Ho già faticato a trovare un titolo al racconto non ne vorrete uno anche per il post?
Rimembrate quando vi parlai della raccolta "Quel giorno in un attimo..."? No? Questo perché siete più rintronati di me ed io perciò vi amo.
Vi faccio un rapido riassunto: la Giulio Perrone Editore aveva indetto un concorso. Bisognava scrivere un racconto a partire da un incipit uguale per tutti i partecipanti.
Da questo concorso è nata un'antologia che include anche una mia storia. Che ora, col permesso dell'editore (perché sono una signorina precisa ed educata, e prima di fare le cose chiedo), condividerò con tutti voi.
Io spedii il racconto senza titolo e senza titolo è stato pubblicato.
No, non lo feci per darmi un tono o aggiungere un accattivante alone di mistero, ma perché lo finii di scrivere 5 minuti prima dello scadere del tempo utile e quindi, in preda al panico e facendo tutto di corsa com'è nel mio stile (perché io sono una procrastinatrice cronica e se non mi complico la vita da sola non sono contenta), semplicemente me ne dimenticai.
Ora però, per l'occasione, il mio parto letterario è stato adeguatamente battezzato ed è pronto per essere esibito sul palco a me più caro.
La Radio Cole Enterprise è lieta di presentare su questi schermi in prima blogosferica mondiale:
Il pesce rosso.N.d.A. L'incipit uguale per tutti corrisponde al primo paragrafo in corsivo da "Si è appena svegliato" a "Riguarda lui".
Si è appena svegliato e aprendo gli occhi dimentica di essere in ferie. Guarda la sveglia, la mette a fuoco, per un istante teme che sia tardi. Poi ricorda. Decide che farà colazione al bar. Si lava, si veste in fretta. E’ una giornata strana, il tempo potrebbe cambiare da un momento all’altro. Ordina il suo caffè, si siede a un tavolo appartato, da cui non distingue le parole degli altri. Solo un fittissimo, uniforme ronzio. Getta un’occhiata distratta al giornale, gli sembra di sapere già tutto. Ma quanto sono vecchie queste notizie? Sfoglia veloce, in cerca delle pagine di cronaca. La tazzina resta sospesa a mezz’aria. In una fotografia gli è sembrato di vedere un volto somigliante al suo. Lo fissa più a fondo, il cuore sembra già impazzito. Legge il titolo, sillaba per sillaba. Riguarda lui.
Non riesce a crederci. Pensava di aver chiuso quel maledetto capitolo. Ed invece no. Il suo orrido segreto è nuovamente uscito allo scoperto. La macchia scura sulla sua anima ha lasciato il passato per ripresentarsi sfacciata nel presente.Si guarda intorno, tutti gli occhi sembrano puntati su di lui, si sente soffocare. L’avranno riconosciuto? Solleva il colletto della polo, calca il berretto sulla fronte e corre fuori dal bar il più velocemente possibile. Corre con le gambe storte e le ginocchia puntute all’infuori. Corre fino a trovare rifugio nell’androne semibuio del suo palazzo. Respira a bocca aperta, con gli occhi sbarrati dal terrore ed il sudore che gli scende lungo la schiena. Le scale sono deserte. Per fortuna. Si arrampica fino al terzo piano, entra nell’appartamento e scivola a terra sul pavimento freddo. Vorrebbe vomitare o nascondersi sotto le coperte e seppellircisi per sempre. Nella ricerca del miglior compromesso si accartoccia sul marmo in posizione fetale.Dieci anni. Dieci anni buttati nel cesso.Il pesce rosso gira nella boccia. Lui inspira dal naso ed espira dalla bocca cercando di calmarsi. Per dieci anni era andato tutto bene. O quasi. Non che non sentisse mai l’impulso. Non che non percepisse dentro di sé quell’inconfessabile desiderio. Ma era sempre riuscito a controllarsi. Aveva spinto tutto giù, sempre più a fondo, sempre più giù. Aveva finito la scuola. Era diventato un impiegato modello, un inquilino puntuale, uno come tutti gli altri. Uno dei tanti. Uno.Dieci anni.L’acqua della boccia sarebbe da cambiare. E’ torbida e puzza. Lui cerca di fare ordine tra i suoi pensieri confusi. Ormai pensava di esserne uscito per sempre ma quella foto lo inchioda alle sue responsabilità. C’è ricascato. Un’altra volta. Che schifo.L’ha fatto inconsapevolmente ma questa non è una giustificazione. Non esistono giustificazioni possibili.Era cominciato tutto tanti anni prima, quando era ancora solo un bambino ma già la colpa si annidava dentro di sé. La mamma lo lasciava scorrazzare in spiaggia nudo come un puttino ma poi doveva rincorrerlo per ore per riuscire a infilargli di nuovo le braghette. La mamma gli faceva il bagnetto a casa ma poi doveva inseguirlo scivolando sul pavimento bagnato mentre lui faceva il pazzo, ridendo con la bocca larga e agitando le braccine in aria. La mamma gli cambiava il pannolino e lui usciva a ballare col cosino al vento sul balcone per il divertimento di tutti i vicini che gli battevano le mani e ridevano. Anche la mamma rideva. All’inizio. Ma gli anni passavano e lei rideva sempre di meno.Lui coglieva ogni occasione per mettersi nudo come un verme. Nelle situazioni accettabili ed anche e soprattutto in quelle inaccettabili. Fino a quella volta in cui, a tredici anni compiuti, aveva esibito il proprio ossuto e sgraziato corpo da adolescente durante la rappresentazione natalizia della parrocchia. Ai tempi gli era sembrata una così buona idea. San Giuseppe era corso nel presepe con indosso i soli sandali. Gli avevano risposto le urla isteriche della Madonna, le risate dei pastori, la rabbia delle catechiste e le lacrime della madre: “Che ti ho fatto di male? Perché mi fai questo?” Lui non aveva saputo risponderle. Non lo sapeva il motivo. Lo faceva e basta. “Perché? Dimmi almeno perché?”, gli aveva chiesto scuotendolo per le spalle. Furono gli occhi delusi e disperati di sua madre a fargli finalmente capire quanto schifo facesse. L’ultimo dei peccatori ed il peggiore tra i figli.Da quel momento ha nascosto la propria vergogna nel fondo dell’anima. Ha fatto finta di essere normale davanti a tutti: la madre, gli amici, persino se stesso. Ma quella foto sul giornale gli sbatte in faccia la realtà. Lui non sarà mai pulito. Lui è sporco dentro, nel cuore, nello spirito e nella testa. Lui non può essere salvato.Si alza da terra. Attraversa il corridoio ed apre la finestra. Non vuole più combattere.Il pesce rosso galleggia a pancia all’aria a pelo d’acqua. Lui sta per salire sul davanzale quando si rende conto di stringere ancora in mano la pagina stropicciata del giornale. Una foto sgranata di un uomo con le gambe storte e le ginocchia ossute all’infuori. Tra le solite notizie di cronaca, sempre uguali a loro stesse, troneggia lui col suo peccato primigenio.“Un uomo nudo tra noi” urla il titolo. Lo sguardo gli cade distrattamente sul sommario: ”Un nostro concittadino, in probabile stato di sonnambulismo, è stato avvistato la scorsa notte nel parco mentre, completamente nudo, correva tra alberi e piante.”Deciso a bere il calice della vergogna fino in fondo, comincia a leggere tutto l’articolo. A quanto pare l’hanno visto in tanti, soprattutto i ragazzi in giro fino a tardi con la scusa delle vacanze. Molti ridono di lui, alcuni si dicono scandalizzati, ma ci sono anche gli altri. Quelli che lo definiscono “un poeta”, “un genio”, “un’immagine struggente”. “Un uomo libero, capace di farsi armonia di carne e spirito con l’universo”, dice una ragazza.Lui chiude la finestra. Si volta. Sfila pantaloncini, maglietta, sandali e berretto. Apre la porta di casa e si precipita giù per le scale. Per strada qualcuno urla, qualcuno applaude, qualcuno ride. Lui corre. Corre fino alla spiaggia.“Armonia di carne e spirito”, è questo ciò che ha sempre desiderato. Qualcuno ha trovato le parole al posto suo. Qualcuno ha trovato finalmente la risposta. E lui corre in acqua in cerca di battesimo e rinascita.
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