Non aprite quella porta

Un pigro sabato pomeriggio.
Un bambino legge ad alta voce mentre il papà, severo ed intransigente, corregge gli errori di pronuncia e sottolinea le incertezze.
La madre si trova in un'altra stanza, in altre faccende affaccendata.

La donna è sovrappensiero quando viene sorpresa dalla voce del marito che, lasciato il figlio ai suoi compiti, fa capolino sulla soglia: "Entro?"
"No"
"Entro e chiudo la porta?"
"Nooooo"
"Ma come no?"
"No!"
"Neanche una sveltina???"

Situazioni del genere si verificano in tutte le famiglie.
Conversazioni di questo tipo avvengono spesso, in particolar modo tra le coppie che si trovano a dover conciliare una sana e soddisfacente vita sessuale con la presenza di figli più o meno piccoli.

La particolarità del momento sopra descritto non sta quindi nel quadretto familiare, banale nella sua normalità, ma nella posizione in cui si trovava chi ve lo ha appena raccontato.
Jane era fuori dalla porta con il ditino ad un millimetro dal campanello.
Scioccata dall'orrore di essere stata brutalmente ed involontariamente catapultata nell'intimità dei suoi vicini acidi e bacchettoni.
E sconquassata dall'assoluta, incontrovertibile, dilaniante, disperata necessità di rotolarsi a terra dal ridere.

(Jane ha tante qualità, ma non il super udito. Sono la porta ed i muri ad avere la consistenza della carta velina)

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