Prima fu la televisione del dolore, dell'esibizione e dei ritorni dall'Argentina. Dalla Carrà alla De Filippi, passando per tutte le 50 sfumature del porno emotivo.
Poi arrivarono i social. E la televisione non fu più abbastanza.
Non siamo più, o almeno non siamo solo, spettatori dei sentimenti e sentimentalismi altrui, ma siamo diventati protagonisti. Non guardiamo più dal buco della serratura degli altri, ma apriamo le nostre stesse finestre affinché tutti sappiano.
Facebook ha ucciso il pudore.
No, non sto parlando delle scollature casualmente esibite. E neanche delle tartarughe appositamente definite. Parlo di quegli status in cui tutti, prima o poi, abbiamo urlato al mondo, vomitato in piazza, masturbato in bacheca il nostro amore, i nostri affetti, le nostre storie. Felici o meno che fossero.
Sì, ci siamo cascati o ci caschiamo tutti, prima o poi. Non assumete quell'aria di superiorità che non ci crede nessuno.
Certo, la distinzione tra gli esibizionisti patologici e quelli colti da un unico raro momento d'incoercibile condivisione spudorata esiste, eccome. Ma, nel caos del flusso continuo di una bacheca qualunque, ciò non ha importanza, l'impressione è che la gente non nasconda più nulla. O, meglio, non protegga più nulla.
Perché no, se non parlo dei fatti miei o, a maggior ragione, dei miei sentimenti non vuol dire che non ne abbia o che, orrore, me ne vergogni. Forse significa solo che desidero custodirli. Difenderli dagli sguardi e dalle parole altrui, dal giudizio di bocche affrettate, dalla curiosità superficiale dei molti. O semplicemente da tutto e da niente.
Perché le cose davvero care si conservano, si curano, non si esibiscono.
I bambini si stringono al petto. Gli amici si comprendono muti. Gli amori sono misteri insondabili agli occhi dei più, e tali dovrebbero rimanere.
Il pudore è delicato. La pornografia è volgare.
Ci caschiamo tutti. Ma qualcuno di più.
Poi arrivarono i social. E la televisione non fu più abbastanza.
Non siamo più, o almeno non siamo solo, spettatori dei sentimenti e sentimentalismi altrui, ma siamo diventati protagonisti. Non guardiamo più dal buco della serratura degli altri, ma apriamo le nostre stesse finestre affinché tutti sappiano.
Facebook ha ucciso il pudore.
No, non sto parlando delle scollature casualmente esibite. E neanche delle tartarughe appositamente definite. Parlo di quegli status in cui tutti, prima o poi, abbiamo urlato al mondo, vomitato in piazza, masturbato in bacheca il nostro amore, i nostri affetti, le nostre storie. Felici o meno che fossero.
Sì, ci siamo cascati o ci caschiamo tutti, prima o poi. Non assumete quell'aria di superiorità che non ci crede nessuno.
Certo, la distinzione tra gli esibizionisti patologici e quelli colti da un unico raro momento d'incoercibile condivisione spudorata esiste, eccome. Ma, nel caos del flusso continuo di una bacheca qualunque, ciò non ha importanza, l'impressione è che la gente non nasconda più nulla. O, meglio, non protegga più nulla.
Perché no, se non parlo dei fatti miei o, a maggior ragione, dei miei sentimenti non vuol dire che non ne abbia o che, orrore, me ne vergogni. Forse significa solo che desidero custodirli. Difenderli dagli sguardi e dalle parole altrui, dal giudizio di bocche affrettate, dalla curiosità superficiale dei molti. O semplicemente da tutto e da niente.
Perché le cose davvero care si conservano, si curano, non si esibiscono.
I bambini si stringono al petto. Gli amici si comprendono muti. Gli amori sono misteri insondabili agli occhi dei più, e tali dovrebbero rimanere.
Il pudore è delicato. La pornografia è volgare.
Ci caschiamo tutti. Ma qualcuno di più.