Domani partirò per visitare una città che ancora non conosco, e per andare a vedere uno spettacolo teatrale di cui vi ho
già parlato.
La città è Bologna. Lo spettacolo è la versione riveduta e corretta di Romeo & Giulietta, in scena sabato alle 21, al teatro Centofiori, in via Gorky 16.
Per salutarvi e augurarvi, in anticipo, un buon week end vi lascio un racconto.
Un racconto che non è stato scelto a caso, ma ripescato tra i miei appunti proprio per l'occasione.
Si tratta della mia personale versione del prologo di una commedia famosissima.
Commedia padovana scritta dalle medesime mani che composero la tragedia dei due amanti veronesi.
Che vi devo dire? Al bardo gli garbava assai il Veneto!
Prologo
Quando Donna Lucrezia scoprì di portare in grembo una nuova vita gli occhi le si riempirono di lacrime, il viso di gioia e il cuore di speranza. Sognò una figlia dalla pelle candida e i lineamenti delicati, una creaturina docile da accudire e proteggere.
Quando il Cavalier Battista scoprì che presto sarebbe diventato padre il petto gli si riempì d'orgoglio, il sorriso di denti e la testa di progetti. Immaginò un figlio forte e vigoroso, un erede a cui trasmettere ricchezze e doveri, conoscenze e privilegi.
Ma, purtroppo, fu subito evidente che quella non sarebbe stata una gravidanza lieve.
Infatti, più Donna Lucrezia si gonfiava più l'umore d'Ella peggiorava.
Ogni giorno veniva torturata dalle voglie più strane: fragole con aringhe in salsa di soya, straccetti di Gnù con contorno di polenta nera,
biscotti bagnati nella grappa e sbriciolati sopra un cosciotto di Caribù.
Ogni notte veniva tormentata dagli incubi più angosciosi: percepiva il calore soffocante delle fiamme dell'inferno, sentiva le urla disperate dei dannati, e tremava per lo stridere di mille unghie sulla lavagna.
Il povero Battista, che tanto amava la propria consorte, le rimase accanto soffrendo con lei, cercando di confortarla e di alleviarne il disagio. Assunse tre cuoche, e sperperò una fortuna per trovare in giro per il mondo gli astrusi ingredienti e sapori che la sua Madonna desiderava. Ed ogni notte, durante l'infinita attesa, le rimase vicino, vegliandola quando vegliava, o cullandola quando si ridestava in lacrime da uno dei numerosi incubi.
Entrambi i coniugi giunsero al momento del parto con profonde occhiaie, molto sonno arretrato, ed il principio di un esaurimento nervoso.
Eppure il peggio doveva ancora arrivare.
Caterina venne al mondo una notte senza luna, in cui il vento gelido s'infilava all'interno delle mura della villa, e una pioggia scrosciante spazzava il cortile.
Caterina iniziò la sua vita abbaiando come un cane rabbioso, con il viso rosso di collera ed i piccoli pugni stretti e pronti a colpire.
Quando Battista si avvicinò per osservarla, la piccolina tacque, aprì gli occhi ed osservò i genitori con lo sguardo profondo di un adulto, il cipiglio di un condottiero, ed un sorriso beffardo che non prometteva niente di buono.
Lucrezia ne fu talmente impressionata da venir meno. Il Cavalier Battista, uomo tutto d'un pezzo, finse noncuranza e prese a cullare nervosamente la strana creatura che il Signore, o Chi per esso, gli aveva mandato.
La piccola Caterina crebbe sana, forte, bella e prepotente. Regina e terrore di tutta la casa.
I suoi non erano i semplici capricci di una bimba ma gli ordini di un inflessibile generale.
I suoi non erano gli sbalzi d'umore di un intrattabile adolescente ma gli squilibri incontrollati di una sociopatica.
La povera Bianca, venuta al mondo pochi anni dopo la sorella, trascorse l'infanzia e la giovinezza tra paura e vessazioni, ridotta a schiava e vittima prediletta.
I servi lasciarono il palazzo a frotte. Tutti i precettori si licenziarono dopo la prima lezione.
Il prete svuotò l'acquasantiera cercando di chetare Caterina, ma neanche questo parve funzionare. La bambina, che in quell'occasione aveva solo 8 anni, bagnata come un pulcino, tentò di dar fuoco alla tonaca del parroco, urlando sconcezze che avrebbero fatto arrossire anche il più navigato dei marinai.
Caterina cresceva e la sua famiglia sperava che qualche pretendente se la portasse finalmente via. Lontano.
Ma neanche la sua indubbia bellezza e l'abbondante dote bastavano a far dimenticare l'animo da demonio.
Ogni corteggiamento si concludeva con feriti, o quasi.
Claudio, un signorotto di Verona, riportò solo qualche piccola bruciatura ed un grande spavento.
Astolfo, un lanciere di Venezia, perse due dita della mano sinistra e dieci anni di vita dalla paura.
Pancrazio, un mercante giunto addirittura dalla nebbiosa Mediolanum, se ne tornò di corsa a casa, lasciando dietro a sé la lunga chioma corvina e gran parte della propria dignità.
Caterina riuscì a far scappare tutti.
Tutti tranne Petruccio.
Perché, per domare un diavolo, ce ne vuole un altro, meno selvaggio ma più spietato.