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È giorno fatto, quando D. decide finalmente di alzarsi. 

Beve un sorso di caffè freddo ed esce di casa.
Non chiude la porta.
Non la accosta nemmeno.

Il cielo è di un azzurro perfetto, i fiori nelle aiuole sono al massimo del loro splendore, una leggera brezza rende la temperatura ideale.

D. passeggia tranquillamente lungo i viali, con un libro sotto il braccio.
Poi si stende sotto un albero.

“Il tempo aveva perso la sua qualità pluridimensionale. Per Robert Neville esisteva soltanto il presente; un presente basato sulla sopravvivenza quotidiana, scandito dall’assenza di picchi di gioia o abissi di disperazione. Sono a un passo dallo stato vegetale, pensava spesso”. (*)
Legge ad alta voce, quando una mela si stacca dal ramo per cadergli a pochi centimetri. Un rumore secco, un evento piccolo e inaspettato che attira la sua attenzione. Ha fame e se ne ricorda in quel momento, quindi afferra il frutto e vi affonda i denti. Il succo zuccherino gli riempie la bocca ed un piccolo rivolo gli scivola lungo il mento. D. si pulisce svogliatamente con la mano, per poi infilare le dita tra le labbra e succhiare il dolce nettare. Sarebbe una sensazione piacevole se solo riuscisse a goderne.

“Devo cenare” – dice a nessuno, e s’incammina verso un supermercato.
Fa lo slalom tra le corsie e sceglie una lattina di carne in scatola.
Passa dalla cassa.
Non paga.

Sale con tranquillità le scale e raggiunge il suo appartamento.
Prepara la tavola: un piatto, una forchetta, un bicchiere d’acqua.
La carne e la gelatina gli si sciolgono in bocca.
Pulisce il piatto con cura, non rimane neanche una briciola.
Poi beve l’acqua fino all’ultimo sorso.

La radio è muta.
La televisione accesa dichiara “l’interruzione dei programmi”.
Così era questa mattina, così ieri, così l’altro ieri.

Così un anno fa, per la prima volta, quando D. si svegliò e si accorse di essere solo. Solo in casa, solo sul pianerottolo, solo nel palazzo, solo nell’isolato, solo nel quartiere, solo in città, solo nel paese, solo sul pianeta. Ha trascorso gli ultimi 360 giorni a cercare qualcun altro. A piedi, in bici, in auto, ha attraversato tutte le strade che ha potuto raggiungere senza trovare nessuno. Nessun uomo, nessuna donna, non un bambino su un’altalena, non un cane che sonnecchiava all’ombra, non un passerotto sopra un ramo, non un ratto in mezzo all’immondizia, non uno scarafaggio in un angolo buio, non una zanzara attirata dal suo odore. Niente e nessuno.

Il mondo è una scatola vuota a sua disposizione. Ogni cosa al suo posto, non come se gli altri se ne fossero andati mentre dormiva, ma come se nessuno avesse mai abitato la terra prima del suo risveglio. Un enorme plastico fatto di piante vere, fiumi che scorrono, supermercati da svuotare, teatri con camerini ordinati pieni di costumi che nessuno pare avere mai indossato. D. ha cercato qualcuno e qualcosa. Ma non ha trovato alcuna compagnia, né risposta.

Si alza dal tavolo, sparecchia e ripone tutto con cura. Poi va in bagno e apre l’acqua della vasca. Nel frattempo si spoglia, prima slaccia l’orologio, poi le scarpe, si sfila la t-shirt, si toglie jeans, calzini e slip. S’immerge.

Appoggiata al bordo di ceramica c’è una lametta. D. l’ha messa lì cinque giorni fa, appena di ritorno dal suo viaggio. Aveva ancora bisogno di alcuni giorni. Un’ultima flebile speranza. Ma ora tutto è pronto, tutto è deciso.

Un taglio al polso destro. Profondo.
Uno al sinistro. Altrettanto.

L’acqua cambia immediatamente colore. D. appoggia la testa al bordo e attende. Mezz’ora dopo il suo corpo si affloscia e scompare sotto la superficie. Piccole bolle affiorano. Una, due, tre, e poi più nulla.

Il mondo è vuoto. Ora. Completamente.

 _ Esperimento XY00254 concluso
Specie: Homo sapiens sapiens
Durata: 365 giorni terrestri
Metodo anticonservativo scelto: rescissione vasi sanguigni arti superiori
Avvio esperimento XY00255 _

Fine

(*) tratto da Io sono leggenda (I Am Legend) di Richard Matheson 

Questo racconto e molto altro, scritto da me e soprattutto da tanta altra bella gente, lo trovate su 22 Pensieri, la rivista mensile che raccoglie parole e immagini di un gruppo di impavidi e bellissimi figuri!


Alta. Elegante. Più vicina ai sessanta che ai cinquanta.
Porta con sé una di quelle borse per la spesa in tela spessa. Quelle con le ruote.
Solo quando mi è abbastanza vicina, metto a fuoco il tubicino trasparente che, partendo dalle narici, le ondeggia davanti fino a scomparire nella sporta. Ossigeno.
Lei è cosi bella. Altera. Regale. Talmente tanto che quasi vorrei fermarmi a dirglielo. Ma ho paura di offenderla, d'invadere il suo spazio di legittima normalità sottolineandone la straordinarietà.
E così taccio. Ma scrivo.
Certi bei momenti meritano di essere fermati per sempre. Sulla carta o sulla tastiera.
Dalla bacheca di facebook al blog.

"Mi è scaduta la carta postepay. Per il rinnovo devo fare la fila agli sportelli o posso chiedere a te, solerte amico del banco informazioni?"
"Nessuna fila: ci penso io!"
"Grazie"
"Figurati, noi della posta amiamo venire incontro alle esigenze dei nostri clienti"
"Che meraviglia!"
"Vuoi rinnovare questa postepay basic-puzzona o passare alla fantastica postepay figa-evolution?"
"E quale differenza ci sarebbe?"
"Un piccolo canone annuale in cambio di fantastici servizi cazzi-e-mazzi"
"Interessante, ma io di questi fantastici servizi cazzi-e-mazzi non saprei proprio che farmene. Credo che rinnoverò semplicemente la postepay basic-puzzona"
"Va bene. Biglietto e fila allo sportello. Il prossimo! "
La bacheca di facebook scorre veloce ed inesorabile. Col passare del tempo non è affatto facile recuperare vecchi scritti e, ogni tanto, sento la necessità di mettere al sicuro alcuni post. Trascriverli sul blog, dove sono più protetti e facilmente rintracciabili.

Per questo motivo oggi fermo su Radio Cole un mio particolare microracconto. Un piano sequenza in parole. Una ripresa continuata senza stacchi. Una storia priva di punteggiatura. Un gioco. Una sciocchezza. Un esperimento.

Su facebook l'ho pubblicato senza alcuna spiegazione, mettendo in difficoltà qualcuno. Con voi, vecchi frequentatori del mio blog, mi sento di essere più benevola e svelare la chiave di lettura.
Ogni parola in grassetto è la fine della frase precedente e l'inizio della successiva.

Le foglie si lamentano sotto i piedi affondano ne la neve si scioglie tra i fili d'erba che si allungano come le giornate.

Il titolo? Un anno.
Periodi brevi. Frasi semplici. Punteggiatura spietata.
È così che scrivo.

(Parentesi aperte che non si chiudono, "Virgolettati abbelliti da una memoria selettiva; subordinate che reggono altre subordinate che reggono interrogative irrisolte.
È così che vivo.
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