Pancrazia a Zelig

Nove Giugno Duemilaequindici.
Approfitto del passaggio di un gruppo di cabarettisti amici miei: vado allo Zelig!
No, non la trasmissione televisiva. Il locale originale. Dove tutto ebbe inizio e, anche lontano dalle telecamere, continua.

Un po' blogger d'assalto, un po' groupie, un po' Yoko Ono dei poveracci, migro verso Milano, prendo pioggia a secchiate, curioso in un mondo che non conosco.

Già il viaggio è una lezione di vita: due ore chiusa in macchina a sentir discutere di cambi in scena, cappelli, giacche, e corse su e giù per il palco. Che bello dover fare esclusivamente la spettatrice. A me viene l'ansia da prestazione solo a sentirli certi discorsi. In una situazione del genere fuggirei ancor prima dell'inizio dello spettacolo. Per poi essere ritrovata con la ciucca triste da "Il Lurido" o ancora incastrata nella microfinestra del bagno. Neanche meritevole di una fuga dignitosa. Ovviamente.

A proposito di bagno, appena arrivata nel locale corro ad usarne uno. Poi, rasserenata, comincio a guardarmi in giro. A dire il vero questo famoso Zelig non mi sembra un granché. L'ingresso è così triste: dal corridoio si passa direttamente ai bagni, e poi ai camerini. I camerini? Che ci faccio nei camerini? Ho usato l'entrata secondaria, quella per gli artisti. Mi sembrava strano. Va bene il low profile del cabaret underground, ma l'ingresso dai cessi era davvero troppo!

Esco. Ci riprovo. Porta principale. Quella per il pubblico. Decisamente meglio. Foto di comici famosi, luci, specchi, brillantini. Un bel posto. Una bella energia. Un po' di emozione, persino per me che non c'entro niente con tutto l'ambaradan.

Armata di smartphone, e in modalità molto social, faccio foto brutte e un poco tutte uguali.
Ceno con il panino "Teresa Mannino". E poi prendo posto sulle tribune. Tempo trenta secondi ed ho una piaga da decubito. La prossima volta mi porto una ciambella come ogni ottuagenaria che si rispetti.

Si comincia alle 21:30. Si finisce all'1. Nel mezzo un intervallo di 10 minuti.
A presentare ci sono due terzi dei Boiler: Federico Basso e Davide Paniate.
Loro sono bravi. Ma bravi bravi! Presentano, fanno ridere, fanno da spalla, risollevano i tempi morti. A fine serata voglio portarmeli a casa e costringerli a diventare i miei migliori amici. Tipo "Misery non deve morire". Ma senza violenza, sequestro di persona, e gambe rotte. Per quanto riguarda lo squilibrio mentale: ci devo ancora lavorare su.

Nel cast ci sono comici da mezza Italia. Tantissimi. Esordienti o meno, giovani o meno, talentuosi o meno. C'è chi sembra nato per stare sul palco, c'è chi dovrebbe fare altro nella vita, c'è chi è in serata, c'è chi no, c'è chi è originale, c'è chi neanche per sogno.
E, come sempre, ci sono pochissime donne. E io, come sempre, mi lancio nella mia personale crociata: per quale stram#### di ragione buona parte delle donne che fanno comicità devono sempre e comunque parlare di uomini? E' roba trita e ritrita. Oltre che un mezzo suicidio artistico. Perché, a far ridere con battute già sentite mille volte, bisogna essere delle tigri da palcoscenico, dei geni della scrittura, o premunirsi di portare tra il pubblico tutti gli invitati della propria prima comunione.

Comunque, in molti mi hanno divertito. Qualcuno davvero tanto.  Per correttezza non dico niente sui miei amici torinesi. Che sono tutti bravi e belli, specialmente Andrea Bruno. Ma ci tengo a fare i miei più spassionati complimenti a un duo proveniente da Roma (*). Non so come si chiami il duo. Non so come si chiamino loro all'anagrafe. Non so niente. Ma sono molto bravi. In particolare uno dei due passa in scioltezza da un personaggio all'altro, con velocità e padronanza invidiabili. Se mai, per caso, doveste leggermi e riconoscervi, ve lo ripeto: bravi!
Bravi loro e anche altri.

Ma non tutti. Proprio no.

(*) Il caso e i social mi hanno permesso di rintracciare il duo romano. Sono Spadoni&Paniccia e questa è la loro pagina facebook.

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