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Una serata può cominciare in vari modi.
La mia cercando un posto auto per la bellezza di 60 minuti.
Provo vicino al locale (Cafè des Arts, in via Principe Amedeo 33), provo lontano dal locale, provo persino a lanciare l'auto oltre il parapetto del ponte, e lasciarla adagiare in un trionfo di bolle sul fondo del Po. Le provo tutte.
Alla fine trovo parcheggio in una sciccosissima e remota zona prima della collina.
Ma perché così tante difficoltà?
E' semplice. 
A Torino le temperature sono primaverili tendenti all'estivo, e ciò fa sì che una quantità abnorme di varia umanità lasci le proprie tane per riversarsi in centro.
Ne hanno diritto, i maledetti, ne hanno diritto!
Li odio, loro e le loro ingombranti auto!

Sono così in ritardo che arrivo a spettacolo appena cominciato, mi faccio largo sgraziatamente, prendo posto e ordino a me stessa di godermi la serata. Anche se ho l'umore gioioso di un cane idrofobo, e sono ben disposta verso il prossimo quanto Jack lo Squartatore.

Natalia, che per l'occasione sfoggia un caschetto rosso assassino, si tiene su con il Paracetamolo. Lothar presenta con un piede sul palco e l'altro nel bagno. Uno degli artisti in gara dà forfait per problemi di salute.
Insomma, se la settimana scorsa ero io l'anello debole, questo sabato è un'ecatombe, un lazzaretto, una strage di Facce sotto, davanti e dietro il Palco.
L'unico motivo di vera giuoia è rappresentato dalla nascita della piccola Anna, figlia di una delle organizzatrici. Narra la leggenda che la bimba, nata da meno di una settimana, sappia già ballare il tip tap, cantare come un usignolo, e recitare Shakespeare a memoria. Un posto nella competizione del prossimo anno non glielo toglie nessuno!

L'onore e l'onere di aprire la serata tocca a Cristina Castigliola e Paui Galli. Anzi solo a Cristina.
Sale sul palco e comincia una divertente conferenza sul bisogno di tempo libero. Sulla necessità di lavorare di meno, rinunciare al superfluo, e dedicarsi al piacere delle vacanze, della coltivazione dell'io, o del dolce far niente.
Ecco, io sarei anche d'accordo, il problema è che se lavorassi di meno non dovrei rinunciare solo al superfluo ma pure al necessario, tipo il telefono, l'energia elettrica, il cibo. Quelle robette là, insomma.
Mentre mi distraggo con questi pensieri poveri-filosofici-esistenziali, dal fondo della sala prende la parola, timida e impacciata, una delle spettatrici. Dice di voler fare delle domande. Tra il pubblico scorre quel tipico imbarazzo da "ma chi è sta pazza?". Nel vociferare collettivo si colgono "Ma non è una conferenza vera, qualcuno glielo spieghi", "Che imbarazzo, mi vergogno per lei", e via dicendo.
Ci casco anch'io per un attimo ma poi, improvvisamente, ricordo: dovevano essere un duo. Quella non è una pazza. Quella è Paui.
Raggiunge la compagna sul palco, vestendo i panni della donna qualunque che si lamenta della propria vita faticosa e senza soddisfazioni. Lo fa muovendosi e parlando in maniera assolutamente credibile. I suoi registri sono completamente diversi da quelli usati dalla collega. 
L'inganno, la magia, l'effetto sorpresa riescono perfettamente.
A poco a poco tutto il pubblico, comunque, mangia la foglia. Perversamente contento di esserci cascato, anche solo per qualche minuto.
Il pezzo fa riflettere, anche se i temi paiono ormai in parte superati dalla crisi contingente. Ma fa soprattutto ridere. Coinvolge e sorprende.
Un ottimo lavoro, gradito sia dal pubblico sia dalla giuria.
Brave!

Poi tocca alla bellezza, la femminilità e la sensualità.
No, non siamo Natalia ed io che abbiamo deciso di scendere in competizione. Anche perché non ce ne sarebbe per nessuno, e ci dispiacerebbe mettere in difficoltà gli altri artisti.
Ma sono le ballerine del duo Versus, che ci trasportano in terre lontane con la loro danza del ventre.
Voi avete mai provato questa disciplina? Io sì, una volta. Mooolti anni fa. Ho fatto solo una lezione di prova, presentandomi spocchiosa con i miei 50 kg bagnati e gli addominali scolpiti. Risultato? Un manico di scopa fatto e finito! La negazione della sensualità, della femminilità, del doppio cromosoma X.
Da quella volta molta acqua è passata sotto i ponti, i miei addominali sono scomparsi, e i 50 kg ora godono di ulteriore compagnia. Certe cose, però, non cambiano mai e infatti la mia elasticità bacino articolare, a tutt'oggi, non si è ancora palesata. 
Molto tempo è passato, dicevo. Io non sono un soggetto invidioso. E posso godere dell'esibizione delle ballerine con la giusta obiettività. 
Sono brave, ammiccanti ed eleganti. Sono magnetiche e coinvolgenti. Nonostante un piccolo problema tecnico, mantengono sempre l'attenzione del pubblico che, esperto o meno, le apprezza e applaude convinto.

La competizione di stasera viene chiusa da un altro duo: Gilet & Salopet con il loro "pomeriggio di ordinaria follia".
Giovanissimi e bravissimi. Giocano con le parole, i suoni e gli oggetti. Giocano con i luoghi comuni portati fino all'eccesso e al delirio. 
Mangiano pennette al retrogusto di rimpianto. Scotte, fredde, in bianco, senza olio, e di due giorni prima. Ricordandomi, tra l'altro, i miei cari amici tedeschi e le loro follie gastronomiche. 
Danno vita a una conversazione tra caffetteria fedifraga e tazzina un poco zoccola. Ricordandomi, tra l'altro, qualche mio conoscente.
Cantano nella vecchia fattoria. Non ricordandomi niente in particolare, ma continuando a farmi ridere. E con me, tutta la sala.
Applausi e complimenti della giuria.
Hanno 22 anni. Tutto il pezzo è stato scritto da loro. Chissà cosa riusciranno a fare in futuro.
Intanto, per non sbagliare, tanta tantissima merda da Radio Cole.

Le esibizioni sono finite. Si parte con la votazione. 
Francesca, organizzatrice e giurata, intrattiene il pubblico leggendo una serie di sciocchezze tra lo scherzoso e il poetico.
"Ma chi potrà mai aver scritto tutte queste fesserie?" mi chiedo.
"Io" mi rispondo.
E anche per stasera l'angolo blogger ce lo siamo tolto di mezzo.

Pochi minuti e si raggiunge il verdetto. Passano Cristina Castigliola e Paui Galli con il loro "Del piacere e del bisogno del tempo libero- Conferenza spettacolo-" ovvero "Scherzo in un atto sul tema del tempo libero - tempo lavorativo".
E io le immortalo nella cucina-camerino perché sono una controversa artista dell'obiettivo.


L'ultima serata eliminatoria è prevista giovedì al Bazura, via Belfiore 1.
Accorrete numerosi!
99% dei voti.
Nasco oggi.
Sono la Repubblica Islamica dell'Iran.
(1979)
Sono anni che desidero imparare il francese.
Uno di quei sogni piccoli piccoli che hanno solo bisogno di tempo e buona volontà per essere realizzati.
Uno di quei sogni che si tengono chiusi nel cassetto "Non mi cambierebbe la vita ma mi piacerebbe tanto".
Quello incastrato tra gli ingombranti fratelli "Lo desidero da sempre" e "Sarebbe troppo bello per essere vero".

Lo scorso settembre ho dato una pulita alla vecchia cassettiera che mi porto dietro da sempre. Quella che inizia a prendere forma quando si è ancora bambini, cresce con l'adolescenza, ma poi invecchia e si riempie di ragnatele nell'età adulta. Ci si distrae un attimo e le tarme ne fanno scempio. Ci si distrae un attimo e sogni e desideri cominciano a puzzare di chiuso e stantio.

Ho tolto la polvere con un panno umido, poi ho lucidato la superficie con una vecchia pezza di lana morbida. Ho fatto un passo indietro, strizzato gli occhi, ed osservato il risultato finale con la giusta attenzione.
Uno splendore.
Vissuta ma non vecchia. Carica di possibilità. Con i cassetti semiaperti a prendere aria e regalare ispirazione.

E' stato durante questa mia osservazione che il vano meno magico e lucente ha attirato la mia attenzione. 
Mi sono avvicinata e l'ho spalancato.
Tra i tanti piccoli desideri realizzabili, il francese si è presentato per primo. Sfacciato e orgoglioso, con la schiena dritta, lo sguardo altero, e una femminilità tutta speciale dal nasino all'insù e i fianchi da donna.

E così, mossa da antico desiderio e  nuovo entusiasmo, mi sono iscritta a un corso.
Lingua francese-livello elementare.
Da quel momento è finita la poesia e cominciato l'incubo.

Voi parlate francese?
Io no e non credo che lo parlerò mai.
Ciò che mi ha sempre attirato di questa lingua era il suono elegante e musicale.
Bene, ora che la studio posso dire con orgoglio di non azzeccare un accento che sia uno.
Il francese tra denti e palato non mi scivola come la seta, ma s'incastra come lana infeltrita.
Mentre mi adopero disperatamente per sembrare Sophie Marceau, suono immancabilmente come la signorina Rottermeier.
Ebbene sì, parlo francese con un accento vagamente tedesco.
I miei neuroni si ribellano al cambiamento e si attaccano tenacemente alle antiche conoscenze e così, quando la parlata non è teutonica, tutt'al più è britannica. Ma mai mai e poi mai parigina.

E non è che l'accento sia l'unico dei miei problemi. Magari!
Ci sono i numeri.
Avete presente i numeri in francese?
Fino a 60 si scivola via tranquilli, poi comincia la follia.
70? Sessantadieci.
71? Sessantadieci-uno? No! Sessantaundici.
72? Sessantadieci-due? Ma allora siete di coccio!? Sessantadodici.
80? Sessantaventi? Vi piacerebbe! Quattroventi.
90? Non ci provate neanche, eh? Ve lo dico io. Quattroventidieci.
In un crescendo di delirio e insensatezza.

E le eccezioni?
Non esiste una regola grammaticale che non porti con sé un milione di eccezioni. Verbi, plurali, aggettivi. Ce n'è per tutti i gusti e per tutti gli incubi. Da imparare facendo esclusivo affidamento alla memoria e rinunciando alla logica.

Ok, non fate quella faccia lì, non c'è bisogno che lo diciate voi, lo so già da me.
La grammatica francese è difficile, ma del resto lo è anche quella del mio amato tedesco o, semplicemente, quella dell'italiano.
Il problema non è l'affascinate idioma d'oltralpe. Il problema sono io.
Io che non ho tempo di studiare. Io che non ho orecchio. Io che mi abbatto di fronte alle prime difficoltà.

Ma non temete.
Mi lamento ma non mollo.
Ci vorrà del tempo, ci vorrà impegno, ci vorrà pazienza.
Ma un giorno ce la farò.
Sarò poco musicale, sarò sgraziata, sarò un florilegio di sgrammaticature.
Ma supererò l'imbarazzo e comincerò a parlare francese.

Lo farò.
Parbleu!
Assumo la reggenza del mio principato. Sono Alberto II di Monaco.
(2005)
Per 40 milioni di dollari i Girasoli sono miei.
(1987)
 Finisce il processo. Mi condannano per l'attentato al Papa. Sono Alì Agca.
(1986)
"And the winner is: Rocky!"

(1977)
Sono Silvio Berlusconi.
Ho vinto.
(1994)
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