Anne sognava di fare la ballerina come sua nonna Sonja.
La nonna viveva nell’appartamento al piano superiore e, quando i genitori andavano a lavorare, Anne e le sue due sorelle salivano le scale strette e restavano per tutto il giorno nel monolocale ricco di cimeli del passato.
La nonna non aveva mai avuto un grande istinto materno, o almeno così diceva sempre la mamma di Anne, ma occuparsi delle nipoti le dava una certa soddisfazione.
Ogni giorno scaldava la zuppa già pronta per le bambine, puliva loro i nasini e poi, quando le più piccole andavano a fare il pisolino, si metteva alla finestra e, girandosi tra le mani un bicchiere di rum, raccontava ad Anne, 7 anni e un perfetto caschetto biondo, del suo passato da étoile a San Pietroburgo.
“Il barone Razimov veniva a teatro tutte le sere solo per vedere me”
“Era innamorato?”
“Piccolina, tutti lo erano. Amavano me e la mia danza”
“E come ti chiamavano?”
“Il cigno dal Volga”
“Eri bellissima, vero?”
“Così dicevano, ma sai chi è ancora più bella?”
“Chi?”
“Tu” le diceva accarezzandole i capelli e Anne le stringeva le braccia intorno al vitino sottile.
“Mi racconti ancora di quella volta che la contessa si è commossa durante un tuo spettacolo?”
“Una valle di lacrime, tesorino, una valle di lacrime, la dovettero portar via di peso”
La nipote pendeva dalle labbra della nonna e la nonna raccontava, raccontava e ancora raccontava. Raccontava degli uomini che la corteggiavano, delle donne che la invidiavano e della platea sempre piena.
Parlava di un mondo passato e glorioso, osservando le lucide scarpette appese all’angolo, proprio sopra una scatola di legno intarsiato da cui spuntavano braccialetti di perline, una collana di vetro e un boa di struzzo tutto stazzonato.
Poi le più piccole si svegliavano e tutte assieme, usando i termosifoni come sbarre, facevano lezione di danza.
“Uno, due tre” diceva la nonna.
E le bimbe univano i talloni, si alzavano sulle mezze punte e tendevano il collo in alto, proprio com’era stato loro insegnato dal “cigno del Volga”.
Le minori si stancavano in fretta e tornavano presto ai loro pupazzi e alle bambole dai capelli stopposi. Ma Anne no, Anne continuava ad esercitarsi, perché voleva essere come la nonna e sognava un futuro sugli assi del palcoscenico, circondata dalla musica, l’ammirazione e l’invidia di tutti.
Infine, al tramonto, i genitori salivano le scale e andavano a prenderle, ed erano baci saluti e giravolte fin dentro i loro lettini.
“Dovresti proprio smettere di riempirle di balle!” diceva la mamma con gli occhi stanchi.
“Perché? La verità è sempre così deludente” rispondeva ogni volta la nonna, che ballerina in effetti era stata ma senza tutù e neanche le scarpette.
“The Russian Pussycat” la chiamavano in quel vecchio locale a Brooklyn.
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