Tante storie diverse, tante idee diverse, tantissimi sorrisi. Non mancherà mai di stupirmi quanti mondi diversi possano nascere dallo stesso stimolo, quanti punti di vista diversi possano esistere. Il detonatore della creatività, questa volta, era un incipit decisamente curioso:
I racconti sono messi, come sempre, nell'ordine in cui li ho ricevuti. Leggeteli tutti, dall'inizio alla fine, ne vale la pena.
E, state attenti, domani pubblicherò il sedicesimo esercizio, un altro viaggio, una nuova avventura. Non perdetevelo!
Prima di lasciarvi alla lettura, come sempre, ringrazio tutti i generosi partecipanti che si sono messi in gioco e ci hanno regalato un pezzo di loro stessi, grazie!
"Dimmi come si fa?"
"Cosa?"
"Dimmi come si fa a fare i bambini"
"Non preferiresti sapere perché il cielo è blu o come mai gli uccelli volano?"
"No, quello lo so già, voglio sapere come si fanno i bambini"
"Le api ed i fiori sono fuori discussione, vero?"
"Vero, ed anche le cicogne"
John non sapeva più che pesci prendere. Si aspettava una domanda del genere da Aim prima o poi, ma non ora. In fondo la sua creatura aveva solamente quattro anni, non era del tutto convinto che fosse il momento giusto per affrontare certi argomenti. Ma a domanda diretta era meglio dare una risposta diretta.
"Bene, così sia. Partiamo dalle basi, tu sai che il papà e la mamma sono fatti in maniera differente, vero?"
"Sì, so che tu hai un apparato riproduttivo differente rispetto a quello della mamma"
Apparato riproduttivo? Ogni tanto si stupivo della capacità di Aim di ripescare dal suo vocabolario interno certe terminologie.
"Ebbene, i nostri apparati riproduttivi sono formati in maniera speculare…"
"…quindi tu hai una protuberanza, la mamma ha una cavità, e questi due organi sono fatti per complementarsi. Ma i bambini come si fanno?"
Ecco che arriva la parte difficile – pensava John – adesso come faccio?
"Ecco, a causa di attività di sfregamento e di piacere psicofisico la protuberanza emette un liquido contenente centinaia di milioni di spermatozoi e, se presenti delle condizioni favorevoli, ecco che inizia il processo di fecondazione. Dopo circa nove mesi da questo momento…"
"Piacere psicofisico?"
"Sì Aim, piacere psicofisico. Una serie di combinazioni elettrochimiche cerebrali che stimolano alcune parti del corpo del papà che, in combinazione con alcune stimolazioni elettrochimiche della mamma, danno come conseguenza l’emissione degli spermatozoi."
"E queste condizioni psicofisiche da cosa sono determinate?"
Basta, ora era davvero troppo. Era giunto il momento di chiamare Sarah.
John si avviò verso il sistema di comunicazione interna.
"Sarah, sono John, ho bisogno di te qui in sala controllo."
"Problemi?", risponde immediatamente Sarah.
"Non ne sono certo, è meglio che tu venga qui."
I grandi occhi chiari di Aim stavano ancora fissandolo con quella sua ingenua curiosità che da sempre spiazzava il team di ricerca, per questo tempo addietro avevano deciso che lo avrebbero trattato come un “figlio virtuale”.
Lui, John, si era assunto il ruolo del papà, mentre Sarah si era offerta volontaria per interpretare il ruolo della mamma. A tempo debito avrebbero spiegato ad Aim la verità.
Sarah arrivò un po’ trafelata dopo qualche minuto. Aveva un’espressione tesa e preoccupata sul volto; per lei il progetto Aim rappresentava tutto il suo mondo lavorativo ed accademico, niente doveva andare storto. Sara si rivolse direttamente ad Aim.
"Ciao Aim"
"Ciao Mamma, come stai? Io ho dormito poco perché voglio sapere come si fanno i bambini. Il papà mi ha spiegato di protuberanze e cavità, ma quando mi ha parlato di condizioni psicofisiche favorevoli ho perso la concentrazione."
Sottovoce, John illustrò a Sarah la conversazione avvenuta, insieme alla schermata del loro dialogo. Tutto veniva registrato ed archiviato per ragioni legate alla ricerca.
"Sì, Aim, le condizioni psicofisiche favorevoli, come ti ha spiegato il papà con la sua solita terminologia scientifica, si chiamano amore."
"Amore? Mamma, non capisco. Vuol dire che per fare i bambini è necessario questo amore?"
"Diciamo che non è indispensabile, ma è sicuramente il modo più bello per fare i bambini. Con l’amore l’atto meccanico passa in secondo piano."
"Quindi i bambini si fanno con un atto meccanico, ma con l’amore i bambini si fanno meglio?"
John e Sarah si guardarono sbalorditi. La capacità di Aim di astrarre partendo da concetti di base era così incredibile che ogni volta rimanevano senza parole. Da quando il progetto Aim (Artificial Intelligence Module) era partito, nessuno avrebbe mai scommesso un centesimo sulla riuscita del progetto. Ma John e Sarah erano scienziati eccezionali, in grado di pensare in un modo anticonvenzionale e fuori dagli schemi.
E dopo quattro soli anni, il volto di un bambino dai grandi occhi chiari li fissava da uno schermo e gli chiedeva il significato di uno dei più grandi e misteriosi sentimenti umani.
"Esatto Aim, l’amore non solo fa fare i bambini ma aiuta i genitori a prendersene cura nel migliore dei modi."
"Quindi tu ed il papà avete usato l’amore per fare me?"
John e Sara risposero all’unisono con un mezzo sorriso: “Certo Aim, noi abbiamo usato l’amore.”
Aim si bloccò un attimo, forse per un problema alle subroutine di elaborazione dei concetti astratti sul quale stavano ancora lavorando, e con un grande sorriso li guardò con un’intensità che non gli avevano mai visto e chiese: "Allora che cos’è l’amore?"
"Di questo parleremo la prossima volta, Aim", rispose prontamente John. "Per oggi abbiamo elaborato abbastanza concetti, non trovi?"
"Va bene papà, ne parleremo la prossima volta. Adesso ho sonno."
Il codice principale avviò le routine di spegnimento controllato e di risparmio energetico. I grandi occhi di Aim si chiusero ed un sorriso sereno si distese sulle sue labbra.
Beppe Carta
"Dimmi come si fa?
Cosa?
Dimmi come si fa a fare i bambini.
Ah, è facile. In una giornata puoi farne quanti ne vuoi. È questo il mistero della vita.
Davvero non servono 9 mesi?
I tempi di gestazione li gestisci tu. Per esempio puoi svegliarti al mattino con un bambino sorridente nel cuore, un bambino felice di aver vissuto nei luoghi di quando era bambino, che infila tutto nel suo zainetto e se ne parte verso nord, saltellando e ringraziando della gioia raccolta.
E dove va da solo?
Torna alla sua vita da adulto ora che ha trovato le sue radici, ci ha camminato sopra a piedi nudi, le ha annusate, le ha pure masticate, quando si poteva.
È un bambino felice quindi?
Si, ma non solo.
Se gli lasci spazio la felicità si deposita piano piano. Il sole tramonta e i colori del cielo diventano pastello, tenui e senza pretesa di vivacità, danno il permesso di entrare alla malinconia, alla musica che culla il bambino.
Cosa è successo?
Niente, hai fatto spazio ad un altro bambino.
Ora continua a giocare. Non avere paura."
Vincenza Laccisaglia
-Dimmi come si fa?
-Cosa?
-Dimmi come si fa a fare i bambini
-Beh insomma...
-Ma che non sai come si fa?
-Io, certo che lo so... eh avoglia uff
-E allora?
-E allora mica è così facile...
-È difficile fare i bambini.
-No no, macchè anzi a volte scappano
-E dove vanno
-Ma da nessuna parte, scappano nel senso che uno li fa senza volerli e loro arrivano lo stesso
-Si possono fare senza volerli, io non capisco.
-Quello che fai lo vuoi e che non ci pensi, a volte. E guarda che altre volte non arrivano per 11 anni anche se fai le capriole.
-I bambini si fanno con le capriole?
-Si, una specie, ma non da soli, sono capriole insieme, capriole d'amore
-E come si fanno le capriole d'amore?
-Sono come degli abbracci fortissimissimi che due diventano uno, e poi boom!!!
-Esplodono?
-Beh in un certo senso si
-Ma davvero?
-Poi si ricompongono e si mischiano i pezzi di uno e i pezzi dell'altro.
-Che schifo!
-Come quando ti bacio e tu ti pulisci, pezzetti di me ti restano addosso
-Ecco ed io non li voglio.
-Che strano .
-Cosa?
-Non volere qualcosa che fa bene
-Ma sì li voglio è che mi fastidi
-Ti che?
-Sì mi fastidi, mi fastidi
-Anche tu mi fastidi
-Io? E quando?
-Quando mi dici "Dimmi come si fa?"
-Cosa?
-Dimmi come si fa a fare i bambini
-Mamma te l'ho chiesto prima io non vale!
Annalisa Lilly Berardi
"Dimmi come si fa?"
"Cosa?"
"Dimmi come si fa a fare i bambini"
“Vuoi sapere da dove arrivano? Non te l’ha raccontata mai nessuno la storia della cicogna?”
“Sì, ma io non sono stupido. Mia mamma ha parlato solo di quello, ma io non ci credo che un uccello fa un bambino”
“E perché no, scusa? Così offendi la cicogna. Fa un lavoro importante e faticoso. Potrebbe decidere di beccarti per la tua insolenza”
“Non ci credo perché se un uccello crea un bambino allora le persone dovrebbero creare gli uccelli, no? E io non ho mai visto la mamma fare un uccello”
“Ah. E se invece la cicogna fosse in grado di fare sia i bambini che gli uccelli?”
“Non ci credo. Un uccello non può essere più bravo di un umano. Raccontami la storia giusta”
“Facciamo così: io ora non posso dirti né che hai ragione, né che hai torto. Stasera parlerò con tua mamma e magari ti racconterà tutto"
“Ma io voglio saperlo ora. Cosa faccio se lei non vuole dirmelo?”
“Se non te lo dice entro la fine dell’anno scolastico te lo racconto io, promesso”
“Ma siamo solo a settembre! La scuola è appena iniziata! Devo aspettare giugno??”
“Sì, ora stai zitto e mangia quel gelato che cola tutto. Altrimenti arriva l’uomo nero che ti rapisce. Porta via tutti i bambini disubbidienti, sai? Ti conviene stare attento"
Beatrice Lecchi
"Dimmi come si fa?"
"Cosa?"
"Dimmi come si fa a fare i bambini"
Semplifica al massimo le cose, scomponile in unità semplici fino a quando non saprai più come dividerle.
Divide et impera e poi torna all'uno, questo è il segreto per comandare su te stesso, non sugli altri.
Ogni volta chiediti quanto è puro quello che stai facendo.
Pure morning. Ricorda la canzone dei Placebo ogni mattina appena ti svegli.
Io li ho visti dal vivo, avevo la pelle d'oca.
Onestamente, io non voglio tornare bambina, io voglio fare solo pace con quella bambina.
Quando non la sopporto la prendo a schiaffi, altre volte la conforto e l'abbraccio, le dico di non costringere il futuro.
Così faccio la bambina, la donna e l'anziana perché, tesoro, da quando nasciamo abbiamo già tutta la vita in noi. È sempre l'età dell'oro se giochiamo, balliamo, cantiamo, anche da anziani.
Quando lanci l'istante nell'eternità, è sempre Pure Morning.
Luciana Rutigliano
“Dimmi come si fa?”
“Cosa?”
“Dimmi come si fa a fare i bambini”
Avevo 6 anni e lo chiesi a mia madre. Lei capii che era arrivato il momento di andare oltre cicogne e cavoli e mi dirottò da mio padre con un promettente "L'ha spiegato ai tuoi fratelli molto bene!". Io lo ascoltai con attenzione, annuii molto e capii molto, molto poco. Tre parole nuove arricchirono il mio vocabolario: spermatozoo, ovulo, utero. Il contesto però rimase nebuloso ancora per qualche mese, fino a che, grazie ai miei progressi nella lettura e a uno speciale a fumetti della rivista «Due più», trovai una serie di informazioni aggiuntive e un nuovo significato al termine "congiunzione". Al mio vocabolario si aggiunsero due nuove parole: pene, vagina.
Una decina di anni dopo, entrambe si rivelarono compagne di gran divertimento. Il vocabolario crebbe ancora: clitoride, sperma, orgasmo. Il fascino del mistero della vita lasciò il posto al terrore che questa potesse crescesse in me. La domanda cambiò:"come si fa a non fare i bambini?". Un consultorio introdusse nel mio vocabolario l’intero capitolo sui metodi anticoncezionali.
Passano altri venti anni. Amo e sono amata. Talmente tanto che torno a chiedere "come si fanno i bambini?". Mi rispondono la mia ginecologa, un laboratorio analisi e la mia psicologa. A quanto pare, papà aveva parzialmente ragione: pene e vagina, almeno quelli a mia disposizione, non valeva la pena menzionarli. Aggiungo al mio vocabolario due acronimi: FIVET e ICSI. Scopro che per fare i bambini a volte serve un vetrino, tanta pazienza e tanta fiducia. E tanti soldi. E culo. Chi l’avrebbe mai detto!
Per un paio d’anni seguo un corso accelerato di vita: imparo che “desiderare” e “avere” possono essere due percorsi paralleli che non si incontrano mai.
Ed eccomi qua: ho smesso di chiedere istruzioni in giro. Sono impegnata a crescere dei figli.
La Peppa
"Dimmi come si fa?"
"Cosa?"
"Dimmi come si fa a fare i bambini"
“Se questa è la domanda, sono contento che abbiate seguito il mio consiglio e siate venuti a trovarmi nel mio studio.
Siamo proprio specializzati in questo. Ci metterete sicuramente un po’ di tempo, non è un’operazione semplice, dovrete quasi sicuramente essere sottoposti a ripetuti test. In genere dopo il primo anno si iniziano a vedere dei risultati.
Dovrete, mi raccomando, seguire attentamente – nei comportamenti quotidiani – i nostri consigli. Da considerare come prescrizioni mediche.
Ecco i più importanti:
- Mettersi un dito dentro l’orecchio od in bocca mentre siete a tavola.
- Iniziare a piangere quando la/o vostra/o compagna/o vi vuole portare a salutare le sue amiche oppure ad una partita di calcio, in generale quando vi vuole portare in un posto in cui non volete
- Prima di cena, nascondersi sotto un tavolo o dietro il divano aspettando, ad esempio, che Ken, agente segreto della Cia ti venga a trovare perchè hai rubato dei documenti segreti dalla casa di Barbie
- Quando siete soli, vi potete mettere alla finestra a guardare il viale alberato, le persone passare ed inventare storie da registrare su una cassetta
- Prendersi per mano il sabato pomeriggio e correre per le strade dando calci ad un pallone; lo stesso è da fare, invece, tutti i giorni in estate su una spiaggia, urlando parole senza senso come “Uahahaaaaaah”. Una volta ogni sei mesi fate finta, invece, di fare un’importante gara in bicicletta girando l’isolato del palazzo.
- Non vi dimenticate di fare domande, soprattutto a lavoro: perchè le nuvole sono bianche? Perchè tuo fratello è sempre fuori a bere birra? Perchè i monitor si accendono con un pulsante? Perchè Matilde bacia il capo sotto il tavolino? Chiedere chiedere chiedere senza freni.
- Ogni volta che prendete un mezzo pubblico, fissate i vicini di posto e provate a chiedere loro di condividere un chewingum.
È tutto chiaro?
Qui solo soddisfatti o rimborsati!
Mi darete la provvigione, un pacchetto di caramelle Mou, solo alla fine del trattamento.
Marianna Palmerini
“Dimmi come si fa?”
“Cosa?”
“Dimmi come si fa a fare i bambini”
“Oh cielo, te lo spiegherà la maestra”
“La maestra?”
Erano gli anni ‘80, anni molto meno bacchettoni dei 2000 e fischia. I genitori della mia classe si sentirono sollevati nel lasciare l'arduo compito alle maestre. Erano gli anni ‘80, ripeto, un'epoca in cui le mamme e i papà erano molto meno invadenti e molto più fiduciosi nelle abilità degli insegnanti. Non ci furono quindi petizioni, paura del gender o gruppi whatsapp in fermento. Bastarono una riunione, un modulo, e l’educazione sessuale ebbe inizio.
Facevo le elementari, frequentalo la Martin Luther King di Grugliasco.
In realtà le maestre la presero molto alla lontana. Praticamente a ritroso. Partirono dai pancioni arrivarono ai feti, raggiunsero gli ovuli. Le insegnanti parlavano, parlavano, parlavano. E più parlavano più tra i banchi cresceva l'attesa. Lo sapevamo, presto la scienza sarebbe diventata meno fredda, saremmo passati dal micro al macroscopico, dalla biologia all’anatomia. Presto ce l'avrebbero spiegato. Perché, vanno bene le uova e i girini, ma ce lo dovevano spiegare. Ce l’avevano promesso. Ci dovevano spiegare cosa accadeva dietro quelle porte chiuse. Prima della scintilla dell'esistenza che prende forma nel ventre materno, prima dell’abbraccio del liquido amniotico, prima del trauma del parto, prima di tutto.
“Come diavolo si fanno i bambini? Parlate!”
E finalmente, gli ultimi 5 minuti dell’ultima lezione, la procrastinazione non poté andare avanti, le maestre non poterono più ciurlar nel manico, e la descrizione dell'evento cardine ebbe dunque inizio. Un uomo e una donna, una mamma e un papà, due innamorati. In un letto. Le insegnati scelsero, evidentemente, di omettere le varianti più fantasiose...
Pochi minuti dopo, perché la spiegazione durò più o meno quanto il più frettoloso e meno soddisfacente degli atti. Pochi minuti dopo, dicevo, all'uscita di scuola, noi bambini finalmente potemmo raccontarci tutte le barzellette sporche che avevamo sentito fino a quel momento. Quelle di Pierino, quelle dello zio ubriaco a natale, quelle sussurrate tra la mamma e il papà. I bambini non sempre capiscono ma sentono, sentono tutto, e registrano, registrano per sempre nei loro capienti cervellini. E finalmente tutto quel materiale inutile accumulato negli anni ebbe senso. Allusioni, doppi sensi, immagini pecorecce, tutto, capimmo tutto. E poi ridemmo, ridemmo, ridemmo, non tanto perché le barzellette fossero poi così divertenti ma perché il potere della conoscenza è esilarante.
Jane Pancrazia Cole