Prima di partire per la mia avventura Erasmus, tutti mi consigliarono di fare il passaporto. Essendo Berlino vicina al confine con la Polonia, una gitarella da quelle parti sarebbe potuta essere interessante.
Io, imperatrice assoluta della procrastinazione, rimandai la faccenda fino a quando fu troppo tardi per ottenere il tanto agognato documento.
La mancanza però non mi fece preoccupare particolarmente. Avevo tutta la Germania a disposizione. Potevo sopravvivere tranquillamente anche senza passare la frontiera.
E così fu.
Ogni giorno c'era qualcosa di nuovo da fare e un posto nuovo da vedere. Le possibilità erano infinite. Un viaggio nelle terre dell'Est era l'ultimo dei miei interessi.
Fino a quando ricevetti un messaggio da parte del mio amato Buddy. Colui che non mi si filava di pezza, colui che sembrava considerarmi solo una scocciatura, colui che a malapena si ricordava il mio nome, mi invitava a passare un week end assieme.
In Polonia.
Oh cacchio!
La mia mente, alterata dagli ormoni post adolescenziali che il bel Felix riusciva sempre a scatenare, lavorò incessantemente tutta la notte alla ricerca di una soluzione.
Come avrei potuto passare il confine?
Nascondendomi nel bagagliaio della macchina? No, rischiavo di spettinarmi.
Scavando un tunnel sotterraneo? No, mi sarei rovinata le unghie.
Paracadutandomi direttamente in terra polacca? No, me la sarei fatta sotto.
Alla fine decisi di provare con un metodo legale, semplice e che non mi avrebbe provocato un attacco di panico.
Mi sarei rivolta alle autorità.
Trascorsi il giorno successivo cercando la sede dell'ambasciata italiana.
Arrivai a due minuti dall'orario di chiusura. Arrancai per le scale e raggiunsi l'ingresso tutta sudata e stropicciata.
Già in attesa, prima di me, vi era un' elegante ed inamidata signora che mi lanciò un'occhiata di teutonica superiorità.
Venimmo accolte da un carabiniere.
In Germania, nella lontana Berlino, si ergeva in tutto il suo splendore un altoatesino in divisa, con tanto di bande rosse sui pantaloni e fiamma sul cappello.
Eravamo in Italia.
Io, con i miei capelli ricci arruffati, e la signora, con la piega perfetta, esordimmo nel medesimo momento. "Guten Tag!" disse lei, "Buongiorno" salutai io.
Il bel caramba, perché di gran bel pezzo di figliolo si trattava, si voltò verso di me, "Buongiorno, prego si accomodi" e poi, rivolto alla Frau, "Bitte, warten sie einen moment".
E le chiuse la porta sul nasino perfetto.
Dopo essermi presa la soddisfazione di essere ricevuta per prima solo grazie ai miei italici natali, avanzai a testa alta per il corridoio, elargendo sorrisi a destra e a manca.
Un solerte impiegato mi venne immediatamente incontro.
"Prego, signorina, mi dica. Cosa possiamo fare per lei?"
"Buongiorno, avrei bisogno di un'informazione. Ci vuole molto per fare il passaporto qui a Berlino?"
"No. Prima la inseriamo nelle liste degli italiani residenti all'estero. Poi le forniamo una nuova carta d'identità e un nuovo passaporto.
Qualche mese dovrebbe essere più che sufficiente."
Mossa dalla disperazione che solo una donna innamorata, o quanto meno fortemente invaghita, può provare, continuai ad insistere.
"Vede, il problema è che il passaporto mi servirebbe in fretta. Non si possono velocizzare un pochino i tempi?"
"Beh, una volta fatta la richiesta, possiamo provare a sollecitare la questura in Italia.
Per quando le serve?"
"'bato", biascicai imbarazzata, consapevole di quanto fosse folle la mia richiesta.
"Eh?"
"'abato", ripetei vergognandomi di me stessa.
"Scusi? Non ho capito"
"Sabato!"
"Quattro giorni? Vuole un passaporto in quattro giorni?"
Non mi arresi neanche di fronte all'aria scioccata dell'impiegato. Dovevo continuare a provarci: lo dovevo fare per me e per il futuro padre dei miei figli!
"Non esiste niente che possa fungere da surrogato? Un permessino speciale? Un visto a tempo?"
"No, no, no. Niente del genere", fece lui, "ma perché ha tanta fretta?"
A quel punto mi resi conto che la risposta "perché devo andare in Polonia con un gran pezzo di ragazzo tedesco che, se gli dico no questa volta, non mi inviterà mai più" sarebbe stata davvero troppo imbarazzante.
Anche per una come me, notoriamente senza vergogna.
Decisi che, se non sarei uscita da quell'ambasciata con un passaporto, almeno me ne sarei andata in grande stile!
Assumendo un'aria molto professionale e mentendo con tutta la spudoratezza di cui sono capace, dissi:
"Una conferenza (di sabato?!?!?).
Mi sto laureando in medicina (mi mancano solo 200mila esami) e mi sarebbe piaciuto allargare ulteriormente le mie conoscenze nel campo della neurochirurgia (argomento di cui non me ne è mai fregato una pippa, ma che fa sempre molto figo!).
Il prossimo week end si terrà un convegno di prestigio a Varsavia (é in Polonia, giusto?)
Ma, a quanto pare, purtroppo dovrò rinunciarvi (finirò all'inferno, lo so, finirò all'inferno)."
Il tizio abboccò.
"Mi dispiace. E' un vero peccato. Vorrei tanto esserle d'aiuto, sono mortificato."
Io tagliai corto, "Grazie lo stesso, arrivederci" e me ne andai di gran carriera, sorridendo al bel carabiniere e ignorando la crucca con la puzza sotto il naso.
Il mio motto è sempre stato: "Se devi spararla, sparala grossa"
Continua...
Prologo, 1, 2, 3, 4, 5, 6
(Per chi non avesse letto gli episodi precedenti o se ne fosse comunque dimenticato, ricordo che il mio Erasmus risale al 2000/01. A quei tempi per andare in Polonia ci voleva ancora il passaporto)
Io, imperatrice assoluta della procrastinazione, rimandai la faccenda fino a quando fu troppo tardi per ottenere il tanto agognato documento.
La mancanza però non mi fece preoccupare particolarmente. Avevo tutta la Germania a disposizione. Potevo sopravvivere tranquillamente anche senza passare la frontiera.
E così fu.
Ogni giorno c'era qualcosa di nuovo da fare e un posto nuovo da vedere. Le possibilità erano infinite. Un viaggio nelle terre dell'Est era l'ultimo dei miei interessi.
Fino a quando ricevetti un messaggio da parte del mio amato Buddy. Colui che non mi si filava di pezza, colui che sembrava considerarmi solo una scocciatura, colui che a malapena si ricordava il mio nome, mi invitava a passare un week end assieme.
In Polonia.
Oh cacchio!
La mia mente, alterata dagli ormoni post adolescenziali che il bel Felix riusciva sempre a scatenare, lavorò incessantemente tutta la notte alla ricerca di una soluzione.
Come avrei potuto passare il confine?
Nascondendomi nel bagagliaio della macchina? No, rischiavo di spettinarmi.
Scavando un tunnel sotterraneo? No, mi sarei rovinata le unghie.
Paracadutandomi direttamente in terra polacca? No, me la sarei fatta sotto.
Alla fine decisi di provare con un metodo legale, semplice e che non mi avrebbe provocato un attacco di panico.
Mi sarei rivolta alle autorità.
Trascorsi il giorno successivo cercando la sede dell'ambasciata italiana.
Arrivai a due minuti dall'orario di chiusura. Arrancai per le scale e raggiunsi l'ingresso tutta sudata e stropicciata.
Già in attesa, prima di me, vi era un' elegante ed inamidata signora che mi lanciò un'occhiata di teutonica superiorità.
Venimmo accolte da un carabiniere.
In Germania, nella lontana Berlino, si ergeva in tutto il suo splendore un altoatesino in divisa, con tanto di bande rosse sui pantaloni e fiamma sul cappello.
Eravamo in Italia.
Io, con i miei capelli ricci arruffati, e la signora, con la piega perfetta, esordimmo nel medesimo momento. "Guten Tag!" disse lei, "Buongiorno" salutai io.
Il bel caramba, perché di gran bel pezzo di figliolo si trattava, si voltò verso di me, "Buongiorno, prego si accomodi" e poi, rivolto alla Frau, "Bitte, warten sie einen moment".
E le chiuse la porta sul nasino perfetto.
Dopo essermi presa la soddisfazione di essere ricevuta per prima solo grazie ai miei italici natali, avanzai a testa alta per il corridoio, elargendo sorrisi a destra e a manca.
Un solerte impiegato mi venne immediatamente incontro.
"Prego, signorina, mi dica. Cosa possiamo fare per lei?"
"Buongiorno, avrei bisogno di un'informazione. Ci vuole molto per fare il passaporto qui a Berlino?"
"No. Prima la inseriamo nelle liste degli italiani residenti all'estero. Poi le forniamo una nuova carta d'identità e un nuovo passaporto.
Qualche mese dovrebbe essere più che sufficiente."
Mossa dalla disperazione che solo una donna innamorata, o quanto meno fortemente invaghita, può provare, continuai ad insistere.
"Vede, il problema è che il passaporto mi servirebbe in fretta. Non si possono velocizzare un pochino i tempi?"
"Beh, una volta fatta la richiesta, possiamo provare a sollecitare la questura in Italia.
Per quando le serve?"
"'bato", biascicai imbarazzata, consapevole di quanto fosse folle la mia richiesta.
"Eh?"
"'abato", ripetei vergognandomi di me stessa.
"Scusi? Non ho capito"
"Sabato!"
"Quattro giorni? Vuole un passaporto in quattro giorni?"
Non mi arresi neanche di fronte all'aria scioccata dell'impiegato. Dovevo continuare a provarci: lo dovevo fare per me e per il futuro padre dei miei figli!
"Non esiste niente che possa fungere da surrogato? Un permessino speciale? Un visto a tempo?"
"No, no, no. Niente del genere", fece lui, "ma perché ha tanta fretta?"
A quel punto mi resi conto che la risposta "perché devo andare in Polonia con un gran pezzo di ragazzo tedesco che, se gli dico no questa volta, non mi inviterà mai più" sarebbe stata davvero troppo imbarazzante.
Anche per una come me, notoriamente senza vergogna.
Decisi che, se non sarei uscita da quell'ambasciata con un passaporto, almeno me ne sarei andata in grande stile!
Assumendo un'aria molto professionale e mentendo con tutta la spudoratezza di cui sono capace, dissi:
"Una conferenza (di sabato?!?!?).
Mi sto laureando in medicina (mi mancano solo 200mila esami) e mi sarebbe piaciuto allargare ulteriormente le mie conoscenze nel campo della neurochirurgia (argomento di cui non me ne è mai fregato una pippa, ma che fa sempre molto figo!).
Il prossimo week end si terrà un convegno di prestigio a Varsavia (é in Polonia, giusto?)
Ma, a quanto pare, purtroppo dovrò rinunciarvi (finirò all'inferno, lo so, finirò all'inferno)."
Il tizio abboccò.
"Mi dispiace. E' un vero peccato. Vorrei tanto esserle d'aiuto, sono mortificato."
Io tagliai corto, "Grazie lo stesso, arrivederci" e me ne andai di gran carriera, sorridendo al bel carabiniere e ignorando la crucca con la puzza sotto il naso.
Il mio motto è sempre stato: "Se devi spararla, sparala grossa"
Continua...
Prologo, 1, 2, 3, 4, 5, 6
(Per chi non avesse letto gli episodi precedenti o se ne fosse comunque dimenticato, ricordo che il mio Erasmus risale al 2000/01. A quei tempi per andare in Polonia ci voleva ancora il passaporto)