "Ciao amore, com'è andata dalla pettinatrice?"
Jane: "Una catastrofe!"
Ciccio: "Addirittura?"
Jane: "Sì, quella strega mi ha tagliato i capelli troppo corti!"
Ciccio: "Quanto corti?"
Jane: "Sembro un marine!"
Ciccio: "Esagerata, non ci credo"
Jane: "Vabbè, magari un marine no"
Ciccio: "Ah, ecco, volevo ben dire"
Jane: "Ma un impiegato del catasto sì!"
Ciccio: "Eh?"
Jane: "Anzi no! Sembro mia zia! Oh cielo sembro mia zia Concetta!!!"
C'era una volta
la Regina Jane Pancrazia,
sovrana generosa che amava far visita ai propri sudditi,
portando con sé melodioso buonumore e luminosa beltà.
Un giorno la Regina decise, persino, di recarsi nell'antro della strega più vecchia e malvagia del regno.
"È perfida e puzzona", disse tra sé e sé, "ma non per questo devo evitarla o trattarla con minor considerazione rispetto al resto del popolo"
Fu così che la sovrana si mise in cammino. Sopportò l'ululato del vento ed il pianto del cielo. Calpestò mille strade fangose ed infine giunse nella grotta della Strega Taglio&Piega.
Questa, con lo sguardo malvagio e l'alito fetente, esibì il più falso dei sorrisi: "Mettetevi comoda, mia Regina," disse, "per ricambiare il grande onore che mi state facendo con la vostra sola presenza, vi regalerò una nuova acconciatura"
"Oh, come siete gentile!", rispose quell'innocente rimbambita della sovrana. Poi si accomodò e, vittima di un sortilegio, cadde immediatamente addormentata.
Impossibile capire quanto tempo passò: un minuto, una settimana o forse cent'anni. Fatto sta che, al risveglio, Jane Pancrazia si trovò sola e priva dei suoi preziosi ricci magici.
La Regina, da quel dì, vive nascosta nella torre più alta del Castello.
Versa copiose lacrime e aspetta che il maleficio della Strega Taglio&Piega faccia il suo tempo.
Solo così, un giorno, la sfortunata sovrana potrà tornare ad agitare la propria magica chioma ricciuta. E tutto il regno a far festa e vivere sereno.
Fine.
C'era una volta una splendida Regina.
Ella era bella assai, con capelli ricci di nuvola e lunghe ciglia di seta.
Ogni giorno camminava per il suo regno e si fermava a salutare tutti i sudditi: i bambini, i contadini, il maniscalco, la fornaia, ma anche gli animali come il rospo del grande stagno, la cicogna dalle unghie dipinte e persino la puzzola col musetto a punta.
Ogni giorno la sovrana camminava e parlava. Camminava, parlava e raccontava. Camminava, parlava e inventava storie sempre nuove, storie i cui protagonisti erano gli stessi abitanti del di lei felice regno.
Questi racconti però non avevano peso e, come nascevano, invece di finire sulle pagine di un libro, volavano su in cielo e presto scomparivano, senza lasciare traccia e memoria.
La Regina si crucciava, non sapeva come poter fare in mondo che i propri racconti trovassero una casa, un letto dove riposare, una dimora dove sostare.
Fu così che, per cercare una soluzione, decise di rivolgersi alla fata Numerilla. Questa l'accolse nel suo studiolo, racchiuso nel guscio di una noce, la fece accomodare sopra una poltrona dai mille cuscini e poi cercò una risposta dentro specchi magici, carte incantate e sfere di cristallo impolverate.
Alla fine si alzò in piedi e, agitando le ali dorate, disse:
"Da questo momento in poi, oh augusta maestà, le vostre storie brilleranno dentro volumi
magici. Volumi nati per far sognare e divertire grandi e piccini."
Poi, dando un colpo di bacchetta recitò ad alta voce: "Firulì e firulà, la mia magia è questa qua. Firulà e Firulì la vostra partita I.V.A. eccola qui!"
Alla Regina vennero immediatamente 10 capelli d'argento ma anche una strana e contagiosa furia creativa.
Da quel giorno la sovrana scrive meravigliosi racconti su misura, li illustra con le sue manine, li fa rilegare dai folletti del bosco e consegnare ai destinatari dal postino del Regno, Uga la Tartaruga.
E, dall'altro ieri, l'instancabile Regina ha persino aperto una pagina Facebook. Questa
qua.
Nell'attesa che si viva tutti felici e contenti, che ne dite di correre a visitarla?
Per fare certe scoperte uno pensa di dover affidarsi a Giacobbo, Daniele Bossari oppure a Fiammetta Cicogna. Per venire a conoscenza di certi misteri della natura uno pensa di aver bisogno di una laurea in scienze naturali, un master in biologia applicata, o perlomeno un abbonamento a Focus Junior. Per poter giungere a un tale livello di scienza e conoscenza dell’essere umano e delle sue intrinseche capacità uno pensa di dover viaggiare in lungo e in largo per tutto il globo terracqueo, frequentare le tribù della Papuasia, o essere eletto vicesindaco di una comunità Inuit.
E invece no! Certe cose si finisce con l’impararle in posti, tempi e luoghi tra i più impensati.
Ad esempio, se non fosse stato per un pisolino pomeridiano, cuore a cuore con mio nipote, non avrei mai saputo che un grazioso esemplare di homino sapiens sapiens, alto 90 cm e la cui massa si aggira intorno ai 14 kg, fosse in grado di russare con la potenza e il talento di un ippopotamo adulto con le adenoidi ingrossate.
N.d.A. Passando dalle scienze alle lettere, vi segnalo che la favola
“Il Cavaliere che divenne Principe”, che la maggior parte di voi già conosce, ora è disponibile anche sulle pagine di
Ti racconto una Fiaba. Un sito che raccoglie racconti classici, meno classici, e piccole opere di sconosciuti. Un progetto per far sognare grandi e piccini, a cui possono partecipare tutti, proponendo anche una microfavola di soli 140 caratteri.
In un tempo senza tempo, in un paese lontano lontano, viveva un cavaliere dall'armatura scintillante.
Il sole splendeva alto nel cielo, i monti disegnavano l'orizzonte, distese di fiori alti quanto bambini riempivano gli occhi, ed il prode V, con una bella piuma rossa come pennacchio, cavalcava il suo destriero lungo strade, boschi e campi.
Ogni volta che c'era un problema il CavaliereV arrivava in soccorso: salvava fanciulle in difficoltà, portava bimbi al sicuro e sconfiggeva bestie feroci.
"Ti siamo debitori, prendi in dono uno zecchino", lo ringraziavano i vecchi capi villaggio. "Fermati un poco con noi, ti daremo lingotti d'oro e argento", lo allettavano i borgomastri. "Rimani a proteggere il castello e ti coprirò di gioielli e pietre preziose", gli proponeva il Conte della fortezza antica.
"No, grazie mille", rispondeva V, faceva un inchino, scuoteva il rosso pennacchio e ripartiva in groppa al suo cavallo mai stanco. Lui degli zecchini non sapeva proprio cosa farsene e poi nella bell'armatura non aveva neanche una tasca piccina piccina dove metterli; l'oro e l'argento lo facevano riempire di bolle peggio di un folletto col varibillo; e la fortezza non gli piaceva per niente, tutta scura e piena di spifferi com'era.
Le fanciulle amavano il CavaliereV e sospiravano intravedendo il suo sguardo di brace attraverso la fessura dell'elmo, i giovani sognavano di poter essere forti e coraggiosi come lui, ma in verità il cavaliere non era mica tanto contento. Ogni notte si stendeva ai piedi di un grande albero a guardare le stelle. Ogni notte restava sveglio perché, se sei solo in mezzo al bosco, puoi permetterti di dormire solo con gli occhi aperti. Ogni notte si chiedeva quando avrebbe trovato riposo: fare l'eroe gli piaceva assai ma delle volte un poco di pace ed un pisolino come si deve non gli sarebbero mica dispiaciuti.
Un giorno d'estate un vecchio contadino gli si parò davanti in mezzo al sentiero: "CavaliereV hai sentito la triste novella? In un paese lontano lontano un Drago sta tenendo prigionieri un fattore e sua moglie. Poverini, nessuno corre ad aiutarli perché tutti hanno paura di quel bestione grande e cattivo."
"Ci andrò io", rispose lesto il cavaliere dal pennacchio rosso, che aveva il cuore grande e l'animo nobile.
"Ma è lontano."
"Cavalcherò giorno e notte se sarà necessario", e così partì.
Gli ci vollero due giorni e due notti, superò campi e monti, sfidò la pioggia e la neve, fino a quando non giunse in una grande pianura con un fiume che dalla montagna scendeva fino al mare.
Davanti ad un'umile casetta stava seduto un Drago grasso e puzzolente. V poggiò la spada a terra, prese una fogliolina da un cespuglio, e piano piano si avvicinò a quel bestione fiammeggiante. Passo, passo, senza far scricchiolare l'armatura, arrivò fino ad un piedone dalle unghie zozze e, trattenendo il fiato, fece l'unica cosa che può sconfiggere un vero Drago, un segreto segretissimo che solo i grandi cavalieri d'armi e d'onore conoscono: gli fece il solletico.
L'animale spalancò la bocca piena di denti e, invece di sputare fuoco, iniziò a ridere.
Una risata, uno sbuffo di fumo.
Una risata, uno sbuffo di fumo, un colpo di tosse.
Una risata, uno sbuffo di fumo, un colpo di tosse, uno starnuto.
E a forza di ridere, sbuffare, tossire e starnutire, il verde sederone squamoso si sollevò da terra ed il Drago volò via con un bell'attacco di ridarella draghesca. Ahahah, puf, cof, etciù, ahahah, puf, cof, etciù, ahahah, puf, cof, etciù si sentì sempre più distante, fino a quando non ci fu silenzio e lontano nel cielo non rimase che un puntino verde piccolo quanto una capocchia di spillo.
Il fattore e la fattoressa uscirono di corsa da casa: "Grazie cavaliere sconosciuto, grazie per averci salvato. Cosa possiamo fare per te? Noi non abbiamo zecchini, oro, argento o pietre preziose ma se vuoi possiamo dividere la nostra cena in tre."
V, che un certo appetito in effetti ce lo aveva, accettò e mangiò con loro una minestra che era proprio la fine del mondo. Poi, dato che era stanco, si coricò al calduccio sopra un saccone di piume vicino al caminetto. Gli occhi gli si fecero pesanti e, visto che non era da solo ma in casa con lui c'erano quei due signori tanto gentili, decise che un sonnellino piccolo piccolo se lo poteva fare.
La mattina il fattore e la fattoressa si alzarono presto per preparare la colazione al loro salvatore e grande fu lo stupore quando, al posto del prode cavaliere, trovarono un bimbo dai grandi occhi neri ed il sorriso del sole. "Quanto sei bello", gli disse la donna, "sembri proprio un Principe".
Così il CavaliereV divenne PrincipeV.
Ed il fattore e la fattoressa divennero mamma e papà.