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Il giorno dei musei.
Bisogna solo decidere quali.
Ci consultiamo con Eduardo che, oltre all'imperdibile Prado, ci consiglia il Reina Sofia. Noi vorremmo dargli retta, vorremmo sul serio, ma il destino si oppone. Per caso passiamo davanti al CentroCentro e ne veniamo letteralmente risucchiati.

Cos'è il CentroCentro? Se non siete stati a Madrid nell'ultimo anno probabilmente lo ignorate. Poveri sciocchini. Mi sto bullando e pavoneggiando dandomi arie da grande donna di mondo? Sì, lo sto facendo.
CentroCentro è il vecchio palazzo della Posta, appena ristrutturato e trasformato in sede di mostre e punto d'incontro per la città.
Noi ci entriamo quasi per caso e per due ore giriamo tra le immagini di un'esposizione dedicata a fotografi sudamericani. Un'esperienza intensa, suggestiva, originale, inquietante. Impossibile rimanere indifferenti. Ah, quasi dimenticavo, completamente gratuita.

Al CentroCentro sono anche disponibili grossi tavoli, per studiare, lavorare e approfittare della rete wifi. Il tutto rigorosamente aperto a tutti. Un luogo dei sogni per i freelance, gli studenti e gli scrittori.
Uno spazio silenzioso, moderno, ordinato, ricco di buonissime vibrazioni.
Ne esco a fatica, mi ci trasferirei. 
Consigliatissimo.
Se siete da quelle parti fateci un giro. Rappresenta il perfetto matrimonio tra architettura moderna e non. Spazio per cultura, curiosità, creatività. Grembo protettivo nel mezzo del caos urbano.

Dopo questa piacevole scoperta ci buttiamo nel Prado. E vi restiamo agli arresti domiciliari per quasi 5 ore.
Volete la verità? Alla fine la sensazione non è "Oh che esperienza meravigliosa", ma più "Lo dovevamo fare, l'abbiamo fatto, ora passiamo oltre." 
Sarà che (Diomiperdoni!) non sono una grande appassionata di Goya, ma altri musei europei, magari meno conosciuti, mi hanno emozionata molto di più. Ci tornerei solo per perdermi ancora nella sublime follia di Bosch, o per ammirare una seconda volta la mostra temporanea dedicata a Picasso. Perché vedere le sue opere dal vivo dà sempre un lieve friccicore allo stomaco, una sensazione di sassolino messo nella metaforica saccoccia delle cose  da fare almeno una volta nella vita.

Comunque, la giornata ci ha sfiancato, al Reina Sofia ci andremo nella prossima vita. Ma non  rinunciamo a un altro viaggio nel meraviglioso mondo delle Tapas. Questa volta ci buttiamo sul turistico sfacciato ma irresistibile: andiamo al mercato di San Miguel con le sue mille scelte. Ci abboffiamo di mini hamburger, crocchette di baccalà e soprattutto spiedini di olive. Olive con formaggio, olive con pescetti, olive con prosciutto, olive con cipolline. Ancora, ancora e ancora. Oh sì sì sììììì... aaaaahhhhhhh...

Le olive spagnole conquisteranno il mondo e noi saremo loro umili servi.

Continua...
Sveglia all'alba. Anzi, prima dell'alba.
Partenza. Direzione: Madrid.
Ci lasciamo la Francia, i paesi baschi, Biarritz, il mare alle spalle.
Puntiamo verso l'entroterra.

Attraversiamo il nulla per molto tempo, saltuariamente salutati da inquietanti sagome di tori. A Los Angeles hanno piantato la celebre scritta "Hollywood". In Spagna hanno messo i tori. Grandi, neri, vagamente inquietanti. Cioè, il primo no, il primo è folcloristico, il primo ti fa dire "Figo, stiamo proprio raggiungendo il cuore della vera Spagna". Ma al terzo inizi a chiederti cose tipo "Ma questi che vogliono? Ma perché li hanno messi? Ma ce l'hanno con noi?"

A metà mattinata finalmente arriviamo alle porte di Madrid. La vediamo da lontano. Un popolatissimo e brulicante tappeto di vita. E' grande e moderna. A pelle ci piace molto. 
Poi la dobbiamo attraversare da nord a sud, per raggiungere finalmente la stanza che abbiamo prenotato. E doverci fare 40 minuti di tangenziale ci piace un poco meno. Ma ormai l'avrete capito: ci lamentiamo facilmente ma, per fortuna, ci entusiasmiamo con altrettanto slancio.

Arrivati, ci accoglie il padrone di casa: Eduardo. Un mito. Regista teatrale impegnato nella traduzione di una pièce. Ad aiutarlo nell'impresa una sua amica attrice. Ci presentiamo anche noi "Io sono un comedian. Lei è una blogger".
Insomma, in quella casa, uno con un lavoro normale manco a cercarlo col lanternino!

Presi dalla smania di visitare tutto e subito, svuotiamo rapidamente i bagagli e ci buttiamo immediatamente nella città.
Di Madrid tutti mi avevano detto "Fa caldo, caldissimo", ma tutti avevano taciuto circa la vera iattura di questa, per altri versi, meravigliosa città: le salite! Madrid è in salita, sempre e comunque. Qualunque parte del centro si voglia visitare c'è sempre da scarpinare disperatamente. Noi, però, non ci facciamo scoraggiare e alle 11 siamo già per strada.

Dopo millemilioni di giri, dopo km e km, dopo ettolitri di liquidi persi, dopo aver scoperto le tartarughe di Atocha, dopo esserci persi tra viuzze sguelfe/caratteristiche/olaborsaolavita, dopo aver passeggiato per le piazze principali, dopo aver ammirato il palazzo reale (da fuori) e la cattedrale (pure da dentro), dopo aver preso fresco all'ombra del Don Chisciotte, dopo tutto questo, guardiamo l'ora e scopriamo che "...sono solo le 15???" "Ma noi con questo ritmo moriamo!"
Così ci diamo una regolata, torniamo a casa di Eduardo e ci facciamo un pisolino. Il rito della siesta non è una pigra abitudine, ma una fisiologica necessità quando si è immersi in certi climi. 

Poche ore dopo, rinfrancati nel corpo e nello spirito, investiamo in un salvifico biglietto della metro e torniamo in centro per la sfida tapas. E questa volta ne usciamo vincitori. Mangiamo quelle che, a mio insindacabile giudizio, si possono considerare le migliori tapas di Madrid. Lo facciamo in un posto scrauso e semplice, che presto scopriamo essere sia una nota meta turistica (indicata nelle guide) sia un apprezzato punto di ritrovo per la gente del luogo. Sto parlando di "Casa labra", dove fu fondato il partito socialista spagnolo e dove si possono mangiare le migliori crocchette di baccalà della capitale. E a me il baccalà neanche piace. Ciò, per farvi capire quanto buone devono essere!

Continua...
Dopo tre giorni sempre in giro optiamo per un tranquillo pomeriggio in spiaggia. Ci portiamo il minimo indispensabile: teli mare e 10 euro a testa. Poco inclini all'abbronzatura ci buttiamo subito in acqua. Giochiamo con le bonariamente aggressive onde di Biarritz. "Splash!""Spruzz!" "Spataplash!" "Arisruzz". Due otarie felici che, appena tornate a riva, non trovano più nulla. Tutto sparito: gli asciugamani, le scarpe e, soprattutto, gli occhiali da vista. Echecazzo! Procediamo con la perlustrazione ossessiva di ogni centimetro quadrato di spiaggia. Le persone sono accalcate l'una sull'altra. Nulla ci sembra familiare. Avevamo pochi punti di riferimento prima di tuffarci e quei pochi, comunque, non riusciamo a ritrovarli. Passa il tempo. La striscia di sabbia diventa sempre più piccola. Dopo mezz'ora realizziamo l'orrore e l'errore: l'alta marea. Non sappiamo se a portarci via tutto sia stata l'acqua o qualche poveraccio. Il risultato non cambia: siamo in costume, scalzi, e dobbiamo farci mezz'ora di strada a piedi per tornare a casa. E, problema più grave, io sono senza occhiali e non vedo una mazza. Domani andiamo a Madrid e io sono la cieca di Sorrento. Poi, però, accade il miracolo. Quando, afflitti e scoraggiati, ci apprestiamo ad andarcene, due persone ci notano, intuiscono il motivo del nostro avvilimento e fanno partire il passaparola. E' tutto là. La nostra roba è tutta là. Sull'ampio corrimano della scalinata che porta verso la strada. Asciugamani, soldi, scarpe e occhiali. C'è tutto. Zuppo e pieno di sabbia. Ma tutto affettuosamente custodito da una famiglia francese, che aspettava solo qualcuno che ne rivendicasse la proprietà.

"Io amo questa gente"
"Anch'io"

Continua...
Perché si decide di fare un viaggio così lungo in auto?
Per potersi spostare, come e quando si vuole, tra luoghi diversi. Spinti solo dall'ispirazione del momento e non dai dettami di un rigido programma da seguire.

Ed infatti, dopo tanti km macinati in 48 ore, la terza giornata non ci fermiamo, ma andiamo a visitare San Sebastian.

Da Wikipedia:
Donostia-San Sebastián (la denominazione ufficiale comprende la doppia versione in basco e spagnolo), è una città situata nella comunità autonoma dei Paesi Baschi, nella Spagna nord-orientale, che conta circa 185.510 abitanti. 
Grande, luminosa, viva. Piena di sé. Una sfacciata. Già l'adoro!
Ma non si vive di sola bellezza. E dopo cinque minuti dal nostro arrivo sentiamo il dovere di darci da fare. Non è tempo di poltrire! E, mai domi, ci dedichiamo alla valutazione dei prodotti dell'arte bianca locale. Dopo un attento esame, la conclusione è la seguente: i bomboloni baschi non hanno niente da invidiare a quelli italiani.
Che sia messo a verbale.
Grazie.

La giornata è solo all'inizio e noi abbiamo ancora tanto di cui occuparci. In particolar modo, dopo aver a lungo camminato, dobbiamo fare ciò che ogni bravo turista deve fare superati i Pirenei: provare le Tapas.
Ci troviamo in una lunga via dove i locali si alternano più o meno così: ristorante figo, bar, trattoria, ristorante figo, bar, trattoria, ristorante figo, bar, trattoria, ad libitum.
Passiamo davanti ad ogni posto, gettiamo un occhio dentro e questo ci viene ritirato indietro da una folle enorme ed ingorda. Tra paradiso ed inferno, ci sono così tante persone nei locali che, se uscissero tutte assieme, per strada non potremmo più muoverci, stretti, come neanche le sardine riescono ad essere.
Comunque noi prendiamo talmente sul serio la faccenda Tapas da metterci un'infinità di tempo a scegliere il posto adatto. Poi, una volta deciso, al bancone ci viene l'ansia da prestazione, gli occhi diventano molto più grandi dello stomaco e, scioccamente, ci facciamo irretire dagli assaggi più astrusi. Letto di frittatina con cosciotto di maiale ornato da infradito di gamberetti. Gondola di noce di cocco con bagnetto di cozze e isolotto di tirannosauro. Sgabello di asparagi con foca viva che tiene in equilibrio un prosciutto e pinneggia due aragoste come clavette.
"Era un po' pesante questa roba, eh?"
"No, ma che dici? Ora però mi sdraio un attimo a terra. Tu puoi andare. Non voglio rallentarti. Abbandonami qui a morire"

E' la giornata del cibo e delle lezioni di vita: l'ultima l'apprendiamo di sera, di ritorno a Biarritz.
Il fatto di essere in Francia non significa che tutti siano capaci a fare le crepes che, tra l'altro, tanto complicate da fare non sono! Con nostro grande disappunto scopriamo che può succedere di stare in Francia e di mangiare una delle crepes più insignificanti di tutta la propria vita.
Che delusione.

A domani...
Ostriche, ostriche, ostriche, come se non ci fosse un domani
La mattina mettiamo fuori il naso con lo sguardo dei caprioli indifesi. Ci aspettiamo che, da un momento all'altro, accada qualche sventura. Che ci abbiano rubato l'auto, fatta a pezzi, e già smerciata in Bulgaria. Che un'incudine ci colpisca,  uno o entrambi, sulla testa. Che Salvini, andato finalmente a quel paese, ci corra incontro con addosso la felpa di Libourne.

Ma i cattivi pensieri non prendono forma e, dopo i primi dieci minuti vissuti nel terrore, ci arrendiamo all'evidenza: è una bella giornata, il sole splende, e le leggi cosmiche ci sono nuovamente favorevoli.
Così passeggiamo tra i banchi di ostriche del pittoresco mercato locale, e scopriamo la bontà delle ciambelle del supermercato. Un marchio di nicchia, un certo Carrefour, immagino che non l'abbiate mai sentito nominare.

Recuperato il sorriso e riassestato l'equilibrio glicemico, ci rimettiamo in moto, lasciamo la piccola (e poco significativa) Libourne e puntiamo verso Biarritz. 
Ecco cosa ne dice Wikipedia:
Biarritz (in lingua basca Miarritze) è un comune francese di 26.067 abitanti situato nel dipartimento dei Pirenei Atlantici nella regione dell'Aquitania. Fa inoltre parte, da sempre, del Paese Basco francese.
Attraversiamo boschi e cittadine, e più ci avviciniamo ai Pirenei più l'autoradio oscilla tra il francese e lo spagnolo, tra gli chansonnier strappacuore e todo el futbol minuto a minuto.

Un lato a caso della cattedrale di Bayonne
Quasi giunti alla meta, sorprendentemente in anticipo, decidiamo di fare un giretto a Bayonne,
Bella, grande, elegante. Se passate da queste parti dedicatele un'oretta, se non di più, ne vale la pena.
Io, tra l'altro, a Bayonne scopro l'esistenza del Croque Monsieur. Toast col formaggio esterno. Perché me l'avevate tenuto nascosto finora? Perché???

Una volta arrivati a Biarritz, prendiamo possesso di quelli che saranno i nostri appartamenti per tre giorni. Abbiamo prenotato in un fantastico Airbnb dove Claudine, gentile signora francese, mette a disposizione la sua villetta con giardino ad uno stuolo di turisti provenienti da ogni dove. A noi tocca la dépendance e siamo molto felici.

La giornata è fresca ed usciamo in esplorazione della città atlantica: grandi onde per i surfisti e grandi ville per i ricconi francesi. Fricchettoni e scicconi. Mute, gonnelloni e giri di perle. Ci si perde a guardare tutte le facce e tutte le facciate. E, mentre ci chiediamo se sia meglio il castello sugli scogli o la villa con l'ingresso da sogno, arriviamo al tramonto senza aver subito incidenti, sciagure o calamità.
La vacanza è finalmente iniziata.

A lunedì...
Bagagli fatti. Navigatore collegato. Cartina stirata e inamidata. Borsa frigo piena fino all'orlo da rendere orgogliosi i miei siculi natali.
Sabato 15 agosto, alle 9 di mattina, partiamo pieni di ottimismo e buone intenzioni.
Poveri stolti.

Le principali mete della vacanza sono i paesi baschi e Madrid.
Sia all'andata che al ritorno programmiamo una sosta notturna a metà strada per recuperare le forze.
Il percorso del primo giorno prevede di coprire i km tra Torino e Libourne, ridente cittadina nei pressi di Bordeaux, che usiamo come meta di avvicinamento alla ben più nota e significativa Biarritz.

"Passiamo dal Frejus?"
"Naaaaaa, costa uno sproposito. Monginevro, Grenoble e poi c'immettiamo nell'autostrada francese"
"Yeahhhhhh siamo furbi noi!"
"Yeahhhhhhh"

Pieni di entusiasmo e autocompiacimento scavalchiamo le Alpi, sbertucciamo i pedaggi esosi, e puntiamo verso Grenoble.
"Che c'era scritto su quel tabellone?"
"Boh, non sarà importante. Che c'è frega?"
"Giusto, che c'è frega! Yeahhhhhhhhhhh"
"Yeahhhhhhhh"

Arrivati a Briancon il clima si fa sempre più freddo e strani segnali sembrano indicare oscuri presagi. La nuvola di Fantozzi ci segue fedele, branchi di gatti neri ci fanno le fusa, uno strano tizio dotato di falce ci fa "ciao ciao" con l'ossuta manina da bordo strada.
Bah... che significherà tutto ciò?

Dopo aver girato in tondo per un po', e aver cercato di ignorare anche l'evidenza, ci arrendiamo, accostiamo e chiediamo indicazioni all'ufficio turistico.
"Scusi, ma la strada per Grenoble non sarà mica..."
"Chiusa! Sì sì. Ermeticamente impercorribile"
"Ecco, lo sospettavamo, ma ci sarà un modo per arrivarci, no? Un percorso alternativo?"
"Certo"
"Sarebbe così gentile da indicarcelo?"
"Andate in Italia e fate il Frejus"
"Dovremmo tornare indietro? No, la prego, noi arriviamo dall'Italia! Non ci sarebbe un'altra via?"
"Ovviamente sì", sorride.
"Evviva!" ricambiamo.
E ci apre sotto il naso una cartina.
"Vedete questa stradina piccolina?" dice puntando il dito sopra un sottile serpentello.
"Sì..."
"Dovete prendere questa"
"E' molto brutta?"
"E' una strada di montagna"
"Sì, ok, ma è molto molto molto brutta?"
"No, tranquilli. E' solo una strada di montagna"
Perplessi, ignoriamo i cattivi presentimenti che già frignano nelle nostre orecchie, e ci rimettiamo in marcia. Cinque minuti dopo raggiungiamo la famosa "strada di montagna".

Da quel momento iniziano i 30 km più lunghi della nostra vita.
Lui guida e suda.
Io me la faccio sotto.
Tornante, tornante, tornante, gli faceva schifo mettere un muretto?, tornante, tornante, tornante, galleria, banco di nebbia, all'anem e chi t'è muort, tornante, tornante, tornante, foschia, morte apparente, tornante, tornante, tornante. Dopo un tempo che sembra ed è infinito, superiamo il tratto peggiore, scendiamo fino alla pianura e poi, finalmente, imbocchiamo la tanto agognata autostrada francese. Il peggio è passato.

La giornata non è finita ma il post sì.
Inutile infierire. Inutile raccontarvi del succo d'arancia rovesciato nella borsa frigo e sulle valigie, dei costi da strozzinaggio dei pedaggi francesi, e del tizio del Airbnb che ci ha messo 40 minuti per aprirci la porta. Tutte sciocchezze al confronto di quei dannati 30 km tornante, dopo tornante dopo tornante.

A domani...
Al cinema è appena uscito il remake di National Lampoon's Vacation.
Avete presente? Quella commedia in cui una famiglia americana si sciroppa millemilioni di chilometri per raggiungere un mega parco di divertimenti. Pellicola che ebbe molti sequel e rallegrò spesso i pomeriggi estivi della nostra infanzia. Perché, anche se molti di voi giovini scellerati non ne avranno memoria alcuna, durante gli anni '80 non era davvero estate se Italia Uno non riempiva i propri caldi pomeriggi di programmazione con le mitiche commedie americane adolescenziali-familiari. Noi giovani-vecchi, che ci siamo a lungo abbeverati a quella fonte di leggero divertimento, ancora ci ricordiamo tali ore rilassate e le rimpiangiamo assai.

Io, per festeggiarne il ritorno sugli schermi e dimostrare tutta la mia devozione a quel vecchio film, quest'estate sono partita per una vacanza simile. Ho detto simile, mica uguale. Niente famiglia al seguito, niente parco di divertimenti come meta finale, niente America. Ma nove giorni tra Italia, Francia e Spagna, spostandosi in auto, macinando chilometri e inanellando una notevole serie di situazioni che "tra tanti anni ripensandoci ci faremo grasse risate".

E cosa fa una blogger che si rispetti quando gliene capitano di ogni? Scrive.
Ed è per questo che da domani parte la serie: Nove giorni Nove Post.
Un post ogni giorno.
Un post per ogni giorno di vacanza.

Siete pronti?
No? Peggio per voi.
Chi c'è c'è. Domani si parte!

 
In metropolitana. Per strada. Sull'autobus.
Immersa nei tuoi pensieri. Stanca. Sfatta.

Succede.
L'incontro casuale con un amico. Anche per pochi secondi. Anche di corsa.

Ricarica di volti familiari, parole complici, e sorrisi sinceri.
E si torna a casa un po' più contenti. Un po' più vivi.

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