Franchino e Dora si sono incontrati per la prima volta poche settimane fa, per caso, in un caffè. Lui era da solo e lei con le sue amiche. Lui ha sorriso, lei è arrossita e da quel momento non si sono più lasciati.
Hanno passeggiato, ballato, cantato. Letto poesie, raccontato sogni e condiviso progetti. I loro cuori si sono conosciuti e le loro anime si sono affiatate.
Un giorno Franchino, tutto rosso, ha trovato il coraggio di intavolare un discorso che tanto gli premeva. "A me piacerebbe proprio, e a te?", le ha chiesto alla fine timidamente.
"Anche a me, Franchino, anche a me", ha risposto lei, con la voce che tremava per l'emozione e gli occhi che le brillavano d'eccitazione.
Spaventati ma curiosi, hanno scelto di non prestare orecchio a coloro che cercavano di dissuaderli: "Ma siete sicuri?", "Avete preso tutte le precauzioni necessarie?", "Vi sentite pronti?".
Al diavolo i dubbi e le paure, hanno prenotato una bellissima stanza d'albergo con un letto enorme, il camino e tanti fiori profumati.
Sono saliti con il torpedone su su fino al cucuzzolo. E poi giù per le piste con l'aria fredda che taglia la faccia ed il sole che riempie di gioia.
Franchino e Dora hanno sciato per la prima volta. E l'hanno fatto assieme.
Lei ha settantacinque anni, lui ottanta. E non si sono mai sentiti così vivi.
Nei prossimi 365 giorni ricordatevi che: le scelte più sagge non sono necessariamente le migliori, bisogna saper rischiare, e non è mai troppo tardi.
Solo voi potete sapere cosa vi rende davvero felici, non lasciate che sia qualcun altro a scegliere al vostro posto.
Ce lo dovremmo ricordare tutti.
Ehi tu, Grandissimo Cornuto!
Sì, è inutile che fai lo gnorri, sto parlando proprio con te.
Con te che ti sei fregato tutti gli addobbi natalizi attaccati alle porte del condominio: angeli, ghirlande, campanelle e chi più ne ha più ne metta.
L'avrai fatto per scherzo, per scommessa, per gioco o solo perché sei un pirla. Non lo so e non lo voglio sapere.
Ma sappi che certi ricordi fanno parte della storia di una famiglia e portarseli via è un gesto da uomo piccolo piccolo. E non fa ridere. A me non fa ridere per niente.
Caro Stratosferico Cornuto,
purtroppo sono troppo Signora per dirti davvero cosa penso di te e quindi lascio la parola ad un Maestro.
Prego, Alex, a te...
Ecco, ora mi sento un pochino meglio.
Chi ben comincia.
Fa freddo. Fa freddissimo. Non credo di aver mai avuto così tanto freddo in vita mia. Ed il fatto che io sia nato solo da qualche ora non significa nulla.
Mi sarebbe potuto toccare il grande palazzo di un signore o almeno la casetta di fango di un pastore. Ed invece no: una mangiatoia. Una cavolo di mangiatoia. Ma ditemi voi se questa non è sfiga!
Il Grande Capo, quello uno e trino per intenderci, mi aveva avvertito: "Non avrai una vita facile, figliolo, soprattutto sul finale. Ma non voglio anticiparti niente. Non voglio rovinarti la sorpresa."
L'inizio è in una mangiatoia, tra un bue ed un asinello che puzzano come due carogne, il finale non potrà essere peggio. Quel vecchio burlone stava scherzando.
Sì, stava sicuramente scherzando.
Buon Natale a tutti voi, miei cari amichetti lettori.
Con questo piccolo racconto vi faccio degli auguri poco sdolcinati ed ortodossi, ma sinceri e di cuore.
Grazie a tutti per l'affetto e la costanza con cui seguite i miei deliri.
Amovi, amovi tanto!
Ode a te Elettrauto di fiducia,
a te che per la tua officina scegliesti un giallo psichedelico, talmente forte che i primi tempi ci volevano gli occhiali da saldatore per non rimanere abbagliati.
Ode a te Elettrauto di fiducia,
a te che con il tuo elaboratore, tutto lucine e bottoncini, scopristi che non ero io ad essere irrimediabilmente imbranata, ma la mia storica Peugeottina ad essere anarchica ed in tilt peggio d'un flipper.
Ode a te Elettrauto di fiducia,
a te che ti sei pagato almeno un paio di viaggi ai Caraibi con tutti i soldi che hai sfilato alla famiglia Cole, approfittando del suo precario, abusato e trascurato parco macchine.
Ode a te Elettrauto di fiducia,
a te che quest'anno come regalo di Natale per i tuoi clienti hai evitato la solita triste agenda, l'orrido calendario o l'inutile penna ed hai scelto un romanzo giallo. Giallo proprio come la tua officina.
Ode a te Elettrauto di fiducia,
a te che con questa ultima semplice mossa ti sei guadagnato la mia stima ed il mio amore incondizionati.
Io, fino a poche settimane fa, lo ignoravo.
Sono una capra.
Lo so da me.
Non è il caso che infieriate.
W. Szymborska è una poetessa polacca, anzi è La Poetessa Polacca.
Una donnina dalle spalle ossute e l'aria furba che nel 1996 si è portata a casa il Nobel per la Letteratura e che con le sue raccolte vende quasi quanto un romanziere.
Nei suoi scritti emergono un' ironia ed una lucidità di pensiero rari.
Le sue poesie sono racconti brevi ed intensi che io ho amato dal primo incontro.
Scoprire un libro, una poesia, uno scrittore o un poeta che ci emozionano è sempre un evento speciale. In quel momento si sorride per la consapevolezza di avere un amore in più a scaldarci il cuore ed aprirci la mente. È pura gioia.
Vi lascio con un delizioso esempio del talento della signora Wisława Szymborska.
Consolazione
Darwin.
Si dice che per rilassarsi leggesse romanzi.
Ma avesse le sue esigenze:
dovevano essere a lieto fine.
Se gliene capitava uno differente,
lo gettava con furia nel fuoco.
Vero o no che sia-
sono propensa a crederci.
Percorrendo con la mente tanti spazi e tempi
aveva visto così tante specie estinte,
tali trionfi dei forti sui più deboli,
così grandi sforzi di sopravvivenza,
prima o poi inani,
che almeno dalla finzione
e dalla sua microscala
aveva diritto di aspettarsi l'happy end.
E quindi per forza: un raggio che sbuca
dalle nuvole,
gli amanti di nuovo insieme, i casati
riconciliati,
i dubbi dissipati, la fedeltà premiata,
i beni recuperati, i tesori dissotterati,
i vicini pentiti del loro accanimento,
la reputazione resa, la cupidigia smascherata,
le vecchie zitelle maritate con pastori
dabbene,
gli intriganti deportati nell'altro emisfero,
i falsari di documenti scaraventati dalle scale,
i seduttori di vergini di gran corsa all'altare,
gli orfani accolti in casa, le vedove consolate,
la boria umiliata, le ferite sanate,
il figliol prodigo invitato alla mensa,
il calice dell'amarezza vuotato in mare,
i fazzoletti intrisi di lacrime pacificate,
canto e musica per tutti,
e il cagnolino Fido,
smarrito già nel primo capitolo,
corra pure di nuovo per la casa
abbaiando gioioso.
Cari lettori,
oggi vi propongo un esperimento che mai nessuno, prima di me, ha tentato sul web.
Uniremo le menti, congiungeremo le anime ed apriremo i chakra.
Seguendo le mie semplici indicazioni raggiungeremo un nuovo livello di consapevolezza e conoscenza.
Siete pronti per iniziare?
Prima di tutto cercate di isolarvi dal mondo che vi circonda, se siete in ufficio ignorate le chiacchiere dei colleghi, se siete in biblioteca escludete dai vostri sensi il compagno di corso che tenta di broccolarvi, se siete a casa narcotizzate il pupo o rifilatelo per 5 minuti alla vicina di casa.
Del resto ciò che vi chiedo è proprio questo: 5 minuscoli, insignificanti, miserrimi minuti.
Ora che siete concentrati solo su questa pagina iniziate a porre attenzione alla respirazione.
Inspirate lentamente con il naso fino a raggiungere la pienezza dei vostri polmoni.
Espirate lentamente dalla bocca fino a svuotarli.
Inspirate.
Espirate.
Inspirate.
Espirate.
Inspirate.
Espirate.
Inspirate.
Espirate.
Ecco, i nostri spiriti si sono ormai sincronizzati, ogni angolo della blogosfera risuona della medesima melodia, dalla Valle d'Aosta alla Sicilia voi, Cole Lettori, state respirando come un unico organismo.
Tutto ciò non è meraviglioso?
Sì, lo è.
Ma procediamo con la seconda parte dell'esercizio.
Continuando a respirare regolarmente, provate a visualizzarvi come se vi vedeste dall'esterno.
Riuscite a riconoscervi?
Sì, siete proprio voi.
Vestiti di luce e circondati dall'armonia celeste.
Avvolti intorno al vostro centro ed immersi nella sfera dell'equilibrio.
Voi fate parte del tutto ed il tutto fa parte di voi.
State andando benissimo ed ora vi chiedo solo un ultimo sforzo.
Visualizzate le vostre mani. Quella destra stringe qualcosa. Qualcosa che vi accompagna da tempo. Qualcosa che avete ottenuto con sudore ed impegno. Qualcosa che vi ha aperto nuove strade e guidato lungo innumerevoli percorsi.
Sì, è proprio lei.
Piccola e rosa.
La vostra patente.
La vedete? E' ben a fuoco? Perfetto.
Rimanete concentrati su questa immagine, non lasciatevela sfuggire.
Inspirate.
Espirate.
Inspirate.
Espirate.
Cercate la forza dentro di voi, sentite il battito del vostro cuore, seguite lo scorrere del vostro sangue e rispondete a questa semplice domanda: Quando scade?
Vuoto?
Buio?
Confusione?
Tranquilli, è normale.
Chiudete l'occhio interiore ed aprite per bene quelli esteriori.
Svuotate il portafoglio, ribaltate la borsa, non c'è tempo da perdere, correte subito a dare un'occhiata.
Perché?
Perché quella fetente scade ogni dieci anni, un periodo talmente lungo che ci vuole poco a far finire l'incombenza "rinnovo" nel dimenticatoio. E se non si degna di avvertirvi neanche il comune, la regione, la motorizzazione o chi per essi, potreste ritrovarvi nell'incresciosa situazione di girare per mesi(!) con il documento scaduto senza rendervene conto. Il che non è bello. No. No.
Non che a me sia mai successa una cosa del genere. Figurarsi!
Io, come ben sapete, sono la regina dell'organizzazione e della precisione.
Parlo così, in generale.
A CasaCole c'è un solo ed unico Mega Responsabile Supremo dell'albero di Natale: l'illustre Jane Pancrazia.
Ella si è guadagnata la prestigiosa carica direttamente sul campo, grazie alla dedizione alla causa, l'indubbio talento e lo sbaragliamento della concorrenza.
Jane ha dedicato anni, tra mercatini e negozietti, alla raccolta di meravigliosi addobbi. Ogni dicembre, tra slanci di creatività e sfoggio di buongusto, ha dato vita alla "propria creatura" ed ogni gennaio, con raziocinio e praticità, ha smontato l'opera, inscatolato con ordine ed affidato il tutto alle capaci(?) mani di PapàCole. Il cui unico compito è sempre stato quello di riportare l'intero natalizio ambaradan in cantina.
L'oliato meccanismo non ha mai presentato falle.
Mai.
Fino a quest'anno.
Ieri Jane ha realizzato con sorpresa ed orrore che, dove avrebbero dovuto esserci palle, palline e babbacetti vari, erano presenti solo vecchie cianfrusaglie e scatole vuote. La stessa paccottiglia che il di lei genitore avrebbe dovuto buttare undici mesi fa.
Dopo ventiquattro ore di ricerche in ogni dove, gli addobbi accumulati negli anni con amore e cura non sono ancora stati rinvenuti.
Gli scenari possibili che potrebbero spiegare lo strano fenomeno sono solo due.
O una banda di malfattori, specializzata in furto di addobbi e lucette, si è introdotta nella ColeCantina e, senza lasciare traccia alcuna, è scappata con il mal tolto per poi rivenderlo al fiorente(?) mercato natalizio di seconda mano.
Oppure quel rimbambito di PapàCole ha buttato ciò che avrebbe dovuto conservare ed ha conservato ciò che avrebbe dovuto buttare.
MammaCole, probabilmente per evitare una rissa in famiglia, propende per la prima ipotesi.
Jane ovviamente per la seconda.
Ricordatelo così...
Può capitare di farsi un giro in una libreria qualunque, in un giorno qualunque ed imbattersi in un libro qualunque, per poi scoprire con goduriosa soddisfazione che in quelle pagine non vi è raccontata una storia qualunque. Affatto. Dietro una copertina rassicurante ed un titolo sufficientemente accattivante è celata la storia di un uomo e di un popolo.
"Un perfetto gentiluomo" è l'opera prima della talentuosa Natasha Solomons. Che, ispirandosi ai propri nonni, narra le tragicomiche vicende di un rifugiato ebreo, scappato dalla Germania nazista per ricostruirsi una vita in Inghilterra.
Il cocciuto Jack Rosenblum spenderà l'intera esistenza nel disperato e folle tentativo di diventare "Il Perfetto Gentiluomo Inglese", a scapito delle proprie ingombranti origini e del proprio doloroso passato.
Un progetto tanto ambizioso quanto infantile.
Un personaggio tanto irritante quanto tenero.
Una storia tanto antica quanto attuale.
Con divertimento e leggerezza l'autrice affronta temi importanti quali l'identità, il senso di colpa dei sopravvissuti e la ricerca di un equilibrio tra l'integrazione e il legittimo desiderio di non tradire o dimenticare le proprie radici.
Ricerca che caratterizza l'esistenza di tutti gli immigrati che ancora oggi, per paura, necessità o ambizione, mollano tutto e si ricostruiscono un'esistenza in Europa, tra gente estranea e spesso ostile che tende ad interpretare ogni diversità come una sfida od una mancanza di rispetto.
Un libro che si fa leggere tutto d'un fiato con un sorriso dolce sulle labbra ed una nuova consapevolezza nella testa e nel cuore.