“Non l'ho mai raccontato a nessuno... che in un giorno d'estate, con trenta gradi e una cappa d'afa, a poco a poco, si respira gelo, soffia un vento sospeso di parole non dette per timore, per orgoglio, per pregiudizi, a scoprire i sentimenti; e d'un tratto sembra la scena di un teatro, dove le attrici sono manichini di cera in una vetrina; incomprensioni che ingabbiano le vite, ragioni che rimbalzano come una palla su muri di gomma; e quanta fatica per trovare un punto d'incontro e per spiegare le ali, per essere in pace con la vita.”
Dal mio punto di vista? Di poteri non ne ho nessuno, sono gli altri ad essere desolatamente normali. La loro tridimensionalità è un piattume che fatico ad osservare.
Sono troppo spensierata mi dicono, ma non posso fare a meno di trarre la gioia dalla mia quotidianità quando posso attrarre a me qualsiasi cosa io desideri con la facilità con cui mi vesto di un sorriso.
Mi piace danzare, e roteare, con i miei abiti vellutati, e nel mio vorticare attiro gli sguardi di chi è smarrito nella propria quotidianità dagli angoli ragionevoli.
Se ruoto abbastanza veloce, posso sparire, smetto di riflettere la luce che può incontrare i loro occhi ordinari, divento altro.
Scelgo talvolta di non essere trovata, e scelgo spesso di guardare oltre, nelle dimensioni che gli altri non possono vedere, vi cerco la bellezza.
Quando lo desidero, ciò che tocco si può cristallizzare in un eterno presente e si allunga all’infinito, sospeso sull’orlo della mia pelle, perché posso flirtare col tempo, che mi è amico. Quando lo incontro, il tempo, lo sfioro con la punta delle mie dita e ci osserviamo con calma in un istante eterno. Interrompo il contatto ed è già lontano.
Mi chiedono perché così splendida io sia ancora single, ma io sono molto più che single, sono una singolarità.
Io mi basto e mi completo, mi riempio e sono luce, anche quando per i loro occhi risulto assente, custodisco il tesoro che mi rende invincibile e plasmo ciò che mi circonda come voglio, perché non sono imbrigliata nei confini che mi attribuiscono. Se pensate che il mio sorriso sia solo due labbra e dei bei denti, vi siete persi un viaggio infinito tra i miei ossi alveolari.
Spesso mi hanno chiamato supereroe, e mi hanno chiesto come usassi le mie capacità per salvare il mondo.
Non condivido il loro punto di vista, e non perdo tempo a cercare di spiegare cosa significhi la mia esistenza. Mi chiamo Singleton e custodisco il segreto che rende l’universo possibile.
Marina Alice Cibin
Vi svelo un segreto grande, enorme, monumentale: BABBO NATALE ESISTE.
Ve lo dico perché l’ho conosciuto, una notte d’inverno di inizio dicembre al bancone del Civili (n.d.r. storico locale livornese) davanti ad un ponce al mandarino caldo caldo.
Vi descrivo brevemente la scena, per come me la ricordo. È passata nella mia mente così tante volte, oramai, che mi sembra quasi di averla vissuta ieri e non anni ed anni fa.
Quell’uomo grande e grosso, con un vestito oramai consunto, le mani piene di galle di chi lavora duramente, il capo chino e pensieroso di chi ne ha viste tante, mi fa, dopo avermi pestato un piede ed urtato pesantemente per alzarsi e cercare di dirigersi – forse - in direzione bagno: “Ma sono bria’o?”.
“No no, non si preoccupi, ha solo qualche macchia di alcol e zucchero qua e là sul vestito rosso” – provo a dire.
“De, e regali fii” – mi risponde, come a dire “non si preoccupi, signore, non fa niente” e mi abbraccia, con quel barbone oramai appiccicoso e puzzolente. Credo fosse seduto là dall’inizio del pomeriggio e che quello fosse il trentesimo ponce.
Quando mi ha mostrato il bicipite ed il suo tatuaggio, ho deciso di fare quello che si fa in questi casi: gli ho preso lo smartphone ed ho chiamato il primo numero nel registro delle chiamate. Nientepopodimeno che La Befana.
Una mezz’ora più tardi mi ero ritrovato seduto al bancone con lei. La Befana.
“È saòsa? Un è mi’a che aggaisce di fame! C’ha solo d’andà in pensione a fine anno.” - A quanto pare, Babbo Natale aveva anche fatto proprio il detto “moglie e buoi dei paesi tuoi”.
Continuando: “È tarmente allezzito che du’ citti in meno a fine mese ni fanno bruciaùlo. Be’ mi’ vaini, chissà che fine ni ha fatto fa’’” – come a descrivere un Babbo Natale moderatamente tirchio e ben poco avvezzo alla gestione dei soldi.
Quindi, il povero Babbo Natale era soltanto un anziano fragile in depressione pre-pensionamento.
Che uomo! Che cuore!
Quella è stata la prima e l’ultima volta che li ho visti. In realtà, l’ultima volta che sono stati visti da qualcuno.
“Tip tap tip tap
Questa è l’ora l’ora dei folletti
Tip tap tip tap
Pazzerelli saltano i folletti
Nella casa
Stiam cercando cose buone e dolci da mangiare
Pazzerelli saltano i folletti
Stiam cercando proprio te.”
Questa è la melodia che ha accompagnato l’irruzione ed il mio accerchiamento da parte di 10 stupidi folletti nel mio salotto, qualche settimana dopo. Non sembravano dolci-teneri-pazzerelli: vi dico solo che non riesco più a guardare Netflix da solo nel mio salotto.
Recitando lentamente “tip tap tip tap” si sono allontanati ed è rimasto solo un folletto un po’ più alto, con la giacca ed incravattato.
“Signor Brucialippa” – sapeva anche il mio nome! – “la mia visita non è casuale. Lei è l’ultima persona ad aver visto Babbo Natale e la Befana. Dal 7 dicembre Babbo Natale numero 17 è completamente scomparso nel nulla.”
“Il Natale è in pericolo!” – sono saltato giù dal divano, già immaginandomi come l’eroe di un film natalizio o l’eroe in tutte le testate di giornale: “il Signor Brucialippa salva il Natale”.
“Signor Brucialippa” – con quel tono mi ci chiama solo la ragazza che viene a fare le pulizie quando lascio troppo sporco – “La notte di Natale NON è una notte improvvisata.
Nemmeno Amazon ha un sistema così fitto ed organizzato di ricevimento missive, magazzini locali, spie diffuse in tutto il mondo per segnalare, per esempio, che la nonna o la zia non abbia già comprato il regalo che il bimbo desidera.
Quindi non si preoccupi del Natale. Si preoccupi di dirmi TUTTI i dettagli, movimenti o frasi che quei due sciagattati hanno fatto o detto”.
Nonostante l’accento nordico e l’atteggiamento a signorina Tumistufi, qualcosa da quei due “sciagattati” l’aveva presa.
“Il Vecchio era sempre stato un po’ strano. Essendo tutto ben organizzato, lui doveva fare solo da uomo-immagine.
Eppure una cosa la voleva fare, disgraziato.
Girava per le case – tutte le case del mondo – la notte dell’8 dicembre e rubava un addobbo, un vecchio regalo, un oggetto non molto visibile. VOI pensate l’abbia rotto il gatto; VOI pensate che sia rimasto in chissà quale scatolone. No. Era lui, Babbo Natale numero 17. Il Ladro.
Rubava ai ricchi per dare ai poveri? Macchè! Per dare a sé stesso.
Gli piaceva avere l’Albero ed il Presepe più grandi del mondo.
Pazzo di un numero 17.
Ora, il numero 18 è un tedesco fanatico. Ha scoperto il magazzino “diverso” e si è ricordato di un oggetto che gli è sparito un Natale di 20 anni fa di cui non si era mai dato pace. Purtroppo il magazzino “diverso” non ha il catalogo digitale e cercare là dentro un piccolo oggetto di chissà quale forma è un delirio.
Vuoi farmi lavorare in pace col nuovo capo? Eh?” – mi aveva preso improvvisamente per la collottola, mentre per il resto del tempo aveva camminato in cerchio muovendo esagitatamente le mani e parlando a sé stesso. Tanto che nel frattempo mi ero fatto un thè per dimenticarmi degli elfi.
Io non avevo saputo aiutarlo.
Ma quell’incontro con Babbo Natale e la Befana non lo dimenticherò mai.
Ogni volta che ci penso mi viene da fumare. Ho iniziato di nuovo subito dopo quel 7 dicembre. Mi sono trovato un accendino in tasca con sopra incisa una birra dell’Oktoberfest e..voilà! Chissà dove l’ho recuperato.
Sono quegli oggetti che recuperi, che perdi e non te ne accorgi nemmeno.
Gli accendini sono come gli ombrelli, no? O come la decima pecora del Presepe...
Marianna Palmerini
***
Maya amava il Natale, trovava inebrianti le luminarie della città, le decorazioni dei negozi; profumava persino la casa spargendo ovunque scorze di agrumi e sorseggiava con piacere vari infusi speziati. Sua madre Emma invece rimaneva piuttosto indifferente all’atmosfera delle feste. Non che Maya avesse mai avuto una spiegazione in merito a quello strano fenomeno, ne prendeva semplicemente atto ogni anno, sperando che prima o poi la donna cambiasse idea. Con i pochi risparmi della paghetta aveva comprato un piccolo albero sintetico, che decorava con palline dai colori diversi.
Avrebbe tanto voluto aprire quella scatola in legno – posta nello scaffale più alto del ripostiglio – con su scritto “Vecchie decorazioni da non usare”, ma era sigillata e ogni volta che chiedeva a sua madre che cosa contenesse, riceveva sempre la stessa risposta: “Tu fai finta che non esista”.
C’era solo un addobbo natalizio che Emma ogni anno si prendeva cura di togliere da una sacca di pesante velluto rosso pieno di morbida ovatta: la statuina di un soldatino Schiaccianoci, proprio come quello dell’omonimo balletto, con tanto di giubba rossa, barba bianca, corona dorata e bastone di ordinanza; Emma era stata una ballerina professionista prima che Maya nascesse e lo Schiaccianoci di Marius Petipa era il suo balletto preferito, portava la figlia a vederlo ogni volta che quella rappresentazione era in città, soprattutto nel periodo natalizio. Maya gioiva nel vedere la madre che felice canticchiava tra sé le note tanto conosciute, seguiva i passi con un lieve movimento del capo, piangeva durante la danza dei fiocchi di neve.
Sì, di quel periodo era decisamente quello il giorno che la ragazza preferiva.
La notte della vigilia Maya fu svegliata da un tonfo, si girò verso sua madre che invece dormiva tranquilla e scese dal letto per andare a vedere cosa fosse successo. Era certa che il rumore fosse stato in sgabuzzino e mentre vi si avvicinava sentì anche dei lievi bisbigli, che crescevano di intensità man mano. Aprì la porta e accese la luce: i bisbigli sparirono ma si preoccupò non poco nel vedere la scatola in legno proibita che giaceva semi aperta sul pavimento, facendo trapelare tutto il suo contenuto. Erano delle decorazioni bellissime: tutte dipinte a mano, in vetro, ceramica, legno, di tutte le forme e dimensioni. Statuine a forma di Babbo Natale, cristalli di vetro; c’erano persino le statuette della favola di “Alice” di Carrol; di Pinocchio, una di un Mariachi col sombrero e tante altre.
Il cuore della ragazza batteva a mille: se sua madre l’avesse scoperto? Se qualcuna di queste si fosse rotta nella caduta? Rimase incerta sul da fare quando d’improvviso una voce: “È tardi, è tardi è tardi! Che aspetti a portarci in un posto sicuro?”
Dallo spavento per poco non fece scivolare il Bianconiglio dalle sue mani.
“Tu parli?”
“Shhh, o Emma potrebbe sentire!” Disse un’altra voce dalla scatola.
“Ma che diavolo…”
“Nessun diavolo ragazzina, noi portiamo gioia.”
“Siamo rimasti chiusi dentro tutti questi anni a fare la muffa, altro che gioia!”
Si lamentò un’altra voce.
Maya era terrorizzata. Stava sognando?
“Vamos vicino all’albero e te esplicheremo todo!”
E lei molto lentamente, ancora in stato di shock, obbedì al piccolo mariachi.
Una volta lì anche lo Schiaccianoci parlò: “Ce ne avete messo di tempo!”
“Zitto tu, che sei l’unico che proprio non può lamentarsi!” Gli inveì contro Alice.
“State tutti bene?” chiese Il Re di Cuori.
“Io mi sono rotto in due pezzi, ma non sono grave.” Disse un angelo di coccio.
“A me manca una punta.” Disse un intarsiato abete in legno.
“Insomma voi chi siete?”
Il Re di Cuori continuò: “Noi siamo le vecchie decorazioni dell’albero di Natale di Emma, alcuni di noi abbellivano addirittura l’albero della casa dei tuoi nonni a New York. Proveniamo da tutto il mondo, da tutti i posti in cui tua mamma ha vissuto e in cui ha viaggiato prima che tu nascessi. Vedi? Lui proviene da Amsterdam, lui da Stoccolma, io da Oxford...”
“Viaggiava per via della danza?”
“Non solo, era una passione che aveva in comune con tuo padre.”
“Oh, stavi andando così bene…” disse un pennuto giallo su una calza grandissima con scritto ‘Sesame Street’.
“Non preoccuparti.” Rispose Maya “Ho pochi ricordi di lui e mamma non ama parlarne.”
“Dopo che tuo padre ha avuto l’incidente ricordare i momenti con lui le faceva troppo male e così ci ha messo tutti nella scatola.”
“Ha messo tutti noi, non te.”
“Alice ha ragione: tutti loro. Io sono stato risparmiato perché non faccio parte di quei ricordi.”
“Io provengo da un romanticissimo week end a Praga proprio nei giorni di Natale”. Disse una campanella di cristallo.
“Anche io sono stato comprato a Natale.”
“Anche io…”
“Pure io…”
“Ora capisco.” Disse Maya “Ma perché parlate? La scatola è caduta per un incidente? Io non voglio finire nei guai!”
“Abbiamo sempre parlato ma mai in tua presenza! È il tuo spirito natalizio che ti dà il potere di sentirci, io l’ho sempre percepito e mentre me stavo dentro l’ovatta ho proposto agli altri di provare il tutto e per tutto, sperando nel tuo supporto”.
“Io non ho mai voluto parlarti!”
“Oh Alice, lo Schiaccianoci non ha colpe, non credi? Vi prometto che farò il possibile per aiutarvi. Certo è che avete corso il rischio di rompervi tutti, siete così belli ma così fragili!”
“In realtà Emma ha sempre avuto cura di noi, guarda qui.”
La stessa cura con la quale Emma faceva riposare il soldatino natalizio era stata riposta nella scatola di legno; Maya diede un’ aggiustatina ai pezzi rotti, li pulì per bene e sostituì le palline colorate con quei nuovi amici che scintillavano alle prime luci dell’alba.
Quello sì che era un albero di Natale super.
“Credi che mi metterà in castigo?” Chiese la ragazza al soldatino di legno.
“Ormai sei grande! Falle capire che il suo passato non deve essere un ostacolo alla sua vita, alla vostra vita e vedrai che non ci saranno più decorazioni natalizie rinchiuse, anzi, tante altre si aggiungeranno alla collezione!”
E così fu.
Dedicato a tutte le persone a cui manca viaggiare: non rinchiudete la progettazione di un viaggio futuro in una scatola anzi coltivatela perché prima o poi potremo tornare a vedere il mondo e lui non vorrà vederci impreparati!
Elisa Pozzati