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E' giovedì.
E giovedì è il giorno del mio corso di francese.
Tutti i sacrosanti giovedì: tre ore di erre moscia e inadeguatezza linguistica.
Tutti i sacrosanti giovedì tranne quando c'è Facce da Palco.

In quel caso le ore a studiare l'idioma d'oltralpe si dimezzano e io scappo a metà lezione.
Spicco il volo dalla classe con un leggiadro "au revoir" e la coscienza leggera. Perché quando si è adulti non si "taglia" la scuola di nascosto. Certi proibiti piaceri ci vengono tolti. Ma è necessario trovare un'adeguata giustificazione alla defezione. Un'adeguata giustificazione con noi stessi, per non farci pesare i soldi inutilmente spesi o la mancanza di adempimento all'impegno.

Per me Facce da Palco è la giustificazione perfetta.
Facce da Palco è la soluzione.
Facce da Palco è.

Questo, però, non è e non sarà un giovedì qualunque.
Lo capisco da subito.
Infatti, sorprendentemente, scappare dal corso di francese quasi mi dispiace.
Per una volta ho fatto tutti i compiti. Per una volta riesco a rispondere alle domande. Per una volta magicamente mi trasformo da inetta senza speranza a molesta saccente prima della classe.  
Non so come ciò sia avvenuto, e sono certa che dal prossimo giovedì l'incanto svanirà e io tornerò a balbettare parole senza senso e verbi coniugati a caso, ma per questo motivo quasi mi dispiace lasciare la classe e dirigermi verso il Bazura.
Quasi.

Arrivo al circolo e sono già tutti lì: artisti, presentatori, fotografi, tecnici, e giuria.
Prendo il mio posto e scopro dopo un secondo che tra i giurati è presente un responsabile del Fringe Festival. Io, improvvisamente arsa dal fuoco dell'ambizione cieca, esordisco con un "avete bisogno di una blogger?". E nei successivi 5 minuti ammorbo l'incolpevole con una mia vergognosa autopromozione.
Risultato? Il suo sguardo terrorizzato mi dà tre certezze: non farò mai la blogger per il Fringe, impediranno la mia partecipazione a tutti gli eventi, e ho assolutamente bisogno di un esorcista. Uno bravo.

Riprendo faticosamente il controllo di me stessa, giusto in tempo per godere dell'inizio dello spettacolo.
Natalia, Lothar e Dragosh (l'ardimentoso Boy superstite) ci danno una dimostrazione di sofisticato teatro di ricerca. 
Meravigliosi.
Natalia splende come la santa omonima protettrice di Bulgrazia, e di tutte le donne esperte nel dare indicazioni stradali.
Lothar, muto ma dallo sguardo inequivocabile, s'interroga e c'interroga circa il senso della vita, della morte, e della sua impossibilità odierna di azzeccare un nome che sia uno. 
Ma a primeggiare questa volta è Dragosh. Il giovine virgulto, uscito dal proprio bozzolo, pettina un topo morto una parrucca con impeto, passione, e lucida follia. 
Le citazioni d'ispirazione milanese le possiamo capire in pochi. Ma quelli di noi che le capiscono ridono fino alle lacrime.
Bravo! Bravi! Bis!

Come si fa a mantenere un livello simile?
Impossibile!

O forse no.
Ci prova Cecilia D'Amico da Roma. E ci riesce.
Giovane e minuta, Cecilia riempie il palco. Le bastano pochi secondi per calamitare l'attenzione di tutti con i suoi personaggi e le sue trasformazioni.
Sceglie argomenti forse poco originali: gli uomini e le relazioni ai tempi del web. Ma li mette in scena in modo accattivante, dimostrando fantasia e una forte personalità. 
Sono venti minuti di risate. E venti minuti non sono pochi, affatto.
Alla fine della sua esibizione siamo tutti soddisfatti: pubblico, giuria, blogger.
Brava.

Dopo Roma si torna a Torino.
Scende in campo la comicità surreale di Paolo Avataneo.
Interpreta vari personaggi tutti assieme. Fa le domande e si dà le risposte. Propone sketch folli e, non contento, li arricchisce anche con finali alternativi e ancora più folli.
Che sia surreale è sicuro. Comico non è detto.
Più che ilarità tra il pubblico si percepisce un generale imbarazzo.
Rimaniamo tutti spiazzati. Anche la giuria.
La domanda inespressa della serata è: lui e un genio e noi non abbiamo capito niente oppure...? 

A riportare ordine e leggerezza ci pensano le Deloreansisters. 
Un quartetto di ragazze dedite all'improvvisazione teatrale, il burlesque e il canto. Tanta roba tutta assieme. 
Il numero forse deve essere ancora limato e perfezionato, ma ci sono ottimi margini di miglioramento e crescita. 
Le sorelle ci regalano divertimento, fascino e belle voci. Ne sentivamo proprio il bisogno, grazie!

Infine tocca a Stefania Lapertosa e Luciana Nigro con “Mariè. L’oscura era della ragione”. Un'opera concettuale al cui centro si trova il dolore della protagonista, rinchiusa in un mondo di fobie, allucinazioni e buio interiore.
Sono lontanissima da questo tipo di teatro. E molto ignorante al riguardo. Ma l'angoscia che viene rappresentata mi colpisce come un treno. 
Il pubblico si divide, mentre la giuria dimostra tutto il suo apprezzamento.

Si passa alle votazioni.

Giovedì, questo giovedì è il giorno dei colpi di scena: io parlo francese e si verifica ciò che a facce da Palco non si era mai verificato. 
Un parimerito!
Passano in semifinale: Cecilia D'Amico, Stefania Lapertosa e Luciana Nigro.

Tutto può succedere in questo talent.
Tutto succede in questo talent.

Da sabato (al Cafè Des Arts) inizia la fase finale.
Quando il gioco si fa duro...
Ritrovano i resti del mio aereo al largo della Corsica.
Venni abbattuto il 31 luglio del 44. Sono e sarò per sempre il padre del Piccolo Principe.
 
(2004)
La terra trema. Ancora.
Ma questa volta è diverso. Non smette.

Sono ancora viva qua sotto. Venitemi a prendere.

(2009)
Muoio oggi.
Mi ritroveranno fra tre giorni.

I nedeed some help to help myself.

(1994)
"Ieri sera al cinema. Solo film di guerra. Uno ottimo di una nave piena di rifugiati bombardata da qualche parte nel Mediterraneo. Il pubblico molto divertito dalla scena di un grassone grande e grosso che cercava di sfuggire a un elicottero che lo inseguiva. Lo si vedeva prima sguazzare nell'acqua come un delfino, poi attraverso i congegni di mira dell'elicottero, dopodiché era pieno di buchi e il mare attorno a lui diventava rosa ed egli affondava all'improvviso come se i buchi avessero fatto entrare l'acqua. Il pubblico dette in grosse risate quando l'uomo affondò."
(1984)
Ho sempre amato i giocattoli nuovi. 
Alla fiera di San Francisco rimango incantato di fronte all'Osborne 1, il primo computer portatile in commercio.
(1981)
Era giunta finalmente la primavera.
Il sole illuminava la città dal centro di un perfetto cielo color carta da zucchero.
Il Professore avanzava lungo il marciapiede, portando con sé solo un sorriso aperto da un orecchio all'altro. Procedeva a passo tanto spedito, che le falde del lungo impermeabile faticavano a coprire gli ossuti polpacci.
Ossuti, ignudi, pallidi e glabri.

Il freddo era passato e il Professore poteva finalmente tornare a passeggiare per parchi, giardini e vicoli.
Passeggiare sotto il sole.
Compito ed elegante dal collo alla cintola.
Nudo come un pupo dalla cintola in giù.

Il più innocuo ed educato tra i maniaci di quartiere.
Un vecchio docente universitario, senza cattedra e senza pensione. Travolto, ma mai domo, dallo scandalo del suo vizietto.

Un cravattino rosso, una giacca grigia, e una camicia candida dal collo perfettamente inamidato.
Un gentile pericolo per vecchie e donne in odor di santità.

Lo conoscevano tutte da anni. Lui, col tempo, si era costituito una sorta di affezionata clientela.
Arrivava, aspettava che la vittima alzasse lo sguardo, e poi ZAC apriva l'impermeabile. Con grande soddisfazione di entrambe le parti.

"Buongiorno caro, mi fa piacere vedervi in forma" gli diceva la vedova Torroni. Nobile decaduta che trascorreva tutto il tempo a dar da mangiare ai piccioni del parco.
"Professore, che sorpresa! Ma è già primavera?" chiedeva la tata Clizia. Stagionata baffuta che aveva cresciuto tre generazioni di commendatori in casa Piperlo.
"Oh cielo, ma sapete che ho pensato proprio a voi stamane, quando al mio risveglio ho trovato una così bella giornata?" arrossiva gioiosa la signorina Pesce. Figlia mai maritata e soddisfatta del compianto Generale.

Tutte lo aspettavano. Tutte.
Ad ogni primavera occupavano i posti migliori tra panchine e fermate d'autobus e là, in devota attesa, sgranavano il rosario delle voglie passate.

Il Professore rendeva loro un servizio. Regalava loro un brivido. Celebrava con la sua degna mascolinità una mai spenta femminilità. Ma sempre con eleganza e galanteria.
Impossibile trovar volgarità tra il Professore e le sue Signore.
Gente d'altri tempi. Quando le porcherie si facevano per sincera vocazione e non noiosa provocazione.

Fine.
Occupiamo l'islas Malvinas.
Comincia la guerra.
(1982)
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