Gli ultimi mesi di lutto sembrarono volare via ed io mi ritrovai la notte prima della cerimonia agitata da mille dubbi e paure che mi si mangiavano da dentro. Mi rigiravo nelle coperte peggio di un polletto allo spiedo, con gli occhi sbarrati ed il cuore che pareva impazzito.
“Che c’hai?” mi chiese mamma mia.
“Gnente”
“Allora dormi”
“Nun so capace a fare la mamma. Nun so come se fa”
“E in tutti sti mesi che hai fatto?”
“Perché volete fare crescere li bambini proprio a me? Solo pe fa sta zitta la gente?”
Per la prima volta diedi fiato alla domanda che mi girava in testa da mesi. Perché io? Il paese era pieno di femmine più adatte di me, più mature, più dolci e pure più belle. Perché Augusto l’aveva chiesto a me? Perché mia madre voleva che i nipoti suoi fossero allevati dalla figlia sua più selvaggia e peggio riuscita.
“Perché sorella tua vorrebbe a te”, fu la risposta.
Io a questo non ci avevo pensato mai e, nel giro di pochi minuti, senza accorgermene, mi addormentai.
Il nostro non fu certo quel tipo di sposalizio che sognano le bambine quando giocano con le bambole. Non fu un giorno di festa ma solo la firma di un contratto che ci avrebbe legati per sempre.
In chiesa c’eravamo solo Annamaria, zia Caterina, la mamma, i bambini, Augusto ed io. A farci da testimoni ci pensarono una delle signore della canonica ed il marito suo. A parte la zia, nessun altro parente dello sposo si presentò, avvelenati che lui scegliesse ancora una volta di legarsi a quei morti di fame dei Carretta.
Non si degnò di venire manco il signor Ottavio. Su Lucia aveva chiuso un occhio, dato che era povera ma “na vera bellezza”, ma su di me no.
“Questa c’ha le caviglie grosse e nun è certo sto granché. A questo punto te potevi sposare Angela: lu fratello mio le lascerà quel bel campo dietro la villa”, aveva commentato quando eravamo andati ad annunciargli le nozze. In quell’occasione Augusto mi aveva trascinata fuori da casa dei Parise, tenendomi per mano e sbattendo la porta.
“Te chiedo scusa pe babbo mio: è na bestia!”
“Nun te preoccupare Augù, nun me so mica offesa. Già lo so de nun essere na bellezza ma almeno io nun ce li ho i baffoni della cugina tua.”
Durante la cerimonia Enrico dormì come un angiolo tra le braccia di mamma mia. Sandro all’inizio rimase tranquillo seduto in un angolo ma poi si alzò e si mise in piedi accanto a me.
“Torna a sederti!” lo sgridò Don Felicino.
“No, lasciatelo stare qua”, replicai io.
“Questo non è il posto suo”
“Si, che lo è”, chiuse serio Augusto.
Al mio “Sì” avevo alla destra Augusto ed alla sinistra Sandrino. Mi ero sposata con tutta la famiglia di Lucia. Ed era giusto così.
All’uscita dalla chiesa mi avvicinai all’orecchio dello sposo mio e gli sussurrai: “Quella volta t’ho detto na bugia”
“Quando?”
“Lu cane, la bonanima de Puzzo, te l’avevo mandato dietro io”
“E perché me lo dici proprio adesso?”
“Mo che siamo sposati me pareva brutto tenere sto segreto”
“E lu gioco dei sassi è stato n’idea tua?”
“N’idea mia? No! Ma che fai scherzi? Che pensi che so cuscì cattiva? Quella è stata colpa de quella carogna de Teo”
Dopo la cerimonia andammo tutti a casa, dove mamma mi fece trovare la tavola apparecchiata con una tovaglia di lino bellissima.
“E questa da dove esce?”
“Dal corredo de nonna Ada. Nun credevo te saresti sposata mai, ma nun me pareva giusto dare tutto a Lucia e a te lasciarte senza gnente, e cuscì te l’ho conservata.”
Un giorno, quando sarò anch’io dall’altra parte, preparerò un buon pranzo per tutti quanti e mangeremo tra i melograni ed i tralci d’uva di quella stoffa meravigliosa. I piatti saranno ricchi, i sapori deliziosi e l’acqua fresca come quella della fontana della piazza. Nonna Ada ci coccolerà tutti come bambini. Mamma sarà serena e sorridente come non l’ho vista mai. Forse ci sarà anche il babbo che, a forza di prendere mazzate dai diavoli, si sarà raddrizzato, diventando finalmente un capofamiglia come si deve. Lucia sarà giovane e bella come l’ultima volta che la vidi. Ed io le chiederò quello che voglio sapere da più di sessant’anni: “Ho fatto bene? E’ stata la scelta giusta? Avresti scelto davvero a me?” e lei, se Dio vorrà, mi risponderà di sì, chiudendo la boccaccia per sempre a quella vocina maligna che ogni tanto, nei momenti più difficili come in quelli più felici, mi ha sussurrato all’orecchio: “Sei na ladra. Questa nun è la vita tua.”
Ed ovviamente a capotavola ci sarà Augusto.
Da una parte quello giovane che aveva fermato Lucia lungo la strada e si era presentato a chiederne la mano a mia madre. Sarà seduto tra le due gemelline e potrà finalmente guardarsele con tutto l’amore del mondo per l’eternità.
Dall’altro lato ci sarà il marito mio. L’uomo diventato vecchio e spelacchiato ma ancora capace di farmi arrossire con una strizzata d’occhio ed un sorriso.
Continua...
Prologo - 1 - 2 -3-4-5-6-7- 8 - 9 - 10- 11- 12- 13- 14- 15- 16- 17- 18- 19- 20- 21- 22- 23- 24- 25- 26- 27
“Che c’hai?” mi chiese mamma mia.
“Gnente”
“Allora dormi”
“Nun so capace a fare la mamma. Nun so come se fa”
“E in tutti sti mesi che hai fatto?”
“Perché volete fare crescere li bambini proprio a me? Solo pe fa sta zitta la gente?”
Per la prima volta diedi fiato alla domanda che mi girava in testa da mesi. Perché io? Il paese era pieno di femmine più adatte di me, più mature, più dolci e pure più belle. Perché Augusto l’aveva chiesto a me? Perché mia madre voleva che i nipoti suoi fossero allevati dalla figlia sua più selvaggia e peggio riuscita.
“Perché sorella tua vorrebbe a te”, fu la risposta.
Io a questo non ci avevo pensato mai e, nel giro di pochi minuti, senza accorgermene, mi addormentai.
Il nostro non fu certo quel tipo di sposalizio che sognano le bambine quando giocano con le bambole. Non fu un giorno di festa ma solo la firma di un contratto che ci avrebbe legati per sempre.
In chiesa c’eravamo solo Annamaria, zia Caterina, la mamma, i bambini, Augusto ed io. A farci da testimoni ci pensarono una delle signore della canonica ed il marito suo. A parte la zia, nessun altro parente dello sposo si presentò, avvelenati che lui scegliesse ancora una volta di legarsi a quei morti di fame dei Carretta.
Non si degnò di venire manco il signor Ottavio. Su Lucia aveva chiuso un occhio, dato che era povera ma “na vera bellezza”, ma su di me no.
“Questa c’ha le caviglie grosse e nun è certo sto granché. A questo punto te potevi sposare Angela: lu fratello mio le lascerà quel bel campo dietro la villa”, aveva commentato quando eravamo andati ad annunciargli le nozze. In quell’occasione Augusto mi aveva trascinata fuori da casa dei Parise, tenendomi per mano e sbattendo la porta.
“Te chiedo scusa pe babbo mio: è na bestia!”
“Nun te preoccupare Augù, nun me so mica offesa. Già lo so de nun essere na bellezza ma almeno io nun ce li ho i baffoni della cugina tua.”
Durante la cerimonia Enrico dormì come un angiolo tra le braccia di mamma mia. Sandro all’inizio rimase tranquillo seduto in un angolo ma poi si alzò e si mise in piedi accanto a me.
“Torna a sederti!” lo sgridò Don Felicino.
“No, lasciatelo stare qua”, replicai io.
“Questo non è il posto suo”
“Si, che lo è”, chiuse serio Augusto.
Al mio “Sì” avevo alla destra Augusto ed alla sinistra Sandrino. Mi ero sposata con tutta la famiglia di Lucia. Ed era giusto così.
All’uscita dalla chiesa mi avvicinai all’orecchio dello sposo mio e gli sussurrai: “Quella volta t’ho detto na bugia”
“Quando?”
“Lu cane, la bonanima de Puzzo, te l’avevo mandato dietro io”
“E perché me lo dici proprio adesso?”
“Mo che siamo sposati me pareva brutto tenere sto segreto”
“E lu gioco dei sassi è stato n’idea tua?”
“N’idea mia? No! Ma che fai scherzi? Che pensi che so cuscì cattiva? Quella è stata colpa de quella carogna de Teo”
Dopo la cerimonia andammo tutti a casa, dove mamma mi fece trovare la tavola apparecchiata con una tovaglia di lino bellissima.
“E questa da dove esce?”
“Dal corredo de nonna Ada. Nun credevo te saresti sposata mai, ma nun me pareva giusto dare tutto a Lucia e a te lasciarte senza gnente, e cuscì te l’ho conservata.”
Un giorno, quando sarò anch’io dall’altra parte, preparerò un buon pranzo per tutti quanti e mangeremo tra i melograni ed i tralci d’uva di quella stoffa meravigliosa. I piatti saranno ricchi, i sapori deliziosi e l’acqua fresca come quella della fontana della piazza. Nonna Ada ci coccolerà tutti come bambini. Mamma sarà serena e sorridente come non l’ho vista mai. Forse ci sarà anche il babbo che, a forza di prendere mazzate dai diavoli, si sarà raddrizzato, diventando finalmente un capofamiglia come si deve. Lucia sarà giovane e bella come l’ultima volta che la vidi. Ed io le chiederò quello che voglio sapere da più di sessant’anni: “Ho fatto bene? E’ stata la scelta giusta? Avresti scelto davvero a me?” e lei, se Dio vorrà, mi risponderà di sì, chiudendo la boccaccia per sempre a quella vocina maligna che ogni tanto, nei momenti più difficili come in quelli più felici, mi ha sussurrato all’orecchio: “Sei na ladra. Questa nun è la vita tua.”
Ed ovviamente a capotavola ci sarà Augusto.
Da una parte quello giovane che aveva fermato Lucia lungo la strada e si era presentato a chiederne la mano a mia madre. Sarà seduto tra le due gemelline e potrà finalmente guardarsele con tutto l’amore del mondo per l’eternità.
Dall’altro lato ci sarà il marito mio. L’uomo diventato vecchio e spelacchiato ma ancora capace di farmi arrossire con una strizzata d’occhio ed un sorriso.
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