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Oggi vorrei raccontarvi del momento in cui la danza classica entrò nella mia vita.

Questa scintilla, questo pizzicore, questa necessità improvvisa di parlare di un così specifico momento è nata dalla visione di un video delizioso, disponibile a questo link.
Un video in cui si documenta un pomeriggio speciale, durante il quale dei leggiadri ballerini dell'English Youth Ballet hanno abbandonato per poche ore le tavole del palcoscenico, e portato la propria arte in un ospedale pediatrico. Un'idea meravigliosa che ha sbalordito e incantato i piccoli pazienti. Ci sono stati occhi spalancati e timide imitazioni. Una bambina con un cerchietto rosa tra i lunghi capelli scuri ha sollevato le braccia in una quinta posizione. Ed è stato a questo punto che io mi sono commossa, che ho ricordato quel pomeriggio di tanti, tantissimi anni fa.

Avevo otto anni ed ero in vacanza in Sicilia. Avevo trascorso una notte insonne, vittima di uno spregiudicato mix di pizza e gelato. Sostavo, fiacca e verdognola, su una sedia in terrazzo.
Non era una bella giornata. Niente sole e una nausea che non mi faceva avvicinare neanche al pane secco.

"Vado a fare un giro in paese, vuoi qualcosa?" mi chiese mio padre.
"Un giornaletto" gli risposi io.
Tornò poco tempo dopo con il Corriere dei Piccoli o forse qualcos'altro. In realtà non me lo ricordo.
Ciò che ricordo chiaramente è che, tra le varie storie a fumetti, era presente anche quella di una ragazzina che studiava danza.
Aveva occhi grandi, gambe lunghe, e sottili capelli biondi. Era bellissima. La storia raccontata non mi colpii più di tanto ma quelle immagini mi stregarono. Mai avevo visto qualcosa di più elegante. La danzatrice era immobile sulla carta ma nella mia testa si muoveva leggera e forte. Fluida e sicura. Era musica ed era poesia.

Dimenticai la nausea, riacquistai il colore, e cominciai ad imitare quei fantastici disegni.
In punta di piedi, con il collo teso e la schiena dritta, mi muovevo per tutto il terrazzo.  Ero felice. Ricordo che mi sentivo felice. La felicità della scoperta e della bellezza. La stessa felicità che mi riempie il cuore ancora adesso quando incontro l'arte e il talento.

Ballai senza musica a lungo, poi corsi dai miei genitori:
"Quando torniamo a Torino posso fare danza classica?" chiesi in un sol fiato.
"No" mi ripose mia madre.
"E perché?"
"Perché finiresti per fare come tua sorella, che inizia una cosa ma poi l'abbandona. Sempre la stessa storia: tennis, pallavolo, pallacanestro. No, non se e parla proprio!"
Quella risposta mi suonò allora e mi suona ancora come un'epica fesseria.
Piansi. Ma i miei genitori furono irremovibili.

Fino a quando, un paio di mesi dopo, la mia maestra dell'elementari mi fece un magnifico inconsapevole regalo:
"Jane è una bambina molto intelligente, giudiziosa e ben voluta da tutti i suoi compagni, ma..."
"Ma cosa?" chiese mia madre allarmata.
"Ma dovrebbe fare più movimento, qualche sport. E' così rigida e gracilina."

Quella sera stessa a tavola mi chiesero: "Vuoi ancora fare danza classica?"
Ricordo lo stupore a la gioia di quel momento.
Ricordo il body blu elettrico, le scarpette bianche, e la piccola palestra con gli specchi.
Ricordo il tutù che mi veniva largo, i miei genitori seduti tra il pubblico, e i fiori che mi regalò mia zia alla fine del primo saggio.

Non ero un gran talento ma mi piaceva ballare e, a detta dell'insegnante, avevo dalla mia una certa eleganza e un ottimo senso del ritmo.

Purtroppo però quest'avventura nel mondo del balletto durò solo due miseri anni, di cui il secondo trascorso vittima del bullismo di un gruppo di ragazzine più grandi. Un gruppo di giovenche incapaci che passavano il tempo a prendere pesantemente in giro noi più piccole. Io mi difesi con le armi che possedevo: una gran testa dura e una lingua tagliente. L'anno dopo però mi arresi, ormai la danza non mi piaceva più, andare a lezione non era più divertente, era una guerra che mi ero scocciata di combattere. E così lasciai le scarpette e scelsi la pallavolo. Sport in cui, per la cronaca, sono sempre stata e sarò sempre una pippa clamorosa.

Non sarei mai diventata una danzatrice, non ho mai avuto neanche un quarto del talento necessario, ma rimpiango comunque l'interruzione così precoce del mio viaggio nella danza classica. Un'arte che ancora adesso mi affascina e commuove, la perfetta sintesi tra forza e leggerezza, anima e corpo.

Se volete vedere le divinità che scendono dall'Olimpo andate a vedere il balletto.
Certi bei momenti meritano di essere fermati per sempre. Sulla carta o sulla tastiera.
Dalla bacheca di facebook al blog.

"Mi è scaduta la carta postepay. Per il rinnovo devo fare la fila agli sportelli o posso chiedere a te, solerte amico del banco informazioni?"
"Nessuna fila: ci penso io!"
"Grazie"
"Figurati, noi della posta amiamo venire incontro alle esigenze dei nostri clienti"
"Che meraviglia!"
"Vuoi rinnovare questa postepay basic-puzzona o passare alla fantastica postepay figa-evolution?"
"E quale differenza ci sarebbe?"
"Un piccolo canone annuale in cambio di fantastici servizi cazzi-e-mazzi"
"Interessante, ma io di questi fantastici servizi cazzi-e-mazzi non saprei proprio che farmene. Credo che rinnoverò semplicemente la postepay basic-puzzona"
"Va bene. Biglietto e fila allo sportello. Il prossimo! "
Oggi, contro ogni mia consolidata abitudine, sto sul pezzo.
Birdman ha appena trionfato alla notte degli Oscar. Ed io, che ne sono rimasta folgorata, voglio celebrarlo con un post.

Birdman è un capolavoro. L'espressione di una perfezione che non è esibizione di fredda tecnica, ma dimostrazione di talento e conoscenza del mestiere. Perché ogni arte, checché ne dicano i pigri romantici convinti che basti il sacro fuoco, cresce e si esprime al meglio solo partendo dal lavoro, dallo studio, e dalla fatica.

Birdman è la celebrazione del cinema. Che è altra cosa rispetto al teatro ma, come nel caso di questo film, lo può rappresentare, svelarne i retroscena, raccontarne l'essenza.
Il cinema è immagine. E con il suo spettacolare piano sequenza, il regista Alejandro González Iñárritu, crea una gioia per gli occhi, una meraviglia, un viaggio dentro lo schermo molto più efficace di qualsiasi 3D.
Il cinema è parola. E tutto il cast dà corpo ed anima a dialoghi che corrono con lo stesso ritmo della cinepresa.
Il cinema in questo caso è anche danza. Perché gli attori, con i loro movimenti, tessono un racconto fatto di spazi, corse, passi, linee e ritmo.

Il cinema è fonte inesauribile d'istanti memorabili.
Il treno che ti viene addosso, il vagabondo seduto accanto al bambino, il pazzo che parla allo specchio.
Birdman non ha un'immagine unica così forte, non potrebbe, non è nella sua natura. Ne ha una sequenza, tra palco, quinte, camerini, corridoi, bar e strade.

Birdman è una dichiarazione d'amore al cinema, al teatro, e al mestiere dell'attore. Con le sue ricchezze ma le tante miserie. Con un Michael Keaton che corre in mutande per le strade di Broadway. Nudo e ridicolo. Inseguito e deriso. Tra la folla e il pubblico.
Fino all'ultimo applauso.
Fino all'ultimo ciak.


Domani torno sul luogo del delitto. Torno davanti alla webcam che mi fa sembrare un gioioso cucciolo d'ippopotamo. Torno in radio. Radio Nuclear.

Domani parteciperò alla trasmissione di due amici: Villata e Tavella. Che è un po' come dire Batman e Robin, Ian Solo e Chewbecca, Birba e Gargamella. Ma non chiedetemi chi sia chi.
Posso solo dirvi che io, per un pomeriggio, sarò Batgirl, la principessa Leila, Puffetta. O, più realisticamente, sarò solo sobria come Joker, slanciata come un Ewok, e gradevole come Quattrocchi.

Non so cosa faremo, non so cosa farò, non so cosa faranno. L'unica certezza è che verrà messa in onda la mia playlist: dodici canzoni dance che spaziano dagli anni '70 ai giorni nostri.
Com'è nel mio stile di "Regina dell'Ansia da Prestazione", appena mi è stato chiesto di fare questa scaletta musicale, mi sono messa al lavoro manco ne dipendesse la pace nel mondo, la scomparsa della disoccupazione in Italia, o la scoperta del balsamo perfetto per i miei capelli. Ho ascoltato, ballato e selezionato come se non ci fosse un domani.

Ma un domani ci sarà. E, quindi, domani alle 14 collegatevi, guardate ed ascoltate!
Potrete godere della bellezza sfolgorante degli amichetti miei, sbertucciare i miei infruttuosi tentativi di non sembrare grassa e, soprattutto, sentire tanta buona musica.

Non mi credete? Si comincerà così:



E voi cosa avreste scelto al posto mio?
Potete spaziare. Uno o più titoli della musica dance, da quando è nata all'altro ieri. Ditemi, commentate, sculettate! Oggi si fa festa e domani di più!
Ve la faccio breve.
Avete presente quelle serate in cui il mondo ce l'ha con voi e voi ce l'avete col mondo? Quelle serate in cui chi vi dovrebbe volere bene mette in pratica tutto il proprio peggior repertorio per farvi sentire una cacca? Quelle serate in cui vorreste solo chiudervi in casa, staccare il telefono, e nascondervi sotto il piumone fino a data da destinarsi? Quelle serate in cui vi credete figa e poi scoprite di avere il rossetto sui denti?
Avete presente?
No?
Beati voi.

Io sì, c'ho presente, c'ho presente chiarissimamente.
Giovedì scorso è stata proprio una serata così.
Ma invece di tumularmi sotto il piumone, ho deciso che sarebbe stato meglio ridere. No, non una risata isterica da pazza. Proprio una risata vera. Più d'una possibilmente.

E per questo motivo, una settimana fa, carica dello spirito machisenefotteneanchequestomiabbatterà, sono andata a godere della seconda data live di Kotiomkin.

Uno spettacolo dove qualcuno ha fatto molto ridere, qualcuno ridere, e qualcuno insomma.
Dove la parte tecnica ha funzionato, i presentatori hanno dimostrato scioltezza, e i disturbatori hanno disturbato secondo uno schema divertente e riuscito.
Dove i battutari online si sono scatenati sulle attualissime 50 sfumature di grigio.
Dove gli Anonymous hanno presentato un commovente prediciottesimo, Morandazzo ha illuminato la platea con le sue cinematografiche perle di saggezza, e i Civatians hanno raccontato i drammi di una vita indecisa... o forse sì?... o forse no?

Il Kotiomkin live è una formula che funziona. A cavallo tra rete e palco, professionisti e amatori, cabaret e satira. Uno spettacolo che le diverse teste matte della nota pagina facebook stanno portando in tutta Italia. Che io sappia almeno: Milano, Roma, Genova e Torino.
Ah, ovviamente, le serate torinesi sono le migliori. E che ve lo dico a fare?

Il prossimo appuntamento sotto la Mole sarà il 5 marzo alle 21:30, al Colors, in via Sacchi 63.

E, visto che oggi mi sento particolarmente generosa, segnalo per i miei lettori romani, il KotiomkinTevere, stasera, ore 21:30, al TAG (Tevere Art Gallery) in via Passera 25.
E per i milanesi, sempre stasera, il Kotiomkin live alle 22, presso La Strada in via Patellani 4.

Buon divertimento a tutti! Fate come me: uscite da sotto i piumoni e andate a ridere ridere ridere!...prima però controllate il rossetto.
Tempo fa ho comprato, letto, apprezzato, recensito un libro.

Poi ho fatto amicizia su facebook con l'autore. Incontrato il suddetto per caso lo scorso autunno. Chiestogli di tenermi informata sulle volte che avrebbe portato ciò che aveva scritto, nato come monologo, di nuovo davanti a un pubblico.

In seguito, ho avuto da fare tutte le volte che il comico/attore/scrittore gentilmente m'informava delle date, come da me precedentemente richiestogli. Sembrando, probabilmente, una di quelle persone che ti fanno dei complimenti, si raccomandano tanto, ma poi se ne fottono e spariscono. La simpatia, proprio.

Tutto ciò fino a ieri sera quando, complice un po' di fortuna e l'opera degli astri propizi, ho finalmente potuto assistere alla magia delle parole che lasciano la carta per ritrovare il proprio ambito naturale: il palco.

Un palco ben strano per la verità. L'angolo di una vineria. Tra un pianoforte, la porta del bagno e le ginocchia del pubblico assiepato. Una di quelle situazioni molto underground, dove può essere un trionfo o un disastro. Dove l'artista è diviso tra il fascino della sfida e il desiderio di tornare nella propria cameretta con il pigiama, i giornaletti e la spremuta d'arancia, come quando gli veniva la febbre da piccolo, saltava scuola e poi, una volta guarito, si scopriva più alto di qualche centimetro.

Sono abbastanza sicura che ieri Dario Benedetto abbia provato tutte queste cose, mentre usava i bagni come quinta e si preparava a fare il suo ingresso. Ingresso di fronte a un pubblico vario e caloroso, che contava tra le proprie fila anche una blogger seduta per terra, ed un cane che ha cercato più e più volte di limonarla. Lei, pur colpita dall'avvenenza del quadrupede e dal suo sguardo carico di passione, ha preferito comunque fare la ritrosa. Perché, si sa, è sempre meglio farsi desiderare un poco.

Il libro, Piglia un uovo che ti sbatto, mi era piaciuto molto, come già avevo scritto in questo vecchio post.  Mi autocito: "Un libro di divertimento e poesia. Che coinvolge e si fa leggere di corsa, pagina dopo pagina, immagine dopo immagine. Una seduta di psicanalisi pubblica, dove l'autore racconta tic, ossessioni, sogni e deliri. L'infanzia, le donne, e pure i gatti. Il tutto accompagnato da una virtuale colonna sonora."

Lo spettacolo dal vivo mi è piaciuto altrettanto.

Bravo Benedetto che è riuscito a calamitare rapidamente l'attenzione in un luogo non così favorevole, dimostrando talento e mestiere.
Bravo Benedetto che ha creduto nella sua creatura portandola in ogni dove fino a raccogliere successi anche inaspettati, tipo quello di una bionda che ti si avvicina e ti dice "Vuoi pubblicare un libro con me?" Che il giorno che un editore anche non biondo dovesse dire a me una cosa del genere, prima svengo e poi mi faccio un piantarello.
Bravo Benedetto perché è proprio bravo. Perché le passioni sono faticose, e senza lavoro, lucida follia, e patologica caparbietà non si va da nessuna parte. E lui, invece, continua ad andare e macinare km, metaforicamente e non.

Quindi, che sia per questo spettacolo o che sia per un altro, se sentite il nome di Dario Benedetto dalle vostre parti, vi consiglio di non lasciarvi sfuggire l'occasione.
Datemi retta. Vi ho mai deluso?
La bacheca di facebook scorre veloce ed inesorabile. Col passare del tempo non è affatto facile recuperare vecchi scritti e, ogni tanto, sento la necessità di mettere al sicuro alcuni post. Trascriverli sul blog, dove sono più protetti e facilmente rintracciabili.

Per questo motivo oggi fermo su Radio Cole un mio particolare microracconto. Un piano sequenza in parole. Una ripresa continuata senza stacchi. Una storia priva di punteggiatura. Un gioco. Una sciocchezza. Un esperimento.

Su facebook l'ho pubblicato senza alcuna spiegazione, mettendo in difficoltà qualcuno. Con voi, vecchi frequentatori del mio blog, mi sento di essere più benevola e svelare la chiave di lettura.
Ogni parola in grassetto è la fine della frase precedente e l'inizio della successiva.

Le foglie si lamentano sotto i piedi affondano ne la neve si scioglie tra i fili d'erba che si allungano come le giornate.

Il titolo? Un anno.
Metro

She's a weirdo.
She's young and dirty.
She insults people and puts her feet on the seat in front of her.

People look, whisper, move away.

He's a gentleman.
He's older and smells of cologne.
He smiles and nods.

The girl takes her feet off the seat. The man sits.
He sits and speaks. He speaks to her like a granpa.
"You shouldn't put your feet on the seat."
"Why not?"
"Because it's not very nice. You dirty the seat and other people can't use it."
She listens to him. She tries to justify herself. She tells sad pieces of her life, real or made up.

People look at them, listen to them.

The metro stops.

The gentleman stands up, "It was a pleasure," he says, shaking her hand.
"For me, too" she says, she smiles, she's like a happy child.

People look at them.
Other people's kindness is always so embarassing.

The end

E siamo a tre, tre racconti tradotti in inglese.
Anche quest'ultimo è nato per Humans Torino (qui la versione italiana) e anche quest'ultimo ha goduto dell'anglosaggiasupervisione di quella santa donna di Renée. Ella, madre di un adorabile pargolo, si starà ormai chiedendo se sia peggio cambiare pannolini o correggere racconti di amiche a cui non basta più parlare all'Italia, ma vogliono coinvolgere l'Europa, il Mondo, il Sistema Solare, la galassia.
Pancrazia, verso l'infinito e oltre!

Volare o cadere con stile? Inutili sottigliezze.
Prossimo obiettivo: scrivere un racconto direttamente in inglese.
Stay tuned!
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