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Era da tempo che volevo dedicare un post a questa geniale trasmissione ed ora è giunto il momento!


Ingredienti:
una tata vestita come negli anni ’50, perfettina ed irritante, con lo stesso calore umano di un cadavere;
2 o più bambini, che avrebbero bisogno o di una bella dose di psicofarmaci, o di essere presi a mazzate oppure, come ultima possibilità, di un esorcista;
una mamma, schiava dei propri figli, depressa e perennemente sull’orlo di una crisi di nervi;
un padre che ha tutta l’aria di passare di lì per caso e a malapena si ricorda i nomi dei pargoli.

In queste famiglie si assiste ai più strani comportamenti: bambini di 4 anni che pasteggiano quotidianamente con il vino; padri che si divertono ad aizzare i figli uno contro l’altro nel gioco del "wrestling", ossia il "picchia pure il tuo fratellino"; piccoli funamboli esperti nel lancio di coltelli; genitori che per far addormentare i propri piccoli li portano in giro a mezzanotte, in modo che l’auto li culli!

La tata osserva, storce il naso e poi impartisce nuove regole di comportamento.
Nel giro di pochi giorni si assiste a trasformazioni talmente straordinarie da risultare quantomeno sospette: dove regnava il caos alberga la serenità, al posto di teppisti in erba troviamo principessine e piccoli lord.
Merito della tata?
Miracoli delle tv?
I bimbi sono stati sedati?...io propendo per l'ultima ipotesi!

La trasmissione è carina e divertente, ma io ci aggiungerei anche una visitina a sorpresa alla famiglia un mesetto dopo: con i genitori legati in mezzo al salotto mentre le belve, che hanno ripreso il controllo, mettono a ferro e fuoco la casa!
“Who is he? He’s nobody”
“He’s her choice and she’s our daughter”

tratto da "Il profumo del mosto selvatico"(A walk in the clouds, 1995).

ps: Ogni riferimento a fatti o persone realmente esistiti (o esistenti) non è affatto casuale
Sono tornata!
Ricominciano le trasmissioni…

I viaggi in treno hanno sempre il loro fascino.
La tratta Venezia-Torino, ad esempio, in qualsiasi periodo dell’anno e a qualsiasi ora è sempre affollatissima!
Negli anni ho trascorso infinite ore seduta nei corridoi, mentre i fortunati, che bivaccavano negli scompartimenti, mi guardavano con un misto di superiorità e compatimento: lo stesso sguardo che, nei giorni di pioggia, indirizzano gli automobilisti ai poveri tapini in attesa alla fermata dell’autobus.
Questa volta non mi sono fatta fregare! Sono salita a Verona fornita di prenotazione!
Mi sono dovuta lanciare al volo sulla prima carrozza che mi è capitata: la numero 4. Peccato che il mio posto fosse sulla 7.
3 carrozze possono essere molto difficoltose da attraversare, quando si ha con sé:
una borsetta da passeggio,
uno zaino pieno di regalini, gonfio come la sacca di Babbo Natale,
una borsa colma di libri ( 5kg di cultura medica)
e un trolley (6-7kg di abitini e scarpette)
…insomma: IL MINIMO INDISPENSABILE!
Lungo il tragitto ho lasciato morti e feriti, vittime delle mie inconsapevoli borsettate, e mi sono beccata insulti e maledizioni in svariate lingue e dialetti.
Dopo 15 minuti ho finalmente raggiunto il mio posto: carrozza 7, posto 94, mediano
…ovviamente: già occupato! La cosa è inevitabile da quando Trenitalia ha deciso di non segnalare più le prenotazioni. Ottima tecnica per stimolare le risse tra passeggeri!
Completamente stravolta, sudata e puzzolente, ho individuato il ragazzetto “monomarca” che, fresco come una rosa, occupava il mio posticino e con un filo di voce gli ho detto: “Scusa, ma il 94 è prenotato”.
Lui ha deciso di ignorarmi.
Io gli ho ripetuto:”Quel posto è prenotato”…poverino, così giovane e già ipoacusico.
A quel punto è stato costretto a degnarmi della sua attenzione: “Embè? Io dove vado?”

Risposte possibili:
a)E chissenefrega?
b)Dove vai non lo so, ma so dove ti manderò se non alzi subito il tuo sederino firmato!

Non ho utilizzato nessuna delle due opzioni, ma ho preferito la risposta più educata che in una situazione del genere mi è sovvenuta:
“Scusa, e io dove vado? La prenotazione l’ho pagata. Quello è il mio posto!”…ero troppo stanca, meglio di così non sono proprio riuscita a fare.

Per la cronaca: il fighetto si è alzato e mi ha lasciato il posto, guardandomi come se io fossi la più grande carogna sulla terra e lui, nella sua infinita bontà, mi stesse facendo un favore.
Delle volte essere ben’educate è un vero peccato.
Sarebbe stato così divertente riempirlo di simpatici insulti e fare una bella scenata: così liberatorio!
Anche se sono in vacanza, certe notizie non devono essere ignorate, ma diffuse il più possibile.
Sul sito di diarionotturno ho letto un post dedicato ad una vicenda di cui avevo già sentito parlare. In Texas un uomo è stato condannato alla pena di morte per aver portato in macchina un suo amico che, durante una rapina, aveva commesso un omicidio. Il condannato non era presente sul luogo del delitto ma una legge assurda lo condanna al "patibolo".
In un sistema giudiziario che funziona la pena dovrebbe essere certa e proporzionata al delitto!

Se condividete il mio sdegno: fate sentire la vostra voce!
La mia amica meruccia, mi ha segnalato questa notizia e io la giro a voi.
In Asia un monsone stà facendo centinaia di vittime e la notizia è spudoratamente ignorata dai mass media.
Date un'occhiata al sito di libero e spargete la voce.
In questi giorni ho avuto pochissimo tempo da dedicare al blog, è questo lo dimostra anche il fatto che mi sono ridotta a scrivere questo post alle 2:23 di mattina!
Domani parto per le vacanze: potrei tornare rilassata o sull'orlo di una crisi di nervi o completamente depressa, chi può dirlo?
Le uniche certezze che ho attualmente sono:
la mia valigia pesa quanto il mio fidanzato, che non è esattamente una libellula;
domani mattina dovrò svegliarmi alle 7 e ora sono già le 2:25;
queste saranno certamente delle vacanze indimenticabili!

Le trasmissioni di Radio Cole ricominceranno a pieno regime dal 19 agosto, ma non si escludono post sparsi qua e là nel frattempo, basta che io riesca a conquistarmi un posticino davanti al pc eliminando tutti i numerosi concorrenti.

Buone vacanze a tutti!

Il terzo giorno di permanenza a Berlino mi recai allo studentato per prendere possesso della mia stanzetta.
La mia idea di "casa per studenti" era stata distorta da tutta la filmografia americana di cui mi ero nutrita fino a quel momento.
Schlachtensee, questo era il nome dello studentato, era completamente diverso da come me l'aspettassi.Una quantità di piccoli edifici, alti al massimo tre piani, sparsi in una via di mezzo tra un boschetto ben tenuto e un parco abbandonato. Vi erano una segreteria, un pub, una macchinetta che distribuiva preservativi e gli alloggi di noi studenti.
Si trovava in una zona residenziale della città, distante km e km da qualsiasi forma di svago. Vicino vi erano solo condomini e villette: la morte sociale!
Dimenticavo: eravamo solo stranieri! I tedeschi se la spassavano in centro, mentre noi eravamo stati ammassati in periferia.

Io ero stata assegnata all'Haus 17 (cominciamo bene!). L'iter era il seguente: le segretarie ti facevano firmare il contratto d'affitto, ti assegnavano una stanza, ti dotavano di cartina e poi iniziava la caccia al tesoro. Detto così sembra semplice, peccato che le indicazioni per l'alloggio non fossero del tipo casa 17, secondo piano, interno 3, nooooooooo...ti veniva dato un codice infinito di cifre, con il quale sarebbe stato più semplice aprire il caveau di una banca in Svizzera piuttosto che trovare la propria camera!
Dotata del senso di orientamento di un novantenne malato di Alzheimer, riuscì miracolosamente a trovare la mia Haus. All'ingresso fui intercettata da un ragazzone keniano, alto due metri e largo quanto un armadio che, notando la mia aria smarrita da "leprotto accecato dai fari di un auto", si mise il mio zaino sulle spalle e letto il mio codice mi scortò in un batter d'occhio davanti alla mia porta.

L'arredamento era costituito da una scrivania, un armadio, un letto ed una libreria in precario equilibrio sul davanzale. Ero finalmente a casa!

La prima, di una serie infinita di persone incredibili che conobbi a Schlachtensee, fu Lola "aus Madrid". La ragazza che occupava la stanza accanto alla mia.
Non riuscirò mai a dimenticare i nostri primi cinque minuti di conversazione. Ci incrociammo sul ballatoio, entrambe appena arrivate e quindi desiderose di fare amicizia, e lei iniziò a parlare, parlare, parlare e parlare.
Io non capivo nulla, anzi non capivo neanche quale assurdo idioma stesse usando. Dall'accento era indiscutibilmente spagnola, ma la lingua con la quale si rivolgeva a me, sembrava tutto tranne che latina. Cercai di cogliere disperatamente qualche parola, non mi sembrava inglese, ma, per quanto lo parlassi poco, non mi sembrava neanche lontanamente tedesco.
E invece no,mi sbagliavo, era proprio l'"odioso idioma crucco" (copyright di Eli)!

Lola parlava probabilmente il miglior tedesco di tutto lo studentato, all'esame scritto di lingua dell'università ricevette anche i complimenti della commissione, ma c'era solo un piccolo problema: usava lo stesso ritmo e lo stesso accento dello spagnolo, col risultato che, di primo acchito, non ci si capisse proprio nulla.
Per iscritto sembrava Goethe, ma a voce assomigliava di più a Raffaella Carrà quando vuole fare la poliglotta.

Lola ed io, dopo essere riuscita faticosamente a comunicare, ci lanciammo nell'esplorazione degli spazi comuni. Per ogni piano gli studenti avevano a disposizione cucina, bagni e docce rigorosamente misti (unisex).
La cucina era inimmaginabile, sembrava uscita da uno di quei film sui sopravvissuti ai disastri atomici. Sporcizia ovunque, piatti sporchi appoggiati su ogni superficie utile, un dito di unto anche sulle pareti, pentole e padelle con resti di cibo accatastate davanti alla finestra.
Dopo un tale spettacolo io andai al supermercato a fare la spesa (è proprio vero che ci si adatta a tutto) e la mia nuova amica spagnola si chiuse nella sua stanzetta, probabilmente a piangere.

Tornata allo studentato incrociai Marco, un ragazzo di Bolzano, che cercava Simone...

"Hai visto Simone?"
"Chi?"
"Simone, quello di Genova, abita qua al terzo piano"
"No, non so chi sia, perché?"
"E' arrivato dall'Italia in macchina, ha portato tutto: stoviglie, parmigiano, caffè. Cenerò con lui"

Lo so cosa state pensando: che tristezza, giovani italiani all'estero che si comportano come gli emigranti degli anni '60 e si mettono in gruppo a mangiare spaghetti. E la globalizzazione?L'Europa unita?
Avete perfettamente ragione, ma...

"Mi posso autoinvitare?"
"Certo, più siamo meglio è"

La mia prima cena allo studentato Schlachtensee di Berlino consistette in un piatto di spaghetti burro e parmigiano, in compagnia di Marco di Bolzano, Simone di Genova e Anna di Venezia.
La globalizzazione poteva attendere!

Continua...

Erasmus (2.Wilkommen in Berlin)
"Domani nella battaglia pensa a me" di Marias Javier, edizioni Einaudi.

Madrid.
Il protagonista, Victor, cena a casa di una donna, Marta, che conosce appena.
Lei ha un marito, partito per un viaggio di lavoro a Londra, e un figlio piccolo, che con molta fatica viene messo a dormire.
L'uomo e la donna finiscono sul letto a baciarsi, sembra il classico inizio di una notte "mordi e fuggi", ma l'imponderabile accade: improvvisamente Marta avverte un malore e nel giro di pochi minuti muore.

Victor non riesce a superare questa notte fatale, si informa, indaga, il mistero di una vita che non conosce e di una morte di cui è stato l'unico testimone lo affascina e imprigiona, ne è "haunted", come ama ripetere l'autore.

Un libro molto particolare, che inizialmente intriga, ma dove più che l'azione prevalgono la parola e il pensiero.
Sicuramente un'opera "lenta", ma di una lentezza voluta e studiata.

Marias pare innamorato della propria scrittura e del proprio stile.
Un critico, non ne ricordo il nome (mi informerò), definì Lawrence ("L'amante di Lady Chatterley") uno degli autori più intelligenti del proprio tempo, tanto consapevole di questa sua dote, da cercare di farla emergere ad ogni riga, finendo con l'essere noioso.
Sposo completamente questo giudizio, ma per applicarlo allo scrittore spagnolo.

Il libro è da leggere, ma preparatevi ad amarlo e odiarlo alternativamente.
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