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Chissà cosa ricorderà Giulia di quella notte. 
Aveva solo tre anni, i capelli biondi e lo sguardo vispo. 

Forse ricorderà il caldo abbraccio della mamma: 
"Svegliati amore mio. Facciamo questo gioco: devi stare zitta e buona, non devi farti sentire dal papà."

Forse ricorderà le scale fatte di corsa: 
"Va tutto bene. Andiamo dai nonni, gli facciamo una bella sorpresa." 

Forse ricorderà il viaggio in macchina, il freddo attraverso il pigiama, una porta aperta nel cuore della notte ed il nonno con il viso pieno di sonno: 
"Cosa è successo? Che ci fate qua?" 

Forse ricorderà le lacrime della nonna e le parole concitate dello zio: 
"Io lo ammazzo! Se ti tocca ancora giuro che lo ammazzo!" 

Forse non ricorderà nulla, ma tutta quella notte rimarrà impressa indelebilmente dentro di lei. 

Paola ricorderà per sempre il pomeriggio di quello stesso giorno. Le botte del marito. Quei colpi secchi che le piovevano addosso, dappertutto tranne che sul viso. Sul viso no. Sul viso mai. Altrimenti gli altri avrebbero visto e capito. Una scena che si ripeteva sempre uguale ormai da anni. Ma quella volta era stato diverso. Quella volta Giulia aveva alzato le manine per difenderla: "No, papà, no!" 

La sua bambina era stata forte e coraggiosa. Forte e coraggiosa come lei non riusciva più a essere, come lei aveva dimenticato di poter essere. Fu quello l'istante in cui Paola, svegliatasi dall'apatia e dall'accettazione in cui era caduta, decise che se ne sarebbero andate. 

Dopo quella notte, la madre di Giulia ha dovuto affrontare mille battaglie in tribunale. È stata messa in discussione come persona, come moglie e come madre, ma non ha mai mollato. L'ha fatto per se stessa e per sua figlia. L'ha fatto perché era suo il compito di proteggere la piccola dalle brutture del mondo e non doveva essere la bambina a proteggere lei. L'ha fatto perché si è ricordata di quanto anche lei potesse essere forte e coraggiosa. 

Paola sta ancora lottando. 
Lotta contro un sistemo giudiziario lento, cieco e sordo. 
Lotta contro i ricatti e la violenza psicologica dell'ex marito. 
Lotta soprattutto contro i pregiudizi di chi pensa che, se permetti ad un uomo di ridurti così, è soprattutto colpa tua. 

Paola non si arrende e ogni sforzo è ripagato da una ritrovata libertà e dal viso sereno della sua bambina. 

– Questo racconto è un omaggio a una donna coraggiosa, che ho avuto l'onore di conoscere, e a tutte le donne che combattono ogni giorno per la propria dignità e per il diritto dei propri figli ad avere un'infanzia serena. – 

25 Novembre, Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne.

 


Da oggi trovi una piccola novità su queste pagine. 
Dai un'occhiata alla colonna di destra... in alto... la vedi? 
Ecco quella è la porta alla mia vetrina Amazon. 

Una pagina Amazon, appunto, dove trovi tutti i miei consigli di lettura, quelli generici e quelli legati alla scrittura creativa. 

Libri che intrattengono, libri che coinvolgono, libri che insegnano. 

Se acquisterai uno di questi libri direttamente dalla mia vetrina, il prezzo per te non cambierà, sarà quello standard disponibile per tutti, ma io riceverò un piccolo(issimo) contributo dalla piattaforma. 

Per te quindi non ci sarà un sovrapprezzo ma per me ci sarà un aiuto al mio lavoro, una spinta a far sempre meglio, uno stimolo a creare contenuti sempre più validi. 

Detto ciò, se non vuoi acquistare online o se preferisci altri siti, lo capisco, amici come prima.

E ora e sempre, buona lettura!

Oggi ho scelto una citazione che non fa riferimento alla scrittura, è qualcosa di più ampio che riguarda le aspirazioni personali, la voglia di migliorarsi e quella di creare. O, almeno, è così che la vedo io.

Io sono quel tipo di persona in continua ricerca, personale e professionale. 

Spingersi, migliorare, volere fare di più, nuovi corsi, nuove lingue, ancora libri. Questo mi appartiene. E, onestamente, è una parte del mio carattere di cui vado molto fiera.

Ma questa citazione, sentita la settimana scorsa durante un incontro di biblioterapia (in futuro ve ne parlerò), mi ha ricordato la necessità di essere buona con me stessa, di godermi i risultati che ottengo, perché derivano dal mio impegno e dovrei esserne orgogliosa. 
Orgogliosa di quello che faccio e di quello che sono, degli obiettivi raggiunti, della cura che ogni giorno dedico al mio giardino. 

Faccio il meglio che posso e dovrei ricordarmi più spesso che dovrebbe essere abbastanza. Abbastanza per me, per il mio giudizio, che è il più importante.

A seguire il testo da cui è tratta la citazione della psicoanalista Marina Valcarenghi.

"Esiste dunque un giardino per ognuno di noi che ci viene consegnato quando veniamo al mondo. 

A mano a mano che diventiamo grandi impariamo a conoscerlo: non abbiamo deciso quanto è grande, né se sia o no bene esposto al sole, se sia fertile o roccioso, arido o naturalmente bene irrigato e neppure sappiamo per quanto tempo ci sia dato di coltivarlo. 

Ma il compito principale di tutta la nostra esistenza è di farlo fiorire, di farlo essere al suo meglio.

Ognuno di noi farà quello che può mediando fra la natura del suo giardino e le sue aspirazioni: potranno crescere margherite o pomodori o orchidee; chi pianterà alberi d'alto fusto e chi rosai o lamponi: ciò che conta è il piacere di trasformare un terreno in un giardino e di riconoscere che quello 'è proprio il nostro giardino'. 

Per coltivare un terreno, bisogna saperlo difendere, recintarlo, sistemare un cancello, regolamentare le visite, escludere gli importuni, i perdigiorno e i violenti; è, questo, un diritto-dovere in assenza del quale nessuna coltivazione darà frutti." 
Mi chiamo Tina, 
ho 15 anni. 

Con me ho un sacchetto di marshmallow nascosto nella borsa, i miei occhiali da sole in testa per tenere indietro i capelli nerissimi e i braccialetti che mi tintinnano ai polsi. 

Cammino. 
Lui accosta. 
Mi trascina in macchina. 

Resti di mela sul cruscotto, una birra in mano, puzza di sigaretta. 
Chiude le sicure. 
“Fammi uscire, voglio uscire!” 

Non mi ascolta. 
Perché dovrebbe? Per lui io non sono niente, meno di niente, meno del cane che tiene legato alla catena. 

Combatto, mi ribello, sono forte, devo essere forte. 

Non basta. 

Sono stesa in mezzo ai sassi, sono nuda. 
L’uomo bianco m’infila in un sacco, io guardo dall’alto le mie braccia sottili. 

Il mio corpo scivola nell’acqua. 
Non sento più nulla. 

Raggiungo le mie sorelle, siamo in tante nella prateria.  
Ma a nessuno importa di noi, nessuno si ricorda di noi. 

Mi chiamavo Tina, 
avevo solo 15 anni. 

Le donne e le ragazze native americane sono vittime, a partire dagli anni ’80, di un massacro sistematico ad opera dei suprematisti bianchi. 

Il numero complessivo delle vittime in Canada, paese in cui si consumano prevalentemente queste tragedie, potrebbe toccare la sconvolgente cifra di 4000. Ad ammetterlo è stato, nel 2016, lo stesso Governo Canadese, attraverso la voce della ministra per la Condizione delle donne, Patty Hajdu. Fino a quel momento, in base alle dichiarazioni ufficiali della polizia, si riteneva che il numero delle vittime fosse “solo” di 1200. 

I suprematisti uccidono le donne fertili per sterminare definitivamente i Nativi. 
Violentano e uccidono le donne perché, come sempre, sono le vittime predestinate. 

Un caso tra i tanti è quello di Tina Fontaine, quindicenne scomparsa nel 2014. 
Il suo corpo venne trovato una settimana dopo, avvolto nella plastica e in alcune coperte, nelle gelide acque del Red River, il Fiume Rosso che attraversa la provincia canadese di Manitoba. 
Raymond Cormier, uomo bianco di 53 anni, venne incriminato con l’accusa di omicidio di secondo grado. Giudicato non colpevole nel 2018. 

Lo sterminio delle donne Native Americane è fatto di vittime invisibili e uomini bianchi non colpevoli.

Io vengo da una famiglia numerosa. 
Mia madre ha quattro sorelle e tre fratelli. Mio padre: una sorella e tre fratelli. 
Agli zii sono da aggiungersi i loro consorti, i cugini e ora anche i figli dei cugini. 
Molto numerosa, appunto. 

E chi, come me viene da una famiglia numerosa, si sarà reso conto che, a questa grande massa di facce e ricordi, appartengono anche i nonni. Non i propri, quello è ovvio, ma i nonni degli altri. Nel mio caso specifico, le nonne. 

Le nonne dei cugini, tutte vedove, che da bambina vedevo periodicamente alle feste e che mi hanno vista crescere alla periferia della vita dei loro nipoti. 
Io ho avuto due nonne molto ingombranti, per motivi diversi, ma le nonne degli altri non sono comunque sfuggite al mio occhio, guadagnandosi uno spazio nei miei ricordi. 

Negli anni se ne sono andate, chi prematuramente, chi attaccata alla vita con le unghie e con i denti fino all'ultimo. È successo anche l’altro giorno, se n’è andata la mia ultima “nonna degli altri” e, per questo, ora mi trovo a fare i conti con queste figure sfocate ma presenti. Voci timide o stentoree, mani grandi o piedi piccoli, dame uscite da una pellicola o paesane cresciute nei vicoli. Personaggi secondari della mia infanzia come io lo sono stata della loro vecchiaia, ma non per questo meno evidenti e caratteristiche. 

Una di loro avrebbe potuto insegnarmi l'eleganza, una pareva aver segreti che non voleva condividere, un'altra ancora mi avrebbe aspettato con il motore acceso se glielo avessi chiesto e dell'ultima, pur se non parlava ormai da anni, non dimenticherò mai la voce forte mentre chiamava le mie cugine o sua figlia. 

Ora se ne sono andate tutte. 
Questo non è il mio lutto ma loro apparterranno per sempre ai ricordi della me bambina e ragazzina, perché di nonni non ce ne sono mai abbastanza.

N.d.A: in foto ci sono due dei miei nonni... quelli regolari.

Questa sarà la notte di Halloween e questo l'ultimo post dei miei consigli di lettura. 

Per la notte da brivido mi sono tenuta il libro migliore alla fine. 
Uno dei miei romanzi preferiti. Una delle storie che avrei voluto scrivere io. Un'autrice straordinaria. Un mostro che è entrato negli incubi di tutti. Ma soprattutto temi come il rapporto tra la scienza e l'uomo, il delirio di onnipotenza, il doppio. 

Il dottor Frankenstein è il moderno Prometeo. Il titano si ribella agli dei per portare il fuoco agli uomini, così lo scienziato sfida il ruolo di Dio portando in vita un corpo morto. 

La leggenda dice che l'idea raggiunse Mary Shelley in sogno, durante una notte di tuoni e fulmini. Quale notte migliore per la nascita della Creatura? Mostro ma vera vittima. 

Il tutto scritto da una donna, diciannovenne all'inizio del 1800. 

Questo libro meriterà come minimo un altro post. 
Voi, intanto, se non l'avete ancora fatto, correte a leggerlo.

E buona notte delle streghe a tutti!


Ero molto piccola quando, un sabato sera, mi trovai a dormire da mia cugina Manuela, di qualche anno più grande di me. 

Quella sera mia cugina mi insegnò che lei a letto teneva sempre il lenzuolo fin sotto il mento, per evitare di essere morsa dai vampiri. 
Io ero piccola, lei era più grande, lei non poteva che avere ragione. 

Da quella notte dormo con il lenzuolo pure se ci sono 30 gradi e ormai lo so che i vampiri non esistono ma... 
ma meglio stare attenti, non si sa mai. 

Questo è il motivo principale per cui non ho mai letto Dracula di Bram Stoker. Ne ho ammirato e amato la versione cinematografica di Coppola, come del resto sono stata un'accanita fan di Buffy ma il libro di Stoker no, quello non me la sono mai sentita di affrontarlo. I libri sono tutta un'altra cosa. Fanno molta più paura. Almeno a me. Le loro parole affondano in profondità molto più delle immagini, s'insinuano nella mente e smuovono timori atavici. 

Il Discepolo di Elizabeth Kostova però l'ho letto. O meglio, lo lessi anni fa, in un momento in cui mi sentivo particolarmente sicura di me. Ero un'adulta, potevo affrontare la sfida, non ero più impressionabile. Mi lanciai nella lettura con entusiasmo. 

Non ero neanche a pagina 100 quando andai da mia madre e le chiesi: "Ma la mia croce del battesimo ce l'abbiamo ancora?" 
La indossai per tutte le restanti 570 pagine. 
Perché i vampiri non esistono ma... 

Tutto questo per dire che, non è un vero Halloween senza un bel libro sui canini affilati, e io oggi vi consiglio: Il discepolo di Elizabeth Kostova. 
Inquietante, moderno, coinvolgente. 

Prima o poi, leggerò anche quello di Stoker. 
O forse no. 

Buona lettura!


Tra il 1988 e il 1996, Neil Gaiman realizzò la serie a fumetti Sandman che quest'anno è diventata anche una serie tv e soprattutto una serie di audiolibri splendidamente realizzati. 

Una lettura o un ascolto perfetto per il periodo di Halloween. Storie a cavallo tra il mondo dei sogni e la realtà, oscure avventure di uomini e dei (o meglio entità soprannaturali), carnefici e vittime, angeli e demoni. 

Un percorso lunghissimo da percorrere tra una notte delle streghe e l'altra.
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