Maria e Paolo hanno litigato... o erano Maria e Paola? ... o Mario e Paolo


Sarò anche di parte ma devo dire che, in un periodo travagliato come questo dove lo stare a casa è fortemente consigliato, il laboratorio condiviso di scrittura è un'ottima occupazione, scarica la tensione e sposta l'attenzione altrove.

E, per scaricare la tensione, cosa c'è di meglio che mettere nero su bianco un bel litigio? Questo è ciò che abbiamo fatto per il terzo esercizio. Ci sono state discussioni soprannaturali, familiari, alcune divertenti altre decisamente più drammatiche.

Se volete sfogliarle come una rivista le trovate al seguente link.

Se invece vi va benissimo anche la semplice pagina del blog, trovate tutti i racconti a seguire.

Buona lettura e a domani per il prossimo esercizio!

Paolo e Maria hanno litigato. Spettatrice involontaria, mi trovavo placidamente a leggere sulla mia panchina preferita nel tepore primaverile, quando la mia quiete fu turbata da un “ora, davvero, basta!”. Non urlato, badate bene, ma detto con quella determinazione e assertività che inevitabilmente ti fa rivolgere lo sguardo verso ciò che non ti riguarda. Misi a fuoco una ragazza: cappotto blu, lungo, assumeva un atteggiamento di quelli che sembravano non essere troppo distanti dalla propria natura, piuttosto sembrava essere stato portato all’estremo. Cercava di controllarsi, si scorgevano le sopracciglia aggrottate insieme a quella ruga di preoccupazione di chi non sa dove il suo istinto, se non canalizzato, l’avrebbe potuta portare.
Lei si chiama Maria, l’ho intuito quando lui l’ha nominata per farla tranquillizzare.
Vi dirò, lui era più interessante da osservare in quanto ambivalente negli atteggiamenti: aveva uno sguardo freddo, zigomi alti, occhi chiari, ma di quelli imperscrutabili che ti lasciano sulla soglia, non trapelava un’emozione eppure, a giudicare dall’atteggiamento di lei, era lui a dover essere in torto e a dover ristabilire un legame…non riusciva ad accostarsi a lei anche se le parole che pronunciava, recavano tranquillità…ostentava fermezza, ma aveva paura della sua reazione? Oppure, sì dai pensiamola male, forse effettivamente era un bugiardo, magari era un attore di teatro, dunque per lui un gioco da ragazzi recitare! E magari lei aveva scoperto un tradimento, una relazione… da quanto tempo staranno insieme? Occhio e croce da un po’ non è fresca la cosa… forse lui, ma anche lei, perseverava nell’errore? Ah mio caro Paolo, attoruncolo da 4 soldi, potrai biecamente ingannare lei che prova qualcosa per te, ma non la sottoscritta…. ti ho scoperto! il tuo corpo non mente… guarda, guarda come in fondo ti avvicini con le parole, ma non fisicamente… e quello sguardo?! si avrai anche gli occhi celesti, ma i tuoi sono vuoti e senza emozioni… che dobbiamo fare eh? Glielo dico io che stai recintando, prove alla mano, o ti decidi… alt fermi tutti… è una lacrima quella????!!! Sta piangendo??? Ah… beh…. e lei ora che fa? Ecco, ecco che si è rilassato quel viso che prima era contrito…. scende una lacrima anche a lei… ora anche lui effettivamente sembra rassegnarsi… il corpo indifeso… allora forse era rispetto e timore del rifiuto quello che dimostravi e, non il mantenere una distanza…f orse non sei un attore…
Quanto dicono di noi le emozioni, le parole che utilizziamo, rispetto al linguaggio del nostro corpo?
Da sempre mi incuriosiscono gli atteggiamenti umani, mi piace notare, osservare e studiare, analizzando così tanta eterogeneità; quanto si capisce guardandosi intorno, captando spunti di riflessione da riportare anche su se stessi, nella propria esistenza…
Vedete, il mio, nelle vite degli altri, è sostanzialmente un interesse di tipo clinico–scientifico misto a curiosità socio–antropologica. È per questo che, alla fine dei conti, il perché della litigata neanche ve lo saprei dire, non li ho ascoltati. Li ho guardati.
Daria de Turris
– Dico, oramai sei qui da dieci anni, un tempo ragionevole per maturare un’opinione su un argomento così controverso, quindi che mi dici? – chiedeva lui tutto sicuro di sé.
– Cosa vuoi che ti dica? Nulla che tu non sappia. Ho cercato di capirci qualcosa molte volte e di continuo ma non posso negare che la tua opinione, la tua posizione mi hanno messa sempre in soggezione – rispondeva lei con voce sommessa.
– Come in soggezione? – l'incredulità si manifestava nel suo viso arrossito.
– Sì perché ogni volta che cercavo di vedere la situazione da una prospettiva diversa mi dicevi che non era quella giusta. –
– Ma dai non è vero! – Lui rideva e lei lo guardava torvo.
– Sì che è vero, ti ricordi quella volta che mi sono messa a testa in giù perché non riuscivo a percepire la giusta prospettiva…l’ho fatto per sfidarti. –
– Sfidarmi? Hahaha eri proprio buffa. –
– Volevo che tu vedessi quanto fosse ridicolo dire sempre "Mah non è il punto di vista giusto". Alla fine mi sono rotta le palle e ti ho lasciato pensare come volevi. –
– Beh ma tu non hai cercato di controbattere –…le sue certezze iniziavano a vacillare.
– Davvero? – ahahah questa volta rideva lei
– Si davvero! – Alla risposta di lui lei rideva ancora di più. Lui era sempre più a disagio e impettito le disse tutto in un fiato: – Allora dimmelo ora, sono passati 10 anni, cosa pensi del sesso degli angeli? – – Che se fossero pirla come te sarebbero estinti! – Rispose lei asciugando i lacrimoni.
– Certo che tu non sei per niente simpatica!–
– Perché tu sei la comprensione fatta diavoletto? –
Cercando di recuperare la situazione, messo all'angolo con la coda tra le gambe lui... – Dai dai tu mi scaldi sempre il cuore…non te la prendere. So che volevi essere un angelo… ma vedi loro non hanno sesso e noi sì! –
– Ahhh meno male…perché qual è la differenza? –
– Come qual è la differenza? – nuvole di vapore circondavano il viso incandescenti di lui.
– Tra il non sesso degli angeli e te? – lei rideva senza riuscire a contenersi.
– Sei una perfida coda appuntita – – E tu un freddo tridente smussato. Cornetti mosci – – Rossa sbiadita –
– Alloraaaaaa la smettete? – dall’alto alto alto alto due vocine celestiali urlarono.
– Cosa succedeeeeeeeeeeeeeeeeee??? – risuonò dal profondo profondo inferno.
– Smettetela di litigare che qua su si fa sesso. –
– Ecco lo vedi…non ci sono gli angeli di una volta – sbuffò lui rassegnato.
E così c’erano nuvole infuocate e un gelido inferno.
La storia non finisce qui perché Cornetta e Cornuto rimasero a pensare al loro non più infuocato futuro, mentre Angioletta e Angiolino con gli amici facevano un trenino…peppepeppepe.
Deray

Quindi siamo a San Valentino e che, non me lo vuoi fare un regalo a San Valentino?
Bene, vattene. Te ne devi andare, la devi smettere di tormentarmi in queste notti infinite.
Caro Paolo, sì, perché per mei sei caro, lo sei stato e lo sarai sempre, accettalo, fattene una ragione; il tempo che passa non basta ad archiviare il cuore e i sentimenti.
Quindi la devi smettere, perché tutto questo fa un male indescrivibile: o torni veramente o resti dove sei e non ti fai più vedere, non così almeno. Non è possibile che una persona vada a dormire dopo lunghe giornate di fatica, di responsabilità, di preoccupazioni e l’unica cosa che riceve in cambio è un sogno che dilania l’anima. Ogni volta. Ogni stramaledettissima volta, da dieci anni a questa parte, tu arrivi, finalmente torni e cosa fai? Non mi parli, non mi abbracci, sei incazzato con me ed io ancora non capisco perché.
Come quella volta, ti ricordi in quel sogno, quando tu arrivasti bello bello dicendo che a casa non ci volevi più tornare, che ti eri trovato ben due e dico DUE donne diverse e volevi solo loro! Ti tirai anche un o schiaffo quella volta Paolo, io che non ho mai alzato le mani nemmeno su una zanzara. Era il dolore, non ero io: il dolore mi ha fatto questo, essere quella che non sono.
E ogni volta, io felice, ti guardo e ti dico finalmente sei tornato, ti domando dove sei stato, mi domando se finalmente sei guarito, se sei stato veramente malato, aspetto di sentire il cuore che batte, il tuo cuore che batte di nuovo con il mio: e tu mi ignori, non mi spieghi, non mi parli, mi lasci in un dolore che non ha spiegazione.
Una volta ho portato anche lei con me e tu hai avuto il coraggio di dirmi che era una mossa scorretta: non si usano i figli. Non si usano i figli. Una pugnalata, sai. E io che avrei solo voluto che ci prendessi entrambe e ci stringessi forte.
Sono troppi anni che va avanti così, non so se ti scrivo più per rabbia o per dolore, adesso. Vorrei solo sapere che stai bene, che tutto quello che ho fatto, anche se è stato inutile, tu lo serbassi nel cuore, come faccio io con ogni immagine, ogni ricordo.
Non mi hai mai fatto regali, figuriamoci a San Valentino, hai sempre odiato le feste imposte ed ero io che regalavo qualcosa a te: l’ultima volta il David Bowie Platinum Collection.
Eravamo eroi in quei giorni, “We can be heroes, for ever and ever, what d'you say?” Che ne dici, Paolo?
La tua (non proprio) Maria
Letizia Battaglia 

arrivammo sul più bello.
noi, i nipoti amatissimi e numerosi come gatti.
loro, i nonni e bisnonni al tempo stesso, di uomini fatti e di bambini appena nati.
nonno paolo e nonna maria.
mai un litigio. o per lo meno abilissimi nel nasconderlo.
che poi anche loro avranno avuto trent'anni una volta, anche se non ce l'hanno mai raccontato.
magari anche loro avranno fatto volare piatti, sbatacchiare pensili, lanciato scarpe, moccoli o madonne.
ma non davanti a noi.
davanti a noi i nonni erano sacri come la madonna e san giuseppe, come gli dei dell'olimpo, perfetti, canuti e saggi.
e invece erano lì, in cagnesco, ostinati, ingrugniti, arrabbiati.

"no, mai e poi mai. te lo puoi scordare."
"va bene, vai dove ti pare, io non potrei andare in nessun altro posto."
"io invece sì, vuoi vedere? sono di Gragnolo, a Frosina non ci vengo."
"ma siamo tutti lì, da sempre."
"sarete tutti lì. senza di me."

li guardavamo senza capire. senza seguire il senso di una rabbia che non capivamo, che non sapevamo infilare nella scatola giusta.
poi piano piano iniziammo a capire.

"a Frosina è in discesa. ed è girato verso monte. io non ci voglio venire."

a Frosina,in effetti, tutto era in discesa. i paesi, qui da noi, si arrampicano a sentire l'aria che soffia dal mare, di là dal monte, che arriva dalle piccole valli collinari.
ma un'unica cosa era in effetti girata verso monte.
il cimitero.
ecco di cosa parlavano.
ecco il problema.
la tomba.
la pietra, con la foto, con la scritta, con il vaso per i fiori.
da comprare per tempo, per non lasciare a chi rimane anche un pensiero indesiderato in un momento già triste di suo.
comprare il posto per riposare in saecula saeculorum, mano nella mano, come nella vita, gabbando quel fin che morte non vi separi che li aveva portati fin lì, ai figli, ai nipoti, ai bisnipoti. querce di bosco circondati da cespugli e alberelli, capifamiglia senza mai un dubbio, senza mai un cedimento.

"che succede?"
chiese il più grande di noi.

"succede che il tu'nonno è una testa di legno. io, a Frosina, in discesa e senza vedere il panorama non ci vado. pitta m'ingolli."
"Pitta m'ingolli" era la frase definitiva.
in dialetto vuol dire una cosa del tipo "potessi sprofondare", essendo la "pitta" un pozzo, un buco profondo nel terreno.
mio nonno comprese che non aveva scampo. avrebbe dovuto lasciare tutti i parenti, la madre, il padre, le zie e gli zii, i cugini.
tutti i Di Chiara morti da un pezzo, che lassù, a Frosina, in discesa, lo aspettavano da generazioni.
perché lei, la donna che amava, voleva essere seppellita dove si vede il panorama. e dove le bare non stiano in discesa.

"oh che ti devo di'? siam istati insiem' tutta la vita, 'un ti lascio sola a Gragnolo, verò anch' io..."

nonno Paolo si arrese. nonna Maria buttò la minestra nel brodo, soddisfatta. aveva vinto lei.
ancora una volta.
letteredalucca

Non credo di aver capito…
E’ per il mio progetto di scrittura. Questa settimana l’input è di scrivere una litigata.
Questo l’ho capito, ma non ho capito cosa c’entro io.
Aiutami! Litighiamo e così trascrivo la litigata.
Spero che non ti diano mai l’input di scrivere un racconto dal punto di vista di un omicida… se questo è il tuo modo di trovare l’ispirazione, sono fottuto.
No, tranquillo. Il racconto sul serial killer l’ho già scritto e tu sei ancora vivo.
Scusa?
Sì, l’ho scritto due settimane fa e non ti sei accorto di niente. Guarda che dovresti far qualcosa per i tuoi riflessi… non hai idea di quante volte ti sono arrivata alle spalle senza che te ne accorgessi.
Cosa hai fatto? Cioè, mi sei arrivata alle spalle per far cosa?
Ma niente! Volevo provare la sensazione di chi si avvicina ad una preda ignara. Sai, nell’arte le emozioni devono essere vere, scrivi ciò che vivi.
Ma che stai dicendo? Preda ignara? Maria, sono tuo marito, non sono una preda ignara! No, ma io non ci posso credere… vuoi un’emozione vera per la tua arte? Vaffanculo! Eccoti una bella emozione sincera, scrivici il nuovo Guerra e Pace! Ma ti sei ammattita?
Paolo, guarda che stai esagerando. Non avrei mai usato il coltello, te lo giuro! Per chi mi prendi
Cooosa? Mi sei venuta alle spalle con un coltello? Maria, ti prego, dimmi che è uno scherzo, un brutto scherzo che adesso finisce!
Paolo, la tua reazione è spropositata! Ti ho chiesto uno spunto per la litigata ma stai degenerando! Dovevo immaginarlo, sempre così melodrammatico… me lo sentivo che non avrei dovuto coinvolgerti direttamente ma questa volta ho voluto credere che finalmente mi avresti dato il tuo supporto attivamente! Scusa se ho voluto darti fiducia!
Io sto degenerando? Mia moglie mi arriva alle spalle con un coltello manco fosse una ninja e quello che degenera sono io? Aspetta un attimo. Cosa intendi con “questa volta”? Ci sono state altre volte? Maria… partecipi a questo progetto da gennaio, hai già scritto due racconti. La litigata è il terzo, il secondo era l’omicidio…. Maria? Il primo racconto… COSA HAI SCRITTO NEL PRIMO RACCONTO?
La Peppa Bennet

M : Stammi lontano, sei stato via per 3 giorni, dico 3 giorni e adesso ti ripresenti e vuoi stare abbracciato? Era già successo e ti avevo perdonato ma ora basta, non sono una mezza calzetta io!!!
P : Maria, amore mio, non so cosa sia successo, ti giuro. Non volevo, mi sono trovato in quella situazione e ci sono dovuto rimanere. Non avrei mai voluto veramente... Credimi, sei la mia anima gemella, tu mi completi.
M : Sei il solito ruffiano e bugiardo, ti hanno visto tutti, non vi siete nascosti per nulla, con quella puttanella rossa... non è la prima volta che va con altri. Stupida io che sto qui ad aspettarti, se avessi voluto avrei trovato anche io qualcuno; pensi sia difficile, ti avvicini, anche se si è diversi e poi si viene presi dalla sorte e si sta un pò insieme. Vuoi questo tipo di relazione tra di noi? Dimmelo ma non era questo che mi aspettavo dalla vita.
P : Ma no, un errore non può pregiudicare, 5 anni di amore...
M : Due errori.
P : Si due errori ma è colpa di Federico, lo sai è talmente sbadato.
M : Certo è sempre colpa di Federico.
P : Maria noi siamo insieme dalla nascita, sono stati anni bellissimi, non buttiamo tutto così. Ricordi il nostro viaggio a Vienna? Quanto ci ha fatto camminare... e quando siamo stati in Messico? che caldo, puzzavamo da far schifo..
M : Paolo mi sono data a te con ogni fibra del mio essere, ho sofferto e non voglio più soffrire. Pensavo di perderti per sempre, come l'anno scorso, quel taglio sul tallone... Grazie a dio la madre di Federico riuscì a salvarti con 8 punti. Non puoi fare più questa vita.
P : Maria non succederà più te lo prometto, restiamo un pò in disparte io e te, isoliamoci un pò e vedrai che non succederà più.
M : Va bene amore mio.

Proprio in quel momento Federico aprì il cassetto e prese Paolo e Jasmine (la puttanella rossa), Paolo cerco di divincolarsi stretto nella mano di Federico ma nulla, l'ultima cosa che vide prima che il cassetto si chiudesse fu il volto paonazzo di Maria. Questa volta non mi avrebbe più perdonato.

Federico stava per uscire di casa in ritardo come al solito quando sua madre nel salutarlo gli disse : "Scemotto hai di nuovo i calzini spaiati".
Roberto Tavella

Il ragazzino correva a perdifiato nella via che tagliava in due il piccolo paesello abbarbicato in cima alla montagna.
“Paolo e Maria hanno litigato!” continuava ad urlare a squarciagola mentre i duecento abitanti del paese si affacciavano alla finestra e si voltavano a vedere Ninetto che correva verso la chiesa.
Ninetto era un ragazzino di dodici anni, che era stato colpito in pieno volto dal calcio di un mulo quando ne aveva sei. Era finito in coma – il sonno degli angeli, come dicevano in paese – ed al suo risveglio il suo cervello si era fermato al momento dell'incidente, rendendolo di fatto un bambino per sempre, con il volto un po' sghembo ed asimmetrico.
Quella mattina Ninetto si trovava a passare di fianco alla casa di Paolo e Maria, quella deliziosa casetta in fondo al paese dalle cui finestre si vedevano tutti i campi a valle, e sentendo dei rumori strani si era avvicinato a sbirciare dalla finestra. Quello che aveva visto lo aveva spaventato e così era corso in paese a dare la notizia: Paolo e Maria hanno litigato. Anzi, lo stanno ancora facendo!
I due protagonisti di questo fattaccio si conoscono fin da bambini piccoli, lui figlio di agricoltori, lei figlia della maestra e dell'unico meccanico della zona.
Quando Paolo aveva quattordici anni era diventato orfano a causa di un incidente ed era stato affidato alle amorevoli cure della zia Rosa, e Maria aveva cominciato a frequentare Paolo un po' per dargli conforto, un po' per un sentimento che ancora non sapeva spiegare, ma che presto comprese essere amore. Da quel momento non si sono mai più lasciati.
Paolo e Maria sono considerati la coppia perfetta: sempre insieme allegri e sorridenti, sempre pronti ad aiutare gli altri col sorriso sul volto.
Per questo tutti rimasero sbalorditi nel sentire che la coppia perfetta aveva litigato. Le comari anziane del paese, non senza invidia, sorridevano soddisfatte, mentre gli altri reagivano con un misto di stupore ed incredulità.
Il parroco non ci voleva credere. Li aveva sposati lui dieci anni prima ed erano sempre stati di ispirazione per la comunità, anche se non erano mai riusciti ad avere figli nonostante le preghiere ed addirittura un pellegrinaggio a Lourdes.
Dopo qualche giorno di pettegolezzi e di sguardi interrogativi alla coppia, che quando arrivava in paese si comportava come se niente fosse, gli abitanti non sapevano più cosa pensare.
Il parroco decise di fare qualcosa e si diresse una bella mattina di sole a casa della coppia.
“allora, mi volete spiegare cosa succede?” chiese il parroco senza troppi preamboli mentre sorseggiava il caffé che solo Maria riusciva a fare così buono.
“che cosa intende?” risposero all'unisono le voci della coppia.
“si dice in paese che qualche giorno fa abbiate litigato, più precisamente quattro giorni fa, verso sera”.
Paolo e Maria si guardarono e subito dopo esplosero in una risata: “quattro giorni fa verso sera, e magari l'ha detto Ninetto, vero?”
Il parroco cominciava ad intuire la verità: “qualcosa mi dice che non stavate litigando”
“Don, lei sa che stiamo provando ad avere un figlio da qualche anno. Ebbene ci stavamo provando anche la sera di quattro giorni fa”, disse Paolo mentre cercava di non ridere di nuovo. Il parroco si fece una bella risata insieme alla coppia, si fece promettere di “litigare” con le finestre chiuse, specialmente quelle che danno sulla strada, e la Domenica si prodigò in una ispirata predica sul potere maligno del pettegolezzo e sulla forza dell'amore. Ed in privato spiegò a Ninetto qualcosa sull'amore e che spiare il prossimo non è mai bello.
Beppe Carta
Decise di salire in camera a riposare. Era stanca. Non riusciva a capire cosa fosse. Era difficile essere lei, troppe domande, troppe possibilità, troppa irrazionalità.
Il telefono vibrò. Guardò il display, sbuffò.
Avevano litigato solo una volta prima di quel, sempre per colpa del bastardo. Non che fosse un rapporto normale quello con sua madre, ma di solito non litigavano.
Quando il bastardo era morto avevano litigato.
Lei aveva un unico pensiero. Aveva bisogno di sapere. Aveva bisogno di passato.
Si chiedeva cosa avessero immaginato i vicini quella domenica pomeriggio sentendo gridare “quelle del terzo piano”.
Il signor Gino sicuramente che fosse una vergogna: “Sono in lutto è che diamine”.
La signora Eliana: “Povere, che cosa non fa fare il dolore”.
Il Signor Domenico: “Ho sempre detto che avevano qualcosa di strano quelle due”.
Le grida salivano, scendevano, si fermavano, erano interrotte dal pianto, riprendevano fiato, ricominciavano.
“Non capisco perché ti sia tanto intestardita su questa storia, il passato è passato. Lascialo lì. Ora lui è morto. Finito. Tutto finito. Perché vuoi continuare a farti del male?” disse la donna dai capelli scuri legati in uno chignon.
“Che tu non lo capissi non avevo dubbi. Sei sempre andata avanti senza farti troppe domande. Perché per te le persone vanno prese per come sono. In fondo sono tutte buone. Lui non lo era, neppure in fondo. Era un invasato, un mostro” disse quasi con la bava alla bocca.
Sua madre la fissava scuotendo la testa. Due giganteschi mondi in una stanza. Due mondi che si confrontavano per la prima volta. Sua madre parlava sempre ma non raccontava mai. La sorprendeva spesso. Quando aveva lasciato il padre. Quando aveva deciso per il bene di tutti di far internare il fratello. Quando aveva cominciato a lavorare. Quando aveva ripreso l’ex marito in casa perché nessuno doveva morire solo. Due mondi che non si capivano.
“Come potresti essere un mostro tesoro? Non dire sciocchezze” le disse con dolcezza.
“Come potrei non esserlo. Mio padre era un uomo violento, incline alla cattiveria, per non parlare del periodo della guerra.”
“Sciocchezze”
“Sciocchezze? E’ tutto documentato. Vogliamo parlare di mio fratello?”
“Tuo fratello è semplicemente una persona fragile. Tu non lo sei. Ti sei laureata, hai una casa, un buon lavoro.”
Doveva calmarsi, le veniva da vomitare, il cuore batteva forte ma non riusciva a fermarsi. Tutta quella rabbia doveva uscire. Se l’avesse trattenuta ancora probabilmente le sarebbe venuto qualcosa, le sarebbe cresciuto qualcosa di oscuro, di mortale dentro.
“Non sono fragile? Non sono fragile?” si era messa a gridare con quanta forza aveva in gola.
Voleva gridarle di tutti gli uomini sbagliati, di tutte le scelte sbagliate, di tutti i sogni infranti, di tutti i sogni mai perseguiti; come quella volta che sarebbe bastato poco per farla finire nel baratro della depravazione, senza neppure il gusto di farlo, solo per assecondare il desiderio altrui, solo per ricevere un po' di amore, poco importava che fosse un amore finto.
Sospirò “Mamma, io ti voglio bene ma non abbiamo nessuno. Nessun parente, nessun aneddoto familiare. Nessuno. Tutti hanno aneddoti, tutti hanno qualche tenero racconto. Noi non ne abbiamo. E ora viene fuori che qualcosa abbiamo. Che qualcuno lo avevamo e forse quel qualcuno mi potrebbe aiutare.”
Sua madre la guardo. Sospirò.
“Senti tesoro, non è tutto oro quello che luccica. Quella donna è un’estranea. Non la conosci e hai la tendenza a romanzare le cose"
Colpita e affondata.
“È vero. Innegabile.” disse sedendosi e prendendosi la teste fra le mani “Abbiamo affrontato la cosa con lo psichiatra. Abbiamo superato la cosa, la tengo sotto controllo.” aveva detto sfiancata.
“Non capisco, veramente continuo a non capire. Tuo padre non era un’ottima persona”
“Dire che non era un’ottima persona è un eufemismo” la interruppe la ragazza.
“Lo vuoi chiamare bastardo senza cuore? Va bene, chiamiamolo bastardo senza cuore. Ma non ti ha mai fatto mancare niente”
“No a parte l’affetto e la libertà”
“Non essere melodrammatica”
“Non mi sembra di essere melodrammatica mamma. Ti sto descrivendo le cose per come sono state. Papà era un uomo meschino. Aveva sempre messo il suo credo politico davanti a tutto e questo, unito al fatto che non aveva morale lo ha reso esplosivo durante la guerra. Dopo con noi figli si è comportato come se fossimoo delle reclute e non i suoi figli. Come si comportava con te? Non andava mai bene niente di quello che facevi, mai”
“Tuo padre è stato l’unico che si è preso cura di me, poi mi sono accorta che non era quello il modo giusto di occuparsi di una persona. Ma tu sei giovane, puoi andare avanti. La devi smettere di struggerti.”
“Io non mi struggo. Io sono terrorizzata di essere come lui. Sono terrorizzata di non essere una brava persona. Sono terrorizzata di essere pazza.”
“Ne abbiamo già parlato, ne hai già parlato con il dottore. Non sei pazza. Non hai ereditato niente da lui, tranne gli occhi azzurri e i capelli biondi. Non si ereditano queste cose. Devi andare avanti”
Sua madre non capiva. Lei aveva bisogno del passato. Aveva bisogno di sapere perché suo padre era quello che era. Il perché del bipolarismo di suo fratello. Aveva bisogno di capire e l’avere scoperto che qualcuno c’era a cui chiedere poteva aiutarla a trovare un equilibrio.
Aveva trentacinque anni, nessun fidanzato, nessun figlio. Pochi legami. Nessuno le piaceva e lei non piaceva a molti. La trovavano pesante. Era entrata in terapia, molte cose erano cambiate ma non tutte e da suo padre non avrebbe cavato un ragno da un buco. Le persone che la potevano aiutare erano tutte morte e lei non poteva farsi sfuggire quell’occasione.
Quella donna era anziana e non sarebbe vissuta ancora per molto pensava.
Era stufa delle occasioni perse. Questa volta no. Questa occasione l’avrebbe presa al volo. Dicono che se niente cambia, niente cambia quindi qualcosa doveva cambiare.
Silenzio, la casa era in silenzio.
“Mamma domani parto e vado da lei. Ho già la valigia pronta” disse Paola interrompendo il silenzio.
Maria si girò di scatto e la guardò con qualcosa di molto simile alla paura. Era abituata alla vita un po' confusa della figlia ma chi non era confuso? Alle sue molteplici domande e a delle scelte di vita che a volte sembravano molto discutibili ma alla fine si era sempre salvata. Egregiamente secondo i suoi parametri e ora si lanciava in quella cosa senza né capo né coda, ai suoi occhi era una follia. L'ennesima. Ma più pericolosa.
“Come farai con il lavoro?”
“Ho parlato con il mio capo e mi affiderà tutti lavori che posso svolgere da casa. Casa l’ho messa su Airbnb. Sandra si occuperà della cosa”
“Sandra, la mia amica Sandra?”
“Sì, sembrava molto contenta della cosa. Ha detto che questo le avrebbe dato qualcosa a cui pensare dopo il divorzio.”
“Non mi ha detto niente” disse la donna un po' piccata.
“Beh, se devo dirla tutta non gliel’ho proprio detta tutta”
“Hai deciso? Sei proprio sicura? Per me sbagli”
“Sì mamma sono proprio sicura” disse Paola alzandosi dalla sedia e dirigendosi verso l’attaccapanni. “Non puoi aspettare ancora un po’, riflettere ancora un po’. Tuo padre è ancora caldo”
“No, non posso. Ti mando un messaggio quando arrivo a casa” disse la ragazza. Prese la borsa e uscì.
Bionda per scelta

Ancora una mezz’ora di stoico immobilismo ed il processo di incorporazione nel divano sarebbe arrivato a compimento. Le gambe pelose sarebbero sprofondate nel tessuto. Vi era un’alta probabilità che non se ne sarebbe neppure accorto avendo gli occhi fissi sullo schermo del mio i-pad. Ne ero sicura. Il divano non si sarebbe neppure macchiato e con un po' di fortuna sarebbe stata inghiottita anche la forfora: un processo naturale ed indolore. Dopotutto non puoi occupare per ore, giorni, anni, la stessa identica posizione senza farti distrarre da nulla (che ne so: una richiesta di aiuto per aprire l’infida lattina dei pelati? una telefonata dall’altra parte della città per farsi venire a prendere? la telefonata di mia madre?) e pensare di farla franca per sempre. Dovevo concentrarmi sul divano, cercare di far riposare l’istinto di farla finita. O di finirlo io. Lì, sul divano. Però a quel punto il divano si sarebbe macchiato (il sangue era tra le sostanze che quel tessuto avrebbe trattenuto, senza possibilità di candeggio, lo avevo controllato). Ma come era possibile aver scambiato l’indifferenza mista a fancazzismo per una dote: un tipo tranquillo e pacato, vero? E io invece? Una che non riesce, neppure se si concentra, a stare ferma per più di 2 secondi. Neanche mentre fa una TAC. Figuriamoci su un divano! Perché non aveva messo la sveglia quella mattina dopo averlo detto era un mistero. Ero sicura che l’aveva detto. Paolo: va bene alle 8, allora? Avevo annuito, di spalle, mentre lavavo i denti. E poi naturalmente la sveglia non era suonata. E avevo fatto tardi. Ero uscita sbattendo la porta. Era andato tutto storto. Giornata da incubo e tutto per quella sveglia. Come al solito: tu chiedevi una cosa e lui immancabilmente non la faceva. Se era così importante perché non l’hai messa tu? Lo sapevo che me lo avrebbe detto. E poi: ma sei solo arrivata tardi! Non è mica la fine del mondo. Già. Avrei urlato, come al solito, impegnato il resto della serata a discutere animatamente, a parlare di rispetto, di importanza delle piccole cose, dei gesti apparentemente inutili ma vitali. Senza risolvere nulla. Gli passai accanto ed entrai in bagno. In un attimo ero già sotto la doccia a canticchiare city of stars. Giusto per smaltire la litigata appena consumata prima ancora di nascere. Anni di convivenza erano serviti a qualcosa.
Anonimo
“È finito il latte” disse Paola.
“E io che ci posso fare?” rispose Maria.
“Niente, tu non puoi farci niente. Del resto, quando è stata l’ultima volta che ti sei resa utile, tu?”
“Dio, quanto vorrei non vedere più la tua faccia”
“E che aspetti? Quella è la porta, vai!”
“Magari” sospirò Maria, voltandosi a guardare l’ingresso. Poi, come ogni giorno, andò ad accoccolarsi sulla poltrona che dava sulla finestra. Dal primo piano avevano una visuale perfetta. La strada era deserta se non si consideravano due gatti, un carabiniere e due portantini.

“Monopoli?” chiese Paola in piedi alle sue spalle.
“Cosa?”
“Vuoi giocare a Monopoli?”
“No, tu sei una capitalista senza scrupoli”
“Trivial?”
“No, io so tutte le risposte, non c’è gusto”
“Scarabeo?”
“Ok”
“Prendo anche le arachidi”
“Ne abbiamo ancora?”
“No, io ne ho ancora. E io, nella mia enorme bontà, te ne offro qualcuna”
“Non ne voglio”

“Mmmmmmmmm che delizia” mugugnò Paola leccandosi le dita sporche di sale.
“Spero che ti ci si strozzi!”
“Non so se ti converrebbe, dopo ti toccherebbe convivere con il mio cadavere”
“Cavoli, non ci avevo pensato” si rabbuiò Paola.
“Davvero? Io ci penso tutti i giorni”
“Al tuo cadavere?”
“No, al tuo” sorrise Paola, aprendo il tabellone sul tavolo del salotto per poi accomodarsi a gambe incrociate sul tappeto. “Quando mi fai andare completamente fuori di testa, quando ti lamenti per la milionesima volta del fatto che abbiamo finito il succo d’arancia, quando frigni perché non puoi farti una bella passeggiata al parco, ecco in tutte queste occasioni, e in molte altre ancora, bada bene, in molte altre ancora, io sogno di farti stare zitta. Per sempre. Sarebbe così liberatorio, riacquisterei la pace ma poi penso al tuo cadavere, non potrei buttarlo fuori, neanche dalla finestra dato che ce le hanno sigillate, e dover convivere con te da morta sarebbe persino peggio che convivere con te da viva”.
Le sorelle si guardarono negli occhi. I lampeggianti dell’ambulanza che si allontanava illuminarono per un attimo i loro visi.

“Casa”
“Eh?”
“CASA” ripeté Maria, posizionando 4 tessere quadrate in fila. “C-A-S-A. 1 punto per ogni A, 1 per la C e 1 per la S. Quattro in totale”
“Casa? Tutto qua? Sei il fenomeno dello scarabeo, un talento raro. Sarà una partita molto emozionante”
“Stronza”
“Eh?”
“STRONZA, S-T-R-O-N-Z-A”
“Ma non ce l’hai la Z e poi non toccherebbe a me?” commentò Paola spiando le tessere celate dell’altra.
“Stronza, tu sei una stronza!”
“Non trascendere, abbiamo deciso tre giorni fa che dovevamo smettere d’insultarci. E, tutto sommato, devo ammettere, che la convivenza ne ha giovato. Sono tre giorni che non ho la tentazione di strangolarti con le calze”
“Allora, direi che sarebbe il caso di aggiungere una nuova regola: vietato sognare la morte dell’altra” sbuffò Maria.
“Non puoi tarpare le ali ai sogni” sorrise compiaciuta Paola.
“E potrei nasconderti calze e oggetti contundenti, almeno?”
“La tua è una richiesta legittima, te lo concedo”
“Ti ringrazio” disse Maria per poi girarsi a guardare nuovamente la porta. Sprangata.
“Quanto manca alla fine della quarantena?”
“Due giorni, sette ore e 28 minuti”
“Va bene, continua pure a sognare di sopprimermi ma almeno passami le arachidi”.
Jane Pancrazia Cole

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