Braccia rubate all'agricoltura

In passato vi ho già spiegato il mio amore per il Natale ma anche il mio odio viscerale per Capodanno e Primo d'Aprile, con annesse ataviche motivazioni di carattere psicotraumaticosentimentalscolastico. Ora è venuto il momento che vi parli del mio tormentato rapporto con il Carnevale.
IO ODIO IL CARNEVALE.
Fin da piccolina non ho mai amato travestirmi e, crescendo, questa mia avversione non ha fatto altro che peggiorare.

Vi spiego il perché, regalatemi cinque minuti, lasciatemi il tempo di sdraiarmi sul lettino virtuale del blogger-analista per svelare al mondo le origini di siffatta idiosincrasia.
Come ben sapete ho una sorella, nello specifico una sorella maggiore, molto più grande di me, praticamente ormai un pezzo da museo. A dividerci ci sono ben 8 anni.
Da tipica secondogenita ho ricevuto in eredità parte dei suoi abiti smessi. Nonostante io appartenga alla generazione di bim bum bam e del rosa shocking, ho frequentato le elementari con un look da fricchettona anni '70, abbigliata con maglioncini stretti a dolce vita, pantaloni a zampa d'elefante, e velluto a coste come se piovesse.

Ma non ho ereditato solo il guardaroba per tutti i giorni, magari! Mi sono beccata anche gli abiti di carnevale riciclati. Del resto, ai tempi miei, non si buttava via niente e quando i genitori compravano un costume lo prendevano bello grosso, da farci crescere dentro il pupo per almeno 3 anni, e poi passarlo agli sfortunati successori.
Nel nostro intoccabile baule delle meraviglie, tra coperte, centrini ed ammennicoli vari, venivano accuratamente conservati anche gli unici due abiti carnevaleschi acquistati molti anni prima per SorellaCole. C'erano la fatina e la spagnola.
Io, ogni inverno, all'apertura rituale della cassapanca guardavo con bramosia e vacua speranza la bacchetta con la stella argentata, l'acciaccato cappello a punta, ed i metri di vaporoso tulle. Ma MammaCole, al motto di "Questo vestito è troppo vecchio e rovinato, meglio l'altro", si buttava sempre sulla cultura andalusa e sceglieva arbitrariamente di abbigliarmi da sfigatissima ballerina di flamenco.

Voi sapete cosa vuol dire essere travestita da spagnola? Le più "adulte" tra le mie lettrici probabilmente sì. Perché tra gli anni '70 ed '80 quel sobrio abitino carnevalesco fu un vero e proprio must. Pizzi e merletti neri, sparsi a profusione sopra un capolavoro d'eleganza rosso fuoco. Un orrore che non avrebbe messo neanche una Drag Queen cieca da un occhio!
Eppure, in realtà, il discreto abitino per me era il meno da sopportare! Ciò che mi disturbava maggiormente era il trucco. Mia madre e mia sorella mi braccavano in bagno fino a quando non mi rassegnavo a farmi conciare da battona iberica: litri di rimmel, strati e strati di matita, fard, rossetto e un bel neo finto a concludere l'opera.
Non credo sia un caso che non esistano prove fotografiche al riguardo: Zeus, o chi per esso, mosso a pietà deve averle incenerite tutte con un fulmine ben diretto!

Dopo anni di questa tortura, un lieto indimenticabile pomeriggio m'illusi di essere giunta finalmente al termine del tunnel. Mia madre fu costretta, con suo sommo dispiacere, a prendere coscienza del fatto che fossi diventata troppo alta per vestire i panni della ballerina di flamenco. Le maniche ormai mi arrivavano ai gomiti e la gonna, diventata mini, lasciava scoperti calzettoni di lana, jeans e scarpe da ginnastica. Un vero orrore!
Io non feci neanche in tempo a gioire, che la mia genitrice ebbe subito un'altra malsana idea. Forte del suo passato da sartina, corse in edicola ad acquistare una di quelle famigerate riviste con i cartamodelli, e scelse di farmi un bell'abitino nuovo di zecca, su misura, tutto per me. Anche in quell'occasione, ovviamente, la mia opinione venne considerata superflua e quindi non richiesta.

Dopo una settimana di misure e prove finalmente il capolavoro venne terminato. Fui vestita, acconciata, e truccata solo con un poco di fard a ravvivarmi l'incarnato verde ramarro. Poi, piazzatami davanti allo specchio, MammaCole esclamò orgogliosa: "Talia come sì pulita" (trad. siculo-italiano: "Guarda come sei carina!")
E io mi guardai.
Avevo su un vestitino rosso con maniche a sbuffo, un ampio grembiule a quadretti e una tremenda cuffiona legata sotto il mento. No, quella di MammaCole non era un'interpretazione postmoderna di Cappuccetto Rosso, magari! Non sarei mai potuta essere la protagonista di una favola, sarebbe stata una cosa troppo appagante, così si sarebbe corso il rischio di alzare di qualche tacca la mia ridottissima autostima, così si sarebbe corso il rischio di farmi uscire per mezza giornata dal ruolo assegnatomi di sorellina cessa.
Non sia mai!!! E di che avrebbe vissuto altrimenti la mia analista venticinque anni dopo? E di cosa avrei parlato altrimenti io sul mio blog?

Il rosso abitino, confezionatomi con tanto amore e dedizione, era da contadina. Aspettate, lo scandisco meglio, nel caso non abbiate capito: C-O-N-T-A-D-I-N-A.
Interpellate una bambina qualsiasi, chiedetele da cosa vuole vestirsi per Carnevale, nessuna bambina in questo emisfero come nell'altro, adesso come vent'anni fa, vi risponderebbe mai la contadina. MAI. Le bimbe vogliono essere ballerine, principesse, quelle più volitive magari anche piratesse ma lavoratrici dedite all'agricoltura, no. MAI.

E poi una si chiede perché a vedere i coriandoli mi venga l'orticaria. Non avevo neanche ancora 8 anni quando mia madre mi fece velatamente capire di "andare a zappare la terra!"
Sono cose che segnano queste, altroché.

Ora scusatemi, debbo lasciarvi, torno ad autoflagellarmi.

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