Com'è triste Parigi (seconda parte)

Non ero mai stata nella capitale francese e l'occasione mi parve perfetta per rimediare alla grave mancanza. In questo modo, anche se non mi fossi rimessa col maschio volubile, avrei approfittato comunque dell'infelice momento per visitare La ville lumière.
Del resto, la praticità in certi frangenti non mi ha mai fatto difetto.
Il tempo per piangere e disperarmi l'ho sempre trovato. Ma anche quello per cavar qualcosa di buono da ogni situazione.

Arrivai in città di pomeriggio. Scesi dal TGV e vissi in solitudine il mio primo approccio con Parigi.
"Il mio amato bene", nel frattempo, affrontava la transumanza dalla Germania alla Francia in autobus. Stretto tra passeggeri molesti, rumorosi e maleodoranti. Allietato dalla vicinanza di un bambino iperattivo e della sua trombetta. Trombetta che, ovviamente, risuonò gioiosa per tutto il tempo.
Che si sappia, se spezzi il cuore di Pancrazia in un bar dell'isola di Krk, mentre ella sta sorseggiando tranquillamente una bibita e quasi rischia di strozzarsi per la sorpresa e il dolore, il minimo che ti possa capitare è che il destino cinico e baro ti presenti il conto. O almeno t'infastidisca un poco.
Che si sappia, a futura memoria di chiunque decida di ritentare l'impresa.

In attesa dell'arrivo del mio compagno di vacanza, mi tuffai nella capitale francese con molti dubbi e una certa ansia. Il fatto di non conoscere la lingua indigena mi faceva sentire in difetto e inadeguata, talmente tanto che anche le cose più semplici mi parevano complicatissime.
Fu per questo motivo che ci misi 30 minuti per decidere quale linea di metropolitana prendere.
Fu per questo motivo che per 30 minuti studiai la mappa dei treni regionali scambiandola per quella della viabilità urbana.
Fu per questo motivo che per 30 minuti ebbi lo sguardo vacuo di una mucca a un passaggio a livello.  

Superata questa prima impasse, raggiunsi l'albergo. Un'infima bettola. Legai un vezzoso foulard al collo. Molto francese. E mi buttai alla scoperta delle strade parigine. Et voilà.

Girai viali e viuzze, con il naso all'insù o il naso all'ingiù, con calma e con capriccio.
Feci la turista sfaccendata. Il mio tipo prediletto. Quella che ha solo una vaga idea di cosa farà, di cosa vedrà, di dove andrà e, seguendo l'ispirazione del momento, manda i piedi in avanti e prende confidenza col luogo. Manda i piedi in avanti e ad ogni passo si sente un poco più a casa. Manda i piedi in avanti e il cuore a seguire.

Forse avrei dovuto continuare a sfaccendare allegramente. E questa storia sarebbe stata diversa.
Invece decisi di prendere la cartina, la distesi ben bene e scelsi il primo monumento da visitare.
Il mio dito indice puntò il Sacro Cuore.  
Le Sacré-Cœur.


Continua...

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