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Vi svelo un segreto: sulla mia libreria troneggia un ritratto di Dickens. Ogni volta che comincio un laboratorio di scrittura con un nuovo gruppo lo mostro, e racconto il suo modo di "gestire" e considerare i personaggi dei suoi racconti. 
Quindi lo leggo, lo amo e lo considero un punto di riferimento.

Dovendo scrivere un racconto natalizio ambientato a Torino ho deciso di giocare, prendere il suo Canto di Natale e trasferirlo sotto la Mole.
Una dichiarazione d'amore a Dickens, un esercizio di stile, un gran divertimento.

Buona lettura!

Il vecchio Pietro Taccagni stava tornando a casa. La città era ricoperta da un sottile strato di neve e l'aria era gelida. Ma a lui non importava, dato che il suo cuore era più freddo ancora, così come la sua anima. 
Le finestre dei palazzi svelavano scene di famiglie festose e alberi addobbati. "Che ci troveranno tutti in questa festa?" si chiedeva tra sé e sé l'anziano commerciante. "E che avranno da festeggiare? Più sono poveri e più gioiscono, manica di folli! Il Natale non è altro che un giorno di scadenze quando non s'hanno danari; un giorno in cui ci si trova più vecchi di un anno e nemmeno di un'ora più ricchi!" borbottava, profondamente infastidito dal fatto che, ogni anno, i suoi dipendenti pretendessero di stare a casa per le feste. “Pigri, vogliono fare la bella vita a mie spese!” ringhiava a denti stretti. Poi, lanciando uno sguardo in tralice alla Mole, illuminata da giorni per l'occasione, "Che spreco di soldi e watt!", gridò e prese a camminare reggendosi al bastone.
Continua...


BUONE FESTE!!!!

“Dove sei? Vieni qua!” urlava al culmine della rabbia il tesoriere del Re, passando da una stanza all'altra della sua ricca dimora. 

Era fuori di sé dalla rabbia. Aveva svolto il suo lavoro fedelmente per dieci anni e ora veniva accusato di furto. “Un ladro? Lui? Ma come si permettevano?” Tutto ciò che aveva preso, tutto il denaro che aveva sottratto gli apparteneva. Di diritto. Lui lavorava duramente. Lui meritava una giusta ricompensa. Ecco cos'era: solo una ricompensa, non un furto. 

Ma, evidentemente, quel “bamboccio del Re” era stato malconsigliato. Qualche invidioso gliel'aveva messo contro e ora lui, il tesoriere, rischiava di perdere ogni cosa. “Confisca di tutti i suoi beni” diceva l’ordine reale. Tutti i suoi beni. Compresa la sua dimora, la splendida villa nel parco. 

“Dove sei? Vieni qua!” le guardie bussavano alle porte ma lui non aveva tempo di rispondere, doveva cercare lei. Josephine, la sua amata. Gli avrebbero tolto tutto ma non lei. “Tu verrai con me!” le aveva urlato e lei aveva scorto nello sguardo di lui l'inizio della follia e, per questo, era corsa a nascondersi...

Continua...


Sono finite le vacanze, dobbiamo tornare a casa. Ma tra Gallipoli e Torino ci sono, Google Maps alla mano, 1190 km. 
"Facciamo un'ultima sosta a metà strada" 
"Ok".

Il luogo non è importante, vogliamo solo un giaciglio comodo su cui riposare le nostre stanche vacanziere membra. Andando, per l'ultima volta quest'anno, a caccia su Airbnb, finiamo per scegliere Fano. Totalmente a caso.

La proprietaria di casa ci avverte che, al momento del nostro arrivo, lei sarà ancora al lavoro e ci lascia le chiavi nella cassetta delle lettere. Entriamo. Non c'è lei ma c'è il suo gatto che ci guarda col tipico disprezzo felino. Raggiungiamo quella che sappiamo essere camera nostra. Al centro della stanza un materasso. No. Un materassino. Ad aria. Ho campeggiato per molti anni e posso dire, senza timore di essere smentita, che quello che troviamo a Fano sia uno dei più scomodi materassi ad aria mai prodotti. Forse è sgonfio, forse è vecchio, forse è solo una schifezza low cost, ma resta il fatto che, appena ci si sdraia sopra, l'effetto mal di mare è assicurato.

Ma non ci facciamo abbattere, lasciamo la nostra roba in camera e andiamo in giro per Fano in cerca di una cena, o meglio, di un gelato. Camminiamo in lungo e in largo per trovare solo, dopo un'ora, in tutto il centro due striminzite gelaterie, tra l'altro una accanto all'altra. 

M. mangia il gelato ed è felice. Io vengo presa da un improvviso desiderio di crepes. Crepes alla Nutella. A Gallipoli ne facevano ad ogni angolo ed io, per un motivo o un altro, non ne ho mai prese. Il rimorso mi tormenta. Decido di rifarmi a Fano. 
Col cavolo!
Non le fanno da nessuna parte, neanche nei locali dove sono dichiarate nel menù. "D'estate non le serviamo, non ce le chiede nessuno", si giustificano. Al decimo tentativo mi arrendo. Mi consolo mangiando patatine e bevendo vino bianco in piazza. Di sottofondo c'è anche la musica dal vivo. "Non male" 
"Infatti", ci godiamo pigramente l'ultima serata di ferie.

A mezzanotte torniamo a casa. La padrona non c'è. Il gatto sì. 

La porta della nostra stanza non ha la chiave, risolviamo piazzandoci contro le valige. Ma c'è un'altra cosa ben più grave che manca (oltre un letto decente): l'aria condizionata.
Trascorriamo la notte peggiore di tutte le vacanze. O meglio la notte peggiore degli ultimi anni.
La finestra spalancata non attenua il caldo afoso e il materasso è un supplizio. Ci alziamo all'alba, più stanchi di prima, in soggiorno troviamo un tizio seminudo che dorme sul divano. Della padrona di casa nessuna traccia. Il gatto ci osserva.

Ripartiamo. Nel pomeriggio siamo finalmente a Torino. Sveniamo sul letto. Il nostro comodissimo letto. 

È novembre e siamo tornati a casa da tre mesi. Della tizia dell'appartamento non abbiamo mai avuto alcun segno, neanche una recensione. Il gatto ci manda una cartolina ogni tanto.

Fine.

Prologo, Prima Parte, Seconda Parte, Terza Parte, Quarta Parte, Quinta Parte, Sesta Parte, Settima Parte, Ottava Parte, Nona Parte
"C'è la fila", disse frate Elmo rivolto al suo confratello Pasquale Baylòn. 
"Cosa?" 
"C'è la fila. Si vogliono far tutte confessare da te. Eppure non sei mica tanto bello" concluse ridendo mentre don Baylòn si avvicinava alle donne in attesa. 
Tra queste c'era Maria la sposina, Sara che voleva il terzo pupetto da un po', e persino Marta, la perpetua di Don Carlo. 

Frate Pasquale Baylòn era arrivato dalla Spagna da pochi mesi. All'inizio aveva faticato a farsi apprezzare dai fedeli, un po' a causa del carattere riservato dei torinesi, un po' a causa delle difficoltà con la lingua, un po' a causa del gratuito sospetto riservato spesso agli stranieri. Le persone non si fidavano di lui e, quando venivano al convento, per una confessione o un semplice consiglio, preferivano aspettare ore che si liberasse qualcun altro, piuttosto che dare retta allo "spagnolo". 

Le cose erano proseguite così per settimane e il frate, essendo un uomo molto saggio, si era limitato a mettersi nelle mani del Signore e attendere che, col tempo e la pazienza, qualcosa mutasse. E il Signore, dal canto suo, una mattina aveva ricambiato tanta fiducia mandandogli in visita la povera Bettina...

Continua...


"Gallipoli? Andate a Gallipoli? Ma perché? Tutta questa strada per finire in un posto così commerciale? È come andare a Rimini!"
Più o meno è questo ciò che ci viene detto ogni volta che annunciamo la nostra ultima tappa in Puglia. Tappa scelta, anche in questo caso, con grande attenzione.

"Andiamo al mare?"
"Noi in spiaggia ci annoiamo"
"Sì, ma non possiamo fare tutti questi km, scendere fino in Salento e non fare neanche un giorno di mare"
"Ok, come vuoi"
"Otranto o Gallipoli?"
"Boh"

"Avreste dovuto scegliere Otranto!" ci dicono tutti.
"E grazie al cazz..." rispondiamo noi "Ormai abbiamo prenotato".
L'unico a tirarci un po' su e è S. "Gallipoli non è così male, e poi ha un bellissimo centro storico, una fortezza che dà direttamente sul mare, un intrico di stradine, e una serie infinita di ristorantini di pesce dalla vista mozzafiato."
"Ecco, andremo a visitare il centro", ci consoliamo.
Poi, lasciata Lecce, dopo esserci esauriti nel traffico folle di Gallipoli, scopriamo che nel centro, in effetti, noi ci dormiamo. In un micro appartamentino, dalle pareti bianche e le mattonelle azzurre, a un soffio dall'acqua, a sciabattare rilassati fino alla spiaggia, con i vecchietti del luogo che t'incontrano, ti salutano, ti chiedono "come va?", anche se non ti hanno mai visto prima.
In tutto questo, giusto perché delle volte ogni stella si allinea positivamente, troviamo anche un preziosissimo parcheggio gratuito. E solo chi è stato a Gallipoli in agosto può comprendere pienamente la meraviglia di un tale dono.

Le nostre 48 ore in loco si prospettano, dunque, molto meglio di quanto abbiano cercato di farcele sembrare. Il primo giorno lo trascorriamo tra i vicoli e la spiaggia. Bello tutto ma a noi ciò che colpisce di più è un negozio dedicato al Natale, con tanto di elfi dormienti meccanizzati che russano. Un negozio dedicato al Natale. A Gallipoli. Ad agosto. A questo punto mi aspetto di trovare anche uno spaccio di friselle a Rovaniemi, residenza ufficiale del pancione rossovestito, in Finlandia. 


Il giorno dopo facciamo colazione col pasticciotto pugliese e poi salpiamo per il largo. Gita in barca. No, non super sciccosissima gita in barca a vela. Ma molto più caciarona gita su barca a motore con folla vociante e spaghettata zozzona. Il momento clou consiste nella sosta a largo con tanto di possibilità di tuffarsi. Io so stare a galla ma non sono una grande nuotatrice e quindi non vado mai dove non tocco. Ma si buttano tutti, pure quelli nella mia medesima condizione, supportati dai giubbotti di salvataggio. Quindi mi faccio forza e ne indosso uno anch'io. Mai provato uno in acqua. Che orrida sensazione. Impossibile muoversi, l'effetto è quello di un tronco galleggiante. Dopo essere rimasta pucciata dieci interminabili minuti in acqua, a mo' di bustina da tè, decido che l'esperienza può dirsi conclusa, devo solo riuscire a raggiungere la scaletta. Con le braccia non mi direziono. Provo con le gambe. Dopo una pedata in faccia a una vecchia e una ginocchiata a un bambino, al grido di "Per la mia salvezza sono pronta a passare sul cadavere di chiunque!" riesco ad issare nuovamente il mio culone a bordo. 
Il capitano mi guarda con pietà. 

Continua...

Prologo, Prima Parte, Seconda Parte, Terza Parte, Quarta Parte, Quinta Parte, Sesta Parte, Settima Parte, Ottava Parte
Riprendiamo l'auto per la prossima tappa del nostro viaggio: Lecce.
Ma, già che ci siamo, ci fermiamo per qualche ora ad Ostuni.

Bella Ostuni, calda Ostuni, faticosa Ostuni, piena di turisti Ostuni. 
La gita è fisicamente provante, dato l'affollamento e la temperatura infernale, ma ne vale la pena, il luogo è un gioiello. Certo, in un altro mese dell'anno, sarebbe stata un'altra cosa.

Persi tutti i liquidi possibili e immaginabili torniamo in auto e puntiamo ancora a sud. Sono preoccupata. Nei giorni precedenti, ad ogni mio "Andremo anche a Lecce", mi sono sentita rispondere "Beeeeeellaaaaa Lecce!". Sono preoccupata. Le mie aspettative sono troppo alte. Rimarrò delusa. 

E invece no. Bella Lecce, bellissima Lecce. Per tre giorni ci godiamo questa città che, oltre ad essere una manna per gli occhi dei turisti, è chiaramente una realtà culturale molto vivace e sofisticata. Accanto agli immancabili negozietti di souvenir, si affacciano numerosi studi di design e gallerie d'arte contemporanea di altissimo livello. Io che lavoro per il sito di ContemporaryArt Torino Piemonte, accarezzo l'idea di trasferirmi lì e fondare ContemporaryArt Lecce Salento. Ecco se c'è una città del sud in cui credo potrei sentirmi a mio agio, e non una siculo sabauda aliena, è proprio la splendida, antica ma modernissima Lecce.

E, se tutto questo non bastasse, per le vie del centro è pieno di ragazze con cestini colmi di taralli venduti nei negozi dei paraggi."Li vuole assaggiare?" ti chiedono. E io che faccio? Posso mica rifiutare? E giù a ingozzarmi come se non ci fosse un domani. Ma sono buoni, accidenti se sono buoni! Il marketing è efficace e, prima di partire, compriamo una scorta maxi da portare ai parenti nordici, per far godere un po' anche le loro papille gustative.

Per non farci mancare niente, infine, proviamo anche la Puccia salentina. La vendono ovunque, non possiamo non mangiarla anche noi. "Buona" "Sì, sì, ma è un panino, perché non lo chiamano semplicemente panino?" "Shhhhh non offendere gli indigeni" "ma è un panino..." "Zitto e mangia!"

Continua...

Prologo, Prima Parte, Seconda Parte, Terza Parte, Quarta Parte, Quinta Parte, Sesta Parte, Settima Parte
I più attenti di voi lo sanno, da un paio di mesi scrivo racconti sulle leggende torinesi. Finora ero partita da leggende conosciute per poi farne una mia versione, questa volta invece la storia l'ho inventata di sana pianta. Poldo e Dorabella sono un parto della mia fantasia.
Ed ecco la loro storia...

"Sono stanca di aspettare", diceva Dorabella, battendo il piedino nervoso sul selciato.
"Non sono ancora pronto", borbottava Poldo, passandosi la mano tra la folta barba.
"Io sto sfiorendo nell'attesa che tu ti senta sufficientemente maturo".
"Abbi pazienza cara, è che sono ancora così giovane."
"Guarda che la barba ti sta già diventando grigia, giovanotto."
"Ma che dici?" si allarmò Poldo, correndo a ispezionare il suo riflesso nella vetrina dell’elegante Caffè.
"Oh santo cielo, tu non sei giovane, sei solo un balengu!"

Si svolgeva, più o meno così, ogni pomeriggio l'appuntamento tra Dorabella e Poldo, fidanzati da una vita senza l'ombra del progetto di un futuro matrimonio.
"Come sei bella Dorabella mia, quando ci sposeremo..."
"Ma quando? Quando???" chiedeva lei esasperata.
"Il giorno che saremo tutte e due sotto lo stesso tetto..." la guardava con occhi sognanti lui.
"Ma quando? Quando???" chiedeva lei... e andavano avanti così ormai da anni. In centro li conoscevano tutti e li guardavano incuriositi. Erano uno spettacolo interessante: due tanto innamorati che, però, passavano il tempo a punzecchiarsi. Non potevano fare l'uno a meno dell'altra ma lei aveva sempre i capelli dritti dal nervoso e lui era terrorizzato dall’idea del matrimonio. E così passeggiavano sotto i portici e lungo le piazze di Torino tra un continuo tubar e pugnar, pugnar e tubar. 

Continua su TorinOggi...


L'alba del giorno dopo il matrimonio, tutta la compagnia di torinesi, e non solo, si mette in moto presto. Nonostante la stanchezza c'è una città da visitare e solo un giorno per poterlo fare.

Sprofondiamo nei Sassi di Matera, allagati solo il giorno prima da un'epica pioggia. Saliamo e scendiamo. O meglio scendiamo e poi saliamo.

Iniziamo ufficialmente la giornata da turisti con un documentario dentro Casa Noha, un'antica dimora ora gestita dal FAI – Fondo Ambiente Italiano.
Viene raccontata la storia di Matera. Quella affascinante antica. E quella devastante moderna. Viene raccontata la "vergogna dell'Italia", l'affollamento, la povertà, un pezzo di terra lontana dal progresso, dal benessere e anche solo dalla vita vivibile. Non ci si crede. I racconti dei miei nonni contadini in Sicilia impallidisco di fronte al degrado, al disagio e all'arretratezza delle immagini in bianco e nero che scorrono davanti ai nostri occhi. Viene raccontata la denuncia di Carlo Levi, la visione illuminata di Olivetti e quella, molto meno illuminata, della democrazia cristiana: "Chi vuole restare nei Sassi li deve aggiustare a proprie spese. Chi, invece, accetta di andarsene riceverà una buonuscita e una casa", decide il governo. La gente ovviamente se ne va. Olivetti, invece, aveva immaginato una ricostruzione che fosse prima di tutto culturale, la nascita di una forte identità comunitaria nei nuovi come nei vecchi preziosi borghi. Aveva immaginato dei Sassi meno affollati ma ancora vivi, abitati, pulsanti. Troppo faticoso, decide la politica. Troppo lungimirante. I Sassi si svuotano. Muoiono. 

Ma la consapevolezza di un patrimonio che non si può ignorare rimane sotto pelle, coltivato soprattutto dal mondo dell'arte, primo fra tutti il cinema che, in più di un'occasione, utilizza e celebra una scenografia così unica. Da metà degli anni '80 la gente torna a vivere nei Sassi che, lentamente ma inesorabilmente, rinascono, per diventare uno dei luoghi più misteriosi e affascinanti della penisola. Matera capitale della cultura 2019 ora, ai nostri occhi, acquista ancora più significato. "Cristo si è fermato a Eboli" viene inserito immediatamente tra i libri da leggere.

Ci fermiamo per pranzare, siamo un esercito, non è una cosa facile trovare un tavolo per trenta senza prenotazione. Dopo svariati tentativi finiamo in un posto sciccosissimo, e meno male "che dovevamo cercare una cosa easy". Io ne approfitto per imparare che i primi piatti e le fave a Matera sono una filosofia di vita, una poesia, un patrimonio.

La sera siamo sempre in giro per i Sassi che risultano essere ancora più belli. 
M. ed io, però, siamo anziani e provati e ce ne andiamo a dormire presto, solo dopo aver recuperato l'auto che, per l'occasione, è parcheggiata a millemila km. Perché il sabato sera a Matera, è come il sabato a sera a Torino e un po' ovunque, col cacchio che trovi un posto per la macchina!

Continua...

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