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Nel mio computer custodisco gelosamente un file con l'elenco di tutti i libri che desidero e ho bisogno di acquistare. Romanzi, saggi, ultime uscite o grandi classici, scrittura creativa, editing, marketing e anche femminismo. Insomma, tutto ciò che m'interessa e/o può servirmi per lavoro. 

L'elenco cresce col passare del tempo e io, ogni tanto, quando il portafoglio me lo permette e decido che mi merito un regalo, provvedo all'acquisto di qualche titolo.

Come scelgo quali acquistare tra tutti quelli della lunga lista dei desideri? Non sempre, ma spesso vado sul sito del Libraccio e cerco tra i libri usati. Così ho fatto poche settimane fa aggiudicandomi questo bel bottino, sei libri, alcuni di seconda mano e altri nuovi ma in offerta, che volevo e che mi sono costati, in tutto,  praticamente la metà.

No, questa non è una marchetta, no, il Libraccio non mi paga (purtroppo!) e no, non mi ha regalato niente (maledetto!), ma ho pensato che molti di voi magari si trovano nella mia stessa situazione, – quella del desiderio compulsivo di possedere sempre nuovi libri – , e questo mio suggerimento potrebbe esservi d'aiuto.

Io, per non portarmi alla rovina e non finire a vivere sotto un ponte, uso spesso questa tecnica, economica nonché ecologica, cerco tra le proposte del Libraccio, libri nuovi e usati in splendide condizioni, e soddisfo così il mio bisogno "malato" di nuove letture.

... in alternativa c'è sempre la terapia.

Buona lettura (e shopping!) a tutti!

Oggi voglio raccontarti una delle cose che faccio per lavoro: un percorso di consulenza per Personal Branding e Comunicazione.
Metti che ti serva...

Di cosa si tratta?

Di un percorso costituito da tre moduli che aiutano a chiarire gli obiettivi a medio e lungo termine del tuo brand, esaminare uno a uno i servizi che hai da offrire, decidere i modi e luoghi (online sì, ma dove?) della comunicazione, preparare una mini strategia e seguire i tuoi primi passi per correggere gli errori e suggerire eventuali modifiche. 

Vuoi lanciare la tua attività? 
Vuoi rilanciare il tuo brand? 
Hai tante idee ma un po’ confuse? 

Il mio percorso potrebbe fare al caso tuo.
Per far maggior chiarezza te lo descrivo passo passo:


  • MODULO 1

4 incontri via ZOOM di un'ora.

Non lezioni registrate uguali per tutti, ma incontri personalizzati per confrontarsi e capire insieme quale direzione prendere. Esaminare i tuoi punti forti e quelli deboli, ciò che di utile e originale hai da offrire, chi è il tuo cliente ideale, etc...

Dopo questi 4 incontri ti consegnerò una breve analisi, comprensiva di consigli strategici. E, a quel punto, sarai pronta/o per partire.

Ma, se non te la senti ancora di fare tutto/a da sola, puoi accedere al secondo step.


  • MODULO 2

Stendiamo assieme il calendario editoriale dei 3 mesi successivi, in modo che tu abbia già una guida su quali contenuti preparare e un'idea su come procedere autonomamente in futuro.

E, se ancora non sei sicuro/a al 100% di procedere da solo/a, puoi usufruire anche del terzo step.


  • MODULO 3

Ti affianco per un mese (o più) nella comunicazione. Tu produci i contenuti, io faccio editing sui testi (quando necessario) e ti suggerisco come modificare/migliorare i contenuti video e grafici.



- Se non fosse chiaro, specifico che: Dopo aver seguito il MODULO 1 non sei obbligato/a a proseguire, e lo stesso vale dopo aver eseguito il MODULO 2 -


Vuoi saperne di più? Fammi tutte le domande del caso qua sotto oppure richiedi una call gratuita di mezz’ora: tu mi dirai cosa vorresti fare è io ti spiegherò come posso aiutarti.

Credo di poter dire con serenità che "storytelling" sia uno dei termini più abusati degli ultimi anni. 
Sono arrivati i social, è arrivato il marketing sui social e da lì tutto un martellamento di storytelling. 

La parola di per sé, come spesso capita, è del tutto innocua e il fatto di utilizzarne una versione inglese è uno stupido vezzo, dato che ne esiste una altrettanto efficace italiana: narrativa. Narrazione. Racconto. 

Il racconto nella nostra vita è dappertutto, è uno degli elementi che ci caratterizza come specie, altro che pollice opponibile! 

E, per quanto mi riguarda, il racconto è la base del mio lavoro. 
È centrale, ovviamente, nella scrittura creativa, nell'editing e nel ghostwriting ma rappresenta anche una parte fondamentale della comunicazione online, sia che la faccia io per i clienti, sia che li "istruisca" al riguardo e poi li lasci andare da soli, liberi come l'aria, pregni di nuove nozioni e, spero, con un pochino di consapevolezza in più circa i propri mezzi e il modo di raccontarli e raccontarsi. 

Insomma, io vivo immersa nel racconto e ci sguazzo anche con una certa soddisfazione. E, a tal proposito, nei prossimi giorni, ti spiegherò il percorso che sto facendo fare ad alcuni professionisti per aiutare il loro di racconto. Metti che possa servire anche a te...



Dal "facciamo che io sono e tu sei" di infantile memoria al pettegolezzo che tiene traccia della tribù, dei comportamenti virtuosi da esaltare quanto di quelli nocivi da condannare, l'uomo vive da sempre di racconti. Racconti detti e racconti ascoltati. 

Questo vale per tutti ma per qualcuno anche di più.

La torinesità è uno stato d’essere. 
Una serie di abitudini, tradizione e repressione psicologica che gli altri non possono capire. Non perché gli altri siano fessi ma perché sono ignoranti, nel senso che ignorano. 

La napolinesità, romanità, toscanità, sicilianità, e via discorrendo, sono tutti concetti chiari ma della torinesità nessuno ne parla e nessuno la conosce. Nessuno, tranne i torinesi, ovviamente. 
Eppure, sarebbe interessante conoscerla e analizzarla dal punto di vista sociologico sì ma, soprattutto, da quello psicologico. 

Il perno su cui si basa tutta la torinesità è quello del NonMiOso. 
Un mantra, una scelta di vita, una certezza e anche un limite. L’elemento più castrante tra tutti gli elementi castranti. 

Da fuori sembri un algido indifferente. Mentre dentro ti fai tanti di quei problemi di educazione, moralità e opportunità di comportamento, manco ti avessero cresciuto in un collegio svizzero/luterano/nippo… torinese, appunto. 

Un mese fa ero in metro, stavo andando al Salone del Libro. La carrozza era strapiena ma io ero riuscita a ritagliarmi un posticino al fondo, compattata tra seduti e non. 

Ero là che rimuginavo tra me e me su quanti soldi investire al Lingotto, quando un uomo e una donna, presumibilmente marito e moglie, dall’età approssimativa di sessant’anni, hanno cominciato a parlare tra di loro. 

“Abbiamo dimenticato i biglietti in albergo!” ha detto lui rovistando in una borsa. 
“Oh no” ha risposto lei. 
“È troppo tardi per tornare indietro” 
“Magari ce li faranno stampare in biglietteria dal cellulare” 
“Speriamo, altrimenti ci toccherà ricomprarli” 
“Cavoli… no” 
“E vabbè, che dobbiamo fare?” 
“Niente, ma sei sicuro? Hai controllato anche nelle tasche della giacca?” 
“Sì, sono sicuro, li ho lasciati sul tavolo” 
… 

Loro parlottavano e io, seduta a un palmo, non facevo che chiedermi: “Che faccio glielo dico?” 

Ci ho messo due fermate - giuro! - per convincermi che no, non sarebbe stato un comportamento invadente ma utile da parte mia, che no, non stavo prendendo un abbaglio e che sicuramente parlavano davvero dei biglietti per il Salone come pensavo stessero facendo e, infine, che sì, probabilmente l’avrebbero scoperto da soli in biglietteria ma se per caso non avessero chiesto? Se non si fossero informati? Se avessero deciso di riacquistare i biglietti e stop? 

Insomma, due fermate di: “Che faccio? Mi oso? O NOnMIOso?” 

Alla fine l’ho fatto. 
Li ho interpellati direttamente. 
Sono intervenuta nella conversazione privata tra due sconosciuti. 
Mi sono osata. 

Ho esordito con un “Scusate se mi permetto”, impicciona ma comunque beneducata. 
Per poi spiegare loro che non c’era bisogno di stampare i biglietti e che, se avevano il QR code sul cellulare, quello sarebbe stato sufficiente. 

Loro mi hanno ringraziata. 
Io sono arrivata al Salone già psicologicamente provata.

Ho raccontato tutto a Marito. 
Dice che non sono solo torinese, sono proprio strana. 

Lo so.

Non amo particolarmente la scrittura di Daria Bignardi ma amo ascoltarla mentre parla di libri. 

Alla radio, in tv, è una donna che si occupa di letteratura da sempre e, a quanto dice, è una persona che si è dedicata anima e corpo alla lettura fin da molto piccola. 

Per tutti questi motivi e anche per il titolo accattivante, poco tempo fa ho letto "Libri che mi hanno rovinato la vita" di Daria Bignardi, appunto. Non letto, in realtà. Audioletto. 

Un libro in cui l'autrice racconta un po' di sé, della sua storia di lettrice, prima, e scrittrice, poi. E in cui confessa l'influenza, anche negativa, che certi titoli hanno avuto su di lei, l'attrazione per il dramma che aveva da ragazza e giovane donna, la fascinazione per le storie contorte e dolorose di molti autori. 

Daria Bignardi mette in fila uno dopo l'altro una serie di titoli e di storie. Raccontando sé stessa e gli altri, in una celebrazione consapevole e mai scontata della letteratura. 

Se ami leggere, ti consiglio questo libro: una dichiarazione d'amore e odio per i libri e per quello che di loro ci scava dentro. 

Se vuoi acquistarlo da Amazon, tramite il mio link di affiliazione, clicca qui https://amzn.to/3MTEWtX. 
A te non costerà neanche un centesimo in più ma contribuirai a finanziare il mio lavoro. Grazie.
Amo leggere e sono di Torino.
Quindi, l'appuntamento annuale con il Salone del Libro per me è imperdibile.

Anni fa avevo il lusso di poter scegliere liberamente il giorno. Ma, ovviamente, tra lavoro e impegni familiari, questo lusso non me lo posso più permettere. E, quindi, quest'anno sono andata al Lingotto di domenica mattina. Un po' come partire per le vacanze il 14 di agosto. Non la più brillante delle idee, insomma. 

Il Salone era super caotico, tantissime persone, gomitate e rabbia più o meno repressa in ogni dove. Insomma, l'immagine tipica della culla del sapere. Che poi, con tutta onestà, si risolverebbe parte del problema sradicando l'obsoleta colonna di libri. Vi giuro che ci crediamo lo stesso che siete stati al salone, senza bisogno che lo documentiate con selfie, dirette o stories fatte all'ombra della colonna cartonata. Tutti là, tutti appiccicati, tutti a impedire il passaggio altrui. 

Detto ciò, io comunque il Salone lo amo a prescindere, con tutti i suoi difetti organizzativi su cui bisognerebbe certo lavorare, in particolare il caos, dovuto al sovraffollamento, rende davvero poco fruibile lo spazio per le persone neurodivergenti o con deficit motori, e per questo, forse, sarebbe il caso di pensare a contingentare le entrare. O, in alternativa, aumentare gli spazi. Non ho idea di come si possa fare, lo ammetto, ma trovo miope ignorare questo problema. E poi, comunque, mai vista così tanta gente esasperata come ieri mattina e, quindi, se si rivedesse qualcosa ci guadagnerebbero tutti. E non mi venite a dire: potevi scegliere un giorno diverso. Perché è ovvio che la maggior parte degli ultra trentenni, importante fascia dei visitatori, può andare al Salone solo durante il week end. 

Ripeto, detto ciò, io il Salone lo amo ma quest'anno ci sono potuta stare solo poco più di due ore e mi sono persa metà degli stand. Mi è dispiaciuto soprattutto per quello dell'Ippocampo che, visto dall'esterno, era un bosco meraviglioso e favolistico. Tanto meraviglioso però che, per entrarci, c'era una coda infinita e, quindi, appunto, l'ho visto solo dall'esterno. 

Ma, nonostante il caos e il poco tempo, io qualche acquisto l'ho comunque compiuto e ne vado decisamente orgogliosa. 

Da Libraccio, ho preso: 

- "Di che cosa parliamo quando parliamo di libri" di Tim Parks, edizioni Utet. Lettura indicata proprio per il visitatore tipico del Salone, una come me, insomma. 

- "Bokala, canti delle donne d'Algeri" scritto da Mohamed Kacimi e illustrato da Rachid Koraichi. Donzelli Editore. Un libro stretto e sottile, colorato e misterioso, dedicato a un rito di divinazione e poesia. Impossibile resistere, so che mi darà grandi soddisfazioni. 

- Il volume dedicato a Faulkner, di una vecchia collana UTET sui premi Nobel. Un volumetto delizioso della fine degli anni '70, trovato nell'angolo del modernariato, perfettamente conservato, al cui interno si trovano due opere dello scrittore statunitense: Santuario e Luce d'Agosto. 

Da Shockdom, invece, ho incontrato per la prima Violetta (ViolettaRocks), Youtuber che produce ottime recensioni su cinema e serie tv, mostrando un'innegabile conoscenza della grammatica del mezzo audiovisivo. Da lei mi sono fatta autografare (dopo averlo acquistato, naturalmente) "Aldilà di Te", fumetto scritto da Violetta e illustrato da Sakka. Una storia dedicata alla perdita, che non vedo l'ora di leggere. 

Per quest'anno è tutto e, per il prossimo, sogno di prendermi una settimana di vacanza e trasferirmi al Lingotto. Chissà se ci riuscirò.
Isabel Allende ha venduto più di 67 milioni di copie in tutto il mondo e le sue opere sono tradotte in oltre 42 lingue. 

Isabel Allende scrive da più di 50 anni, è una delle scrittici sudamericane, anche se ormai naturalizzata statunitense, più famosa al mondo. Anzi è una delle autrici, in assoluto, più famosa e letta al mondo.

Isabel Allende ha una carriera che io me la sogno la notte. Non nel senso che ho gli incubi in cui la scrittrice cilena mi rincorre lanciandomi dietro i suoi libri. Ma nel senso che un tale livello di successo e fama nella scrittura è uno dei miei sogni notturni e diurni più spinti ed erotici. 

Tutti abbiamo a casa nostra almeno un suo libro. E già questo, a pensarci, è un traguardo pazzesco da raggiungere. 

Detto ciò, mi sento in dovere di confessare e condividere con voi che a me, la scrittura dell'Allende, non piace. O meglio, l'ho molto amata da ragazzina, quando lessi La casa degli spiriti. E quel libro lo considero tutt'ora un'ottima opera. Ma ciò che ha scritto dopo, e ha scritto parecchio, è stato per lo più fonte di cocente delusione. 

Non che io abbia letto tutto, ovviamente, anche perché dopo un po' mi sono scocciata di rimanerci male e ho smesso di investire i miei sudati denari sulle sue sudate carte. Ma ho letto diverse tra le sue prime opere e qualche mese fa, a distanza di anni dalla mia ultima esperienza con la sua penna, mi sono messa nuovamente in gioco con "L'amante giapponese". 

L'ho letto piena di speranze e scevra da pregiudizi. Anzi. 
Io come lettrice mi ero evoluta nel frattempo e mi aspettavo che anche lei, come scrittrice, l'avesse fatto. Del resto, manteneva la sua popolarità inalterata da anni e da molti libri, sicuramente sarei rimasta piacevolmente colpita e magari avrei anche recuperato qualche sua opera passata. Pensavo tutto ciò. 
E invece. 
Il libro è dimenticabile e dall'ambientazione posticcia. 
L'Allende passa pagine e pagine a dirci cosa succede e cosa provano i personaggi, guardandosi bene dal mostracelo, però. Cosa molto più complessa da fare, in effetti. Pigra Allende. 

Mi perdonino gli appassionati e mi perdoni anche lei che, immagino, non perderà il sonno la notte per questa mia opinione, ma per me l'Allende è un'autrice sopravvalutata. Il fascino delle prime opere si è trascinato stancamente e ora - da molto, in realtà - non ha più niente da dire. 

Mi piacerebbe essere una sua appassionata, anche perché ha prodotto un gran numero di libri, ma ormai da anni non riesco più a farmela piacere. E non credo sia colpa mia, tutt'altro.
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