Causa tendinite pervicace e malevola, sono stata costretta 5 giorni al totale allettamento.
"Si alzi solo per andare in bagno" ha ordinato il medico, senza lasciare adito ad interpretazione alcuna.
E così sono rimasta sdraiata a dormire sul materasso, sdraiata a fissare il soffitto sul materasso, seduta a lavorare col portatile sul materasso, seduta a sospirare lamentosa sul materasso. E, seppur consapevole che le disgrazie sono altre, permettetemi di dire che la faccenda è stata alquanto fastidiosa. Ma mentre io mi abbrutivo sotto le coltri, intorno a me gli altri si muovevano solerti e utili. Una su tutti: Madre Cole.
Io odio dipendere dagli altri. Cioè, lo so che, in generale, non piace a nessuno ma io non ne faccio una questione d'indipendenza e orgoglio, o almeno non solo. A me infastidisce soprattutto la posizione scomoda in cui un rapporto di dipendenza, seppur momentaneo, ti mette. La riconoscenza è un sentimento nobile ma anche una gabbia. Non guardatemi con quell'aria di rimprovero ma apprezzate, al contrario, la mia sfacciata sincerità.
Io, in occasione di questa domenica di maggio, lo devo dire. Devo confessare che, all'ottava volta che mia madre, giunta in mio soccorso, aveva da ridire su uno qualunque degli aspetti della mia gestione casalinga, io desideravo ancora dirle "Grazie madre per essere venuta qui ad occuparti di me e del mio domicilio" (non sono mica un arido mostro) ma desideravo anche, e con altrettanto se non superiore ardore, tirarle dietro una delle due stampelle che usavo per deambulare verso il bagno.
"Uh quanta roba da lavare" criticava e a me iniziava a salire la carogna.
"Ma perchè tieni le pentole così? Aspetta che le metto a modo mio. Ecco, molto meglio" stravolgeva e a me si risvegliava la gastrite.
"La tua dispensa è troppo disordinata, che ci fanno gli spaghetti accanto al riso?" sgridava e io tentavo di afferrare la stampella appoggiata al cassettone.
Ma poi lei mi rimboccava le coperte, portava il minestronecomepiaceame e mi comprava le briosche dal bar sotto casa. Io allora mi chetavo, mollavo la stampella e mi sentivo pure un poco in colpa per i sentimenti precedenti. Ma solo un po', eh.
C'è questa ingiusta regola non scritta per cui, se mi stai facendo un favore, io non posso dire niente, sospirare, alzare un sopracciglio. Devo accettare tutto passivamente, sorridente e, se possibile, esibendo anche uno sguardo di devozione di cristiana ispirazione. Io devo accettare con tutto il pacchetto anche e soprattutto la sgradevolezza del samaritano, le diverse opinioni e la pesantezza. E secondo me, chi ti fa il favore, in quel momento un po' se ne approfitta, conosce il suo potere e lo esercita. Tutti siamo corsi in aiuto di qualcuno almeno una volta nella vita e tutti, un po', ce ne siamo approfittati. "E pensare che gli sto facendo un favore... che ingrato" abbiamo pensato quando abbiamo ritenuto il nostro gesto non sufficientemente apprezzato. Aprezzamento che può variare, a nostro insindacabile giudizio, da un sorriso sincero all'anima del primogenito di chi abbiamo aiutato.
Non fate segno di no con la testa, non ci crede nessuno, l'avete fatto e lo fate anche voi e, se credete di no, è solo perché non ve ne siete mai resi conto. Questo fa di voi degli inconsapevoli non degli innocenti. Anzi, per quanto mi riguarda, l'inconsapevolezza è un aggravante!
"Io ti faccio un favore, io comando, tu ringrazia e taci, puzzone!" è il sottotesto che guida certi scambi. Scambi meravigliosi, la cui unica alternativa sarebbe essere soli al mondo senza l'aiuto di nessuno, ma pur sempre scambi. Ricordiamoci la gratitudine ma smettiamo di lucidare tronfi le nostre aureole.
Ora vi saluto, devo andare a fare gli auguri a mia madre e a ringraziarla perché senza di lei non ce l'avrei mai fatta in questi giorni. Prima però vado a rimettere in disordine la dispensa, che a me piaceva di più com'era prima.
Tanti auguri alla mamme e ai benefattori... tanta pazienza a tutti gli altri.
Caro estroverso,
ti dispiacerebbe raccontarmi un po' com'è la tua vita?
Perché, insomma, io non riesco neanche ad immaginarmi l'esistenza di un NON timido.
Caro estroverso ti ricordi quand'eri piccino?
Ti ricordi di quella bimba riccia che al parco se ne stava in disparte, fino a quando ti avvicinavi tu per chiederle "Come ti chiami?"
Te la ricordi?
Ecco, io non ero quella riccia lì.
Ma ti ricordi di quella magrina vergognosa? Quella con la mamma che le gestiva le pubbliche relazioni e ti chiedeva al posto suo "fai giocare anche lei?"
Te la ricordi?
Ecco, io non ero nemmeno quella.
Io ero quella magrina e riccia che aspettava in fila all'altalena facendosi passare avanti da chiunque, quella che non andava sul girello altrimenti vomitava, quella che si faceva tutt'uno col grosso cespuglio di ortensie all'angolo.
Ecco, non ti ricordi di me, vero?
Non ti crucciare, non è mica colpa tua.
Non eri tu ad essere un bambino privo di sentimento, ero io ad aver precocemente sviluppato il dono dell'invisibilità. Un superpotere. Deleterio alla distanza ma efficace nella quotidiana sopravvivenza.
Caro estroverso,
e ti ricordi qualche anno dopo?
Ti ricordi di quella ragazzina che stava sempre sulle sue ma poi, quasi per caso, ti capitava di conoscerla e di scoprirla divertente, spiritosa e, a tratti, persino chiacchierona.
E tu allora pensavi fosse carino dirle "all'inizio mi stavi un casino sulle palle, mi sembrava te la tirassi, ma ora che ti conosco, lo sai che sei proprio simpatica?"
E magari pensavi pure di essere gentile a dirmi una roba così, ti pareva persino di farmi un prezioso complimento. Ma no, non era un complimento, o almeno io non lo vivevo come tale. Ed anche alla distanza, a ripensarci, continua a sembrarmi solo uno sfoggio di superficiale boria. Tanto magnanimo quanto non richiesto giudizio assolutorio, che mi faceva solo scattare la carogna e desiderare di urlarti in faccia "tu, invece, fino a questo momento mi eri abbastanza indifferente ma adesso no, adesso, mi stai proprio sui coglioni!"
Caro estroverso,
come si vive nella tua pelle?
Sei corazzato contro tutto e tutti oppure anche tu ogni tanto te la fai sotto?
Io so com'è la mia vita, com'è la mia pelle, conosco le mie battaglie, tutte, soprattutto quelle perse.
So che pure adesso, a 39 anni suonati, a una lezione di Lindy hop con 50 sconosciuti c'ho un'ansia che mi si divora, e mi sento la protagonista sfigata di un brutto film adolescenziale americano.
Uno di quelli dove io sono la tizia coi brufoli e l'apparecchio, e tutti gli altri sono giocatori di football e cheerleader.
E no, io i brufoli non li ho neanche mai avuti e l'apparecchio non l'ho mai portato, ma certe immagini sono simboliche, estroverso, simboliche, essù sforzati un po'!
Caro estroverso,
scusami,
non volevo essere antipatica,
è che riscoprire certi sopiti ma mai dimenticati sentimenti è un dolore piccolino ma profondo, una puntura di spillo che pare una stilettata.
Caro estroverso,
vorrei proprio sapere, sapere come ci si trova ad essere te.
Me lo potresti spiegare?
Solo se hai voglia di farlo, ovviamente.
Non hai mai paura tu?
O forse no? Forse ce l'hai. Meno di me, certo. Ma la tua curiosità è più forte, la tua curiosità vince. Vince facile.
Mentre la mia, sottile e nervosa, si trascina dietro una paura col culo pesante e che punta pure i piedi, 'sta stronza! Anche la mia curiosità alla fine ha la meglio. Certo, per chi mi hai presa? Ma che fatica ogni volta, che gran fatica!
Caro estroverso,
sappi che io non ce l'ho con te, ma t'invidio.
T'invidio disperatamente.
Altro che i soldi e la bellezza. Chi se ne fotte di quella roba là?
Io invidio la mancanza di uno stomaco annodato in situazioni che non lo meriterebbero. Invidio la leggerezza pura non rovinata dall'ansia gratuita. Invidio la capacità di guardare il mondo fuori senza i giri infiniti di guardare prima se stessi, poi l'immagine di sé proiettata sugli altri, poi quella degli altri su di sé, e poi, epoi, epoiepoi epoiepoiepoi
Caro estroverso,
nudo puro e felice,
caro estroverso se ci sei, se esisti, batti un colpo e raccontati.
Perché tu esisti, vero?
O arranchiamo tutti immersi in diversi livelli di disagio?
Per molto tempo ho avuto un pessimo rapporto con il mio compleanno. Non che mi facesse soffrire il trascorrere del tempo sul mio corpo, ma mi sentivo insoddisfatta, insofferente, protagonista di una storia noiosissima che non mi apparteneva. Una storia che non si decideva ad iniziare. Bloccata ad un eterno prologo.
Negli ultimi anni, però, le cose sono cambiate, questa sensazione è svanita, e il compleanno è tornato ad essere ciò che doveva: un'occasione come un'altra per festeggiarsi, per dedicarsi un giorno speciale.
Oggi, poi, la situazione è mutata nuovamente, i sentimenti si sono fatti più forti, e questo nove gennaio ha risvegliato una nuova consapevolezza. Quella di essere finalmente nel posto giusto e, soprattutto, con le persone giuste. Quella di essere felice.
E chi se ne frega se queste cose non dovrebbero dirsi ad alta voce, tanto meno scrivere, che la sfiga si sa ha il sonno leggerissimo. I drammi si presentano comunque, e allora meglio godere dei bei momenti, meglio viverli e coccolarli, perché questo cuore pieno sarà utile nei momenti bui.
E allora buon compleanno a me. A me che mi sarebbe bastata una telefonata e invece ho auto molto di più, ho avuto il gracchiare di un citofono dopo la mezzanotte, ho avuto degli auguri veri dati dal vero, ho avuto il regalo più bello.
Ora vi racconto cosa ho fatto domenica.
No, non domenica scorsa.
Domenica 11 ottobre.
Ho i miei tempi, già lo sapete.
Domenica 11 ottobre ho dormito tutto il mattino come la più grave delle narcolettiche, poi ho fatto colazione come se non ci fosse un domani e, infine, mi sono rimessa a letto. Del resto avevo ancora da sfruttare una mezz'oretta di tutto il sonno arretrato accumulato negli ultimi 38 anni. Ora sono pari, e prevedo di stare sveglia come un grillo per i prossimi due mesi. O anche no.
Dopo tutto questo sfacciato riposo, sono andata in centro. Ci siamo andati tutti. Tutti gli abitanti di Torino e provincia stavano là. In auto. Un traffico folle che neanche a Bangkok, ci mancavano giusto i tuc tuc a fare lo slalom tra le macchine. Sembro una vera donna di mondo quando evoco tali esotiche immagini, nevvero? Ma non lo sono, ho solo visto tutte le puntate di Pechino Express.
Trovato parcheggio dall'altra parte del mondo ho raggiunto a piedi la meta tanto agognata: la Cavallerizza Reale. Cos'è la Cavallerizza Reale? Per i non sabaudi forse è il caso che lo spieghi.
La Cavallerizza Reale è un complesso antico, di stile barocco, sotto tutela dell'Unesco. Oltre che luogo di conflitto tra chi lo occupa, e cerca di farlo vivere e godere ai torinesi, e il comune che vorrebbe venderlo.
Sappiate che ve l'ho fatta semplice ma il succo è questo.
L'altra domenica alla Cavallerizza ho assistito a: una lezione di letteratura cinese, tanto appassionata da farmi venir voglia di saperne di più; un reading, con poeti che che già conoscevo e poeti che non conoscevo, scrittori di prosa, e persino Morandazzo. Come chi? Non lo sapete? Ma fatevela una cultura cinematografica e, soprattutto, una risata: cliccate qua!
Poi sono andata a mangiarmi un hamburger in un locale che conosco da sempre. Nessuno sa quando abbia aperto, forse neanche i proprietari. Eppure esso c'è sempre stato. Dimenticabile ma non dimenticato. Tutti lo conoscono, tutti ci hanno passato almeno una serata, ma nessuno ci ha mai vissuto epiche imprese o notti memorabili. Regge inossidabile, con lo stesso arredamento e gli stessi bagni minuscoli, lascito di un tempo antico in cui gli abitanti della città erano tutti umpa lumpa custodi del segreto del gianduja.
Infine sono corsa all'apertura della stagione di Offstage, la rassegna che in primavera presenta Facce da Palco.
La responsabilità di cominciare la stagione se l'è presa Ettore Scarpa. Ottimo attore, mi piace quando recita e mi piacciono le sue freddure su Facebook. Per onestà, però, devo dire che questa volta non mi ha convinta. Ha scelto di rischiare, improvvisare, andare allo sbaraglio. Lui sa tenere il palco come pochi, ma ciò non può bastare, non deve bastare. Il patologico perfezionismo rende infelici ma fa meno danni della leggera approssimazione. Come una critica sincera è più impegnativa di un calcolato silenzio.
E comunque ho recuperato la macchina, sono tornata a casa e ora, a distanza di 10 giorni, ho nuovamente accumulato una discreta quantità di sonno arretrato. Prossimo obiettivo? Il letargo domenica 25.
Svagata e svanita come sempre, lo dico a cani e porci ma dimentico i miei lettori. Sono proprio una brutta persona e una schifezza di blogger!
Vi ricordate che la scorsa primavera avevo avviato l'esperimento di un laboratorio di scrittura via Skype? L'esperimento continua e, fra poco, partirà una classe nuova di zecca, mentre la precedente va avanti lungo il suo percorso regalandomi manciate di goduriose soddisfazioni.
Siete interessati a buttarvi in quest'avventura?
Fate un fischio, lasciate un commento, scrivete un'email (janecole@live.it).
Potrete giocare, scrivere, leggere, confrontarvi con gli altri e, soprattutto, coccolare e far crescere un personaggio tutto vostro.
Le persone scolpiscono la propria vita, i personaggi la propria trama.
Con questa frasona ad effetto vi ho convinto, eh?
No?
Strano.
Il laboratorio di scrittura è una cosa bella assai, farlo su skype ha il vantaggio di poter conoscere persone lontane e relazionarsi con nuove realtà. Se avete sempre scritto o non avete scritto mai, questa è comunque un'ottima occasione per liberare la vostra creatività senza prendervi troppo sul serio.
Vi aspetto!
Al cinema è appena uscito il remake di National Lampoon's Vacation.
Avete presente? Quella commedia in cui una famiglia americana si sciroppa millemilioni di chilometri per raggiungere un mega parco di divertimenti. Pellicola che ebbe molti sequel e rallegrò spesso i pomeriggi estivi della nostra infanzia. Perché, anche se molti di voi giovini scellerati non ne avranno memoria alcuna, durante gli anni '80 non era davvero estate se Italia Uno non riempiva i propri caldi pomeriggi di programmazione con le mitiche commedie americane adolescenziali-familiari. Noi giovani-vecchi, che ci siamo a lungo abbeverati a quella fonte di leggero divertimento, ancora ci ricordiamo tali ore rilassate e le rimpiangiamo assai.
Io, per festeggiarne il ritorno sugli schermi e dimostrare tutta la mia devozione a quel vecchio film, quest'estate sono partita per una vacanza simile. Ho detto simile, mica uguale. Niente famiglia al seguito, niente parco di divertimenti come meta finale, niente America. Ma nove giorni tra Italia, Francia e Spagna, spostandosi in auto, macinando chilometri e inanellando una notevole serie di situazioni che "tra tanti anni ripensandoci ci faremo grasse risate".
E cosa fa una blogger che si rispetti quando gliene capitano di ogni? Scrive.
Ed è per questo che da domani parte la serie: Nove giorni Nove Post.