Pancrazia in the U.S.A (New York – Seconda Parte)


La Quinta Strada dove si scoprono cose nuove ad ogni angolo, inclusa la cattedrale di San Patrizio, bella, imponente e con la follia tutta americana di un distributore automatico di acqua santa. Non mi fate quell’aria sconvolta: in fondo si tratta solo della versione più moderna e molto più igienica delle nostre acquasantiere. 

Il Rockefeller Center che regala uno degli scorci più tipici, cinematografici e natalizi. Ma è giugno quindi niente albero e niente pista di pattinaggio, ciccia! 

La Sesta Strada dove c'imbattiamo nella fiera dello street food. No, non è un'arguta metafora, c'è proprio la fiera dello street food. Che se c'è una cosa di cui la città non avrebbe bisogno è proprio la fiera del cibo di strada, essendo già ogni giorno il regno dei carretti calorici. Sempre siano lodati! 

Le stradine con le case belle di mattoni rossi, le scale antincendio e l'ingresso con 4 o 5 gradini. Una foto e "sembra la casa dei Robinson", una foto e "sembra la casa della Tata" , una foto e "la casa di Friends dove sarà?" "E il Central Perk?" "Guarda che il Central Perk non esiste" "Stai scherzando???" 

L'Upper East Side, ricco ricco ricco, lungo lungo lungo e pure in salita... Dipende da che lato lo prendi, ovviamente. Noi da quello sbagliato, ovviamente. 

Le tavole calde con i bicchieroni d'acqua gratuiti e i piatti carne e contorno "Regular o Big?". Tu ordini "regular" e se ne arrivano con una porzione sufficiente per 5, togliendoti la fame per 48 ore ma non la curiosità su quanto cavolo possa essere grande il piatto “Big”. 

Il palazzo dove viveva John Lennon, il ricordo di John Lennon ai confini del parco e il parco. Il park, Central Park, dove ti sdrai sull'erba e dimentichi di essere in città, dove guardi il lago e pensi che vorresti rimanere a New York per sempre, dove una cantante a piedi nudi si fa accompagnare dai musicisti ed è tutto così perfetto che tu quasi ti commuovi. 

Il Memorial dell'11 settembre in superficie e poi, in profondità, il museo dedicato alla tragedia. Ogni parola in più sarebbe superflua. 

Il ponte di Brooklyn dove una coppia di sposi giapponesi si fotografa. Lei ha l'abito bianco e il velo, lui lo smoking. Saranno due pazzi? Saranno sue sposi veri? Nel dubbio ci fermiamo tutti a immortalarli a nostra volta e i ciclisti spietati quasi ci abbattono come birilli. Ma sopravviviamo arriviamo dall'altra parte e ci godiamo quel gioiello che una volta era Broccolino mentre ora, gentrificato e rivoluzionato, è il mio quartiere dei sogni dove trasferirsi per sempre. Dove si fanno delle foto pazzesche con ponti sullo sfondo, dove ci si perde in un mercatino tra artisti, vecchie palle di baseball e figurine dei giocatori come quelle che si scambiavano i bambini nei film di una volta. Mentre un bambino di adesso pizzica i piedi di marito con il monopattino e la madre ci chiede scusa e si genuflette mortificatissima. 


Perché a New York ovviamente ci stanno pure le persone, gli americani, i newyorkesi, mediamente molto più educati di noi italiani, tutto uno scusa e un grazie e un prego. Molto più espansivi di noi torinesi. Che, in effetti, non ci vuole moltissimo. Marito, complice le magliette da nerd e l'aspetto yankee, attacca bottone con chiunque. O meglio, chiunque, attacca bottone con lui. Tv e cinema spesso descrivono i newyorkesi come freddi e maleducati, bah sarà, con noi non lo sono affatto. Rispetto a noi, invece, una cosa è uguale uguale: attraversano la strada da kamikaze arroganti, ignorando sfrontatamente i semafori. Questo fa tanto casa ma io, nonostante l’assicurazione sanitaria faraonica che abbiamo deciso di sottoscrivete prima della partenza, preferisco aspettare il verde eh. 

Times Square che è sempre piena di gente, di giorno e di notte. Turisti, cabarettisti e attori. Cerchiamo la fila per comprare i biglietti per gli spettacoli di Broadway. La troviamo. Abbiamo almeno 40 persone davanti. Una ragazza ci passa un volantino dove sono indicati tutti i punti vendita a Manhattan, scopriamo che oltre a questo che ne sono altri due meno centrali. Ci riproviamo il giorno dopo in uno di questi due. Abbiamo 4 persone davanti. Scegliamo di andare a vedere Chicago. Le attrici cantano ballano e recitano, le ballerine cantano recitano e ballano. I musicisti musicano. Mai vista tanta perfezione in scena. Un orologio svizzero dal cuore pulsante e passionale. Meraviglia. Tra un atto e l'altro passa il ragazzo con vivande e snack. A glass of wine, ordina un tizio a pochi posti da noi. Gli viene consegnato un pinot grigio in un bicchierone di cartone per la bellezze di 30 dollari. Il tizio, per la cronaca, non fa un plissé sentendo il prezzo. Noi. Marito ed io, invece, pianifichiamo di spacciare Tavernello per Barolo e di mettere su un business milionario. 

Lo sport nazionale, il baseball. Andiamo nel Bronx a vedere i New York Yankees. Contro i Tampa Bay. I primi asfaltano i secondi. Kevin Costner saluta alla kiss cam. E noi orgogliosi sfoggiamo cappellino e maglietta, partecipando ad un rito collettivo fatto di gioia e cibo. 

Il Lincoln Center con l'Opera, il balletto e la Juilliard – pazzesca scuola di arte, musica e spettacolo. Ed è subito: “se rinasco faccio la ballerina”. La cantante no, perché neanche in un'altra vita riesco ad immaginarmi intonata.


Prologo, Partenza, New York – Prima Parte

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