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La letteratura per l'infanzia è patrimonio dell'umanità. Pur cambiata ed edulcorata negli ultimi anni (perché altrimenti i bambini s'impressionano) rimane una forma d'arte, comunicazione e racconto d'incredibile potenza. Da piccolina mi sono nutrita di favole a colazione, pranzo e cena. Quelle classiche ma anche e, soprattutto, quelle meno conosciute da noi, provenienti dai quattro angoli del globo. Qualcuna tra queste non passerebbe la "censura" attuale forse, censura dei genitori mica degli editori, ma i miei, ringraziando il cielo, sono di un'altra generazione e non hanno mai temuto che fossi troppo impressionabile.

I bambini e i loro libri hanno sempre avuto una grande importanza e un grande spazio all'interno del Salone ed è per questo che ieri, dovendo scegliere un evento da seguire, non ho avuto dubbio alcuno: Abbracci di parole e figure. Una chiacchierata tra Eros Miari – esperto di libri per ragazzi e promozione della lettura – e Bernard Friot, intervallata dagli interventi di Huck Scarry e Chen Jiang Hong.

"Ai bambini sono mancati gli abbracci degli amici" inizia Miari. "Per questo motivo abbiamo invitato persone che abbracciano i bambini con le loro storie e con le loro illustrazioni".

L'autore francese Berbard Friot, se non ci fosse stata l'emergenza, in questi giorni sarebbe stato al Lingotto a leggere le poesie di Gianni Rodari. E, così, in diretta da Bordeaux recita

“Ho visto una formica
 in un giorno freddo e triste
donare alla cicala
metà delle sue provviste.
Tutto cambia:
le nuvole, le favole, le persone …
La formica si fa generosa …
È una rivoluzione.”

Parole del poeta romano che ben si sposano con la speranza di questi giorni, in cui la gente si abbraccia senza potersi abbracciare.

Tra gli ultimi libri di Friot pubblicati in Italia ci sono Storie di calzini e di altri oggetti chiacchieroni, edito da Il Castoro; Un anno di poesia, edito da Lapis; e Il fiore del signor Moggi edito da Fatatrac. L'ultimo, tra l'altro, è il primo libro che l'autore ha scritto direttamente in italiano. "Hai meno parole a disposizione quando scrivi in una lingua non tua" spiega Friot. "Quindi devi trovare il modo di dire il più possibile con meno. Una situazione che conosce anche il bambino. Una limitazione che aiuta a concentrare la narrazione".

Il primo ospite dell'evento è Huck Scarry, illustratore statunitense, unico figlio del famosissimo Richard McClure Scarry. E proprio in onore di cotanto padre, Huck regala al Salone 10 minuti di pura delizia con un tutorial per i bambini, in modo che imparino a costruire a casa, con pochi oggetti, un proprio Zigo-Zago personale. Impossibile non amare lui, il padre e il vermetto con il cappello da tirolese!

Infine, la scena la ruba l'affascinante autore cinese Chen Jiang Hong in diretta da Parigi, che parla direttamente ai bambini, mandandogli saluti, affetto, chiedendo loro di proteggersi e sopravvivere. Poi, dopo aver mostrato le sue splendide illustrazioni, legge un brano tratto dal suo libro Il Principe Tigre, edito da Babalibri. Una storia cupa e bellissima, che parla di dolore, vendetta e morte. Ma dopo il buio ci sarà sicuramente la luce. Una storia come quelle che leggevo io, insomma. E, infatti, alla fine ho gli occhi lucidi davanti allo schermo, e una gran voglia di comprarmi una copia del libro, e chi se ne frega se l'età consigliata è 5 anni!

Sono stati tutti splendidi interventi, artisti dalla capacità infinita e il cuore grande. Tutti distanti sono stati capaci, con gli adulti ma soprattutto con i bambini che seguivano in diretta, di creare un momento di unione e collettività. Anche questa volta mi tocca dire: grazie Salone!


Da torinese appassionata di lettura ho un rapporto antico e stretto con il Salone Internazionale del Libro. Al Salone ho consumato scarpe e prosciugato conti, al Salone ho fatto incontri e ascoltato voci. 

Quest'anno, per ovvie ragioni, il Salone non ci sarà, o meglio, non ci sarà nella sua forma classica. Il Lingotto viene sostituito dalla rete e le lunghe camminate tra i corridoi – colmi al tempo stesso di libri e aria viziata –  da video in diretta. Una magra consolazione ma anche un'opportunità. Io, tra l'altro, un Salone così l'ho già vissuto quando, qualche anno fa, una tendenite bastarda e recidivante (chi mi conosce se ne ricorda bene!) mi costrinse a casa, legata alla scrivania, ad abbeverarmi assetata alla fonte di qualsiasi materiale video messo a disposizione online all'epoca. Un'esperienza, per la cronaca, molto più piacevole, ricca e istruttiva di quanto avessi mai potuto preventivare. Ciò detto e ciò sperimentato, questo Salto Extra 2020 – questa la denominazione ufficiale – non mi spaventa affatto, anzi le mie aspettative sono alte e spero solo che non vengano deluse.

L'evento è stato aperto ieri dalla lectio magistralis dello storico Alessandro Barbero. Il Professore, da solo, al centro di un Museo del Cinema, evocativo come sempre e più di sempre, ha raccontato l'umanità attraverso le catastrofi, la capacità insita nell'uomo di risorgere dalle crisi e "di dare forma di opportunità alle conseguenze inaspettate che nei secoli si sono presentate".

"Durante il secondo secolo dopo Cristo, l'Impero Romano viene colpito dalla cosiddetta peste Antonina," spiega Barbero, "che peste non era ma, più probabilmente, una pandemia di morbillo o vaiolo". Dato l'elevato numero dei decessi, l'Impero stesso, per la prima volta, si rende conto dell’"importanza del capitale umano", non della vita umana in quanto tale – un concetto decisamente successivo – ma dell'utilità degli uomini in quanto preziosa manodopera. "Per ovviare al calo demografico vengono aperte le frontiere, si fanno entrare gli immigrati, i barbari desiderosi di integrarsi, ospitati in vere e proprie strutture di accoglienza. E, da quel momento, ciò diventa uno dei punti di forza dell’Impero".

"Risale al 1348, invece, la grande epidemia di peste in Europa, quella che racconta anche Boccaccio nel Decameron". Un'epidemia che colpisce una società ricca ma complessa e che, con un tasso di mortalità altissimo, falcidia la popolazione. "Nel 1361 la peste torna e poi ogni 10 e 15 anni, generazioni e generazioni vivono con la consapevolezza che entro pochi anni ci sarà un’epidemia". Ed è in quel periodo che s’inventano gli stessi meccanismi che stiamo utilizzando noi. Ogni caso di peste viene segnalato. Si chiudono le città, non si fanno attraccare le navi, i malati vengono chiusi in casa. Questi provvedimenti non guariscono dalla malattia, ovviamente, ma servono a limitarne la diffusione e a renderla meno devastante ogni volta che si ripresenta.
Per quanto riguarda le conseguenze inaspettate, la drastica diminuzione demografica rende i lavoratori una merce preziosa e i salari, per la prima volta, salgono. La povera gente ha finalmente qualche soldo in tasca e così "prosperano le città dove si è capito che bisogna produrre panni a buon mercato, perché c’è una moltitudine di persone semplici pronta a spendere".

Ma non sono solo le epidemie a stravolgere la società, ci pensano anche le guerre. Terribile fu il secondo conflitto mondiale e la perdita di vite umane che si portò dietro. Ma l'Italia seppe rinascere inaspettatamente dopo il doppio giogo di regime e guerra. A tal proposito, Gaetano Salvemini, esule dal 1925, dal delitto Matteotti. Dopo aver insegnato ad Harvard, una volta andato in pensione, torna in Italia nel 1949.  Esterrefatto e felice vede gli italiani al lavoro, "un formicaio più rapido a costruire di quanto siano stati gli altri a distruggere". Un paese destinato a riprendersi con una rapidità che nessuno avrebbe mai sospettato. Pronto per un futuro di benessere e progresso.

È questa, lo dice Barbero e lo dico pure io, la stessa speranza che tutti abbiamo in cuore per l'Italia e per il mondo di oggi, una volta che l'emergenza lascerà il posto a un nuovo inizio.

Il Salone Internazionale del Libro è tornato, signori e signore, e come sempre ha qualcosa da insegnarci.


Conoscete il gioco "Dixit"? No, è un bel gioco da tavolo. Il mio preferito. Ma non sono qui per parlarvi di Dixit e no, questo non è un post sponsorizzato. Magari!

La caratteristica principale di questo gioco sono le sue carte con le splendide illustrazioni di Marie Cardouat. Immagini evocative e ricche di particolari. Io ne ho scelte tre (il coniglio di fronte a tre porte, le formiche che combattono, l'uomo sulla panchina) e voi tra queste dovrete sceglierne una. Quest'ultima sarà l'illustrazione del vostro testo. Didascalica o metaforica, a voi deciderlo.

Avete quindi poco meno di due settimane per scrivere un testo – racconto, poesia, dialogo, ciò che più vi piace – che abbia come illustrazione una di queste tre. Lasciatevi andare alla fantasia, fingete che un'artista come la Cardouat abbia accettato di dare un'immagine alle vostre parole. Perché non sognare un po' per una volta?

Avete tempo fino al 17 maggio per spedirmi i vostri lavori che verranno pubblicati sul blog il 18. E qualche giorno dopo, come sempre, manderò un breve feedback ad ognuno di voi, con i lati positivi e quelli "un po' meno positivi" dei vostri testi.

Credo di avervi detto tutto ma, come sempre, per domande dubbi e perplessità contattatemi sul blog o sui social. Vi sarà risposto.

Tipo di testo: qualsiasi (racconto, poesia, flusso di coscienza, etc…).
Lunghezza testo: dai 100 ai 3600 caratteri, spazi inclusi.
Email: janecole@live.it.
Oggetto: laboratorio collettivo di scrittura.
Specificare nel testo dell’email se volete restare anonimi o meno, se volete essere taggati (su FB) o meno.
Scadenza per far pervenire il testo: domenica 17 maggio 2020, ore 12.

Volete leggere tutti Racconti nati da queste splendide illustrazioni? Li trovate qui.

Un discreto numero di partecipanti ed io, nelle due settimane precedenti, ci siamo dati da fare per raccontarvi la famiglia Larsen Lopez. Qualche personaggio è rimasto fuori ma molti hanno trovato un volto, un carattere, un contesto e, soprattutto una storia.


Partendo dalla capostipite Lola fino all'"acquisito" John Stuart, eccovi l'originale famigliola.

Per leggere i racconti in una bella cornice con tanto di foto, andate su ISSUU a questo indirizzo https://issuu.com/OttavoEsercizio.

Se invece vi piacciono le cose più spartane, leggete di seguito.


LOLA LARSEN 

Lola era seduta accanto alla finestra del soggiorno con uno dei suoi libri preferiti nelle mani, l’Amleto che aveva letto la prima volta a 30 anni, quando da poco aveva imparato a leggere; accanto ai piedi, appoggiata scompostamente sul pavimento, c’era una lettera aperta.

Aveva preso quel libro perché sperava riuscisse ad allontanare la mente da casa e a riportarla ad un periodo della sua vita che ricordava come essere dei migliori, ma non aveva funzionato. Ad un certo punto si era trovata infatti con lo sguardo perso fuori dalla finestra mentre ripensava a tutta la sua vita e al susseguirsi degli eventi.

Lola era nata il 1 gennaio del 1916, ad Oslo, ma una serie di vicissitudini famigliari l’avevano portata a vivere in Spagna dove aveva conosciuto Pedro.
I suoi ricordi migliori iniziavano in quel periodo anche se la loro non era stata una storia fatta di comodità e agio.

Lei e il suo compagno di una vita, infatti, erano andati via di casa in una notte d'inverno: aveva appena sedici anni e aspettava un bambino e il terrore della reazione dei genitori aveva spinto lei e Pedro a partire.
Pedro era più grande di lei, era un buon lavoratore e dirigendosi verso l'Italia avevano pensato che non avrebbero avuto molte difficoltà a sistemarsi.
In effetti fu così, Pedro trovò impiego presso un piccolo carpentiere e Laola poté occuparsi della figlia senza doversi preoccupare di lavorare. Non appena la figlia crebbe però, Lola iniziò a sentire il bisogno di cambiare e di fare qualcosa che le permettesse di avere la propria indipendenza, così cercò un piccolo impiego presso un ristorante dove fece la cameriera e decise che avrebbe frequentato le scuole dell’obbligo nonostante i suoi 30 anni. Scoprì di avere un talento particolare per le lingue e bruciando le tappe completò le scuole dell’obbligo, si laureò in lingue e inizio a tradurre piccoli testi per case editrici indipendenti. La sua seconda vita iniziò allora, e non fu priva di gioie e dolori, le soddisfazioni professionali si intrecciarono alla sofferenza per la morte di Pedro e della figlia, il primo in un banale incidente sul lavoro, la seconda, anni dopo durante una vacanza con amici: annegò trascinata via da una corrente improvvisa, mentre faceva il bagno in un punto poco sicuro del Po.
Nonostante tutto Lola continuò a vivere: leggere, tradurre testi in spagnolo, norvegese e inglese. Iniziò anche a viaggiare guardando il mondo col suo sguardo curioso e alla fine, quando l’età non le permise di viaggiare fisicamente, iniziò a scrivere romanzi d’avventura.
Nel tempo era riuscita a mantenere contatti solo parziali col resto della sua famiglia, sentiva periodicamente i nipoti, forse i soli che erano riusciti a comprendere davvero la sua scelta di non fermarsi mai.
Ma come fosse lo scherzo di un Destino beffardo, il quale aveva deciso che lei sarebbe dovuta essere l’ultima della sua famiglia a sopravvivere, uno dopo l’altro vide morire tutti i suo parenti: quelli prossimi e quelli meno.

Aveva compiuto da poco 104 anni, era tornata a vivere in Norvegia, laddove era nata, e sembrava la vita non la volesse lasciare, quando ricevette la lettera che le comunicava la morte dell’ultimo dei suoi nipoti: accolse la notizia quasi con rassegnazione, prese l’Amleto dallo scaffale , sperando riuscisse a riportarla a quando la sua vita scorreva via avvolta dagli impegni e dagli abbracci di Pedro e Costantia, ma infine si perdette dentro tutta la sua lunga vita e dentro tutti gli eventi che la avevano toccata, dalle due guerre, alle difficoltà economiche alla felicità, fino all’attuale pandemia, piombata sulla sua vita e su quella del mondo intero all’improvviso: alla fine stava pensando, “a me è andata bene, sono stata una donna fortunata”!

Annalisa Melas


PEDRO LOPEZ

Ogni mattina alla stessa ora l’uomo usciva per una passeggiata, e poi si fermava a sedere su una panchina del parco Tivoli, sempre la stessa, per godersi il tiepido sole di Copenaghen. E ogni mattina alla stessa ora vedeva passare quel giovane, la massa di capelli scuri trattenuta a stento dal berretto dell’uniforme, che camminava faticosamente aiutandosi con le stampelle, la gamba destra dei pantaloni ripiegata sotto il ginocchio, dove il polpaccio non c’era più. Quella mattina il giovane soldato si sedette sulla panchina accanto, e l’uomo vide una lacrima che gli scendeva lungo la guancia. Provò ad avvicinarsi, e poi a sedersi, e con la cautela imparata dall’esperienza, con parole calme e lente gli chiese cosa non andasse.

Perdonatemi signore, sono un soldato e non sono avvezzo a mostrare le mie lacrime. Ma oggi signore, oggi sento una tristezza come non l’ho sentita neanche quando ho perso la gamba. Sono stato ferito per difendere il mio re, signore, durante gli scontri nello Schleswig-Holstein. Il mio nome è Pedro, Pedro Lopez, ma sono danese come voi signore. Mio nonno arrivò con l’ambasciatore spagnolo alla corte del re, ma si innamorò di mia nonna e rimase. Mia nonna era di Odense, la conoscete, signore? Sposò mia nonna, e rimase al servizio del re. E anche mio padre ha servito il re, è stato in guerra con lui contro l’imperatore dei Francesi. E anch’io appena ho potuto sono entrato nel regio esercito per servire il mio re, e l’ho servito, e ho perso una gamba per lui. Ma in quel momento signore la sicurezza del re e della Danimarca erano più importanti della mia gamba, e io l’ho sacrificata volentieri. E anche il chirurgo che me l’ha tagliata è rimasto impressionato dal mio coraggio, e anche i miei compagni. Il re mi ha premiato con una medaglia, e con una pensione, per cui, signore, posso vivere una vita tranquilla. Ma la mia vita è finita signore, perché lei non mi ama più. Non me l’ha detto signore, ma io l’ho capito. Lo vedo da come mi guarda che non mi vuole più, lo vedo quando guarda la mia gamba, e io capisco che le fa orrore. Io la capisco la mia Lola, signore, quando sono partito per lo Schleswig-Holstein era così fiera di me, e il suo sorriso così caldo quando mi guardava. Volevamo sposarci, signore, e lei era così felice «sposerò un eroe!» diceva la mia Lola. Poi sono tornato, e non ero più l’eroe dei suoi sogni. Lei è una ballerina signore, forse la conoscete, Lola Larsen si chiama. Danza nella compagnia del balletto reale, è una ragazza colta, ama la danza e ama leggere, quanti libri legge, sapeste! Ma nei suoi libri non ci sono soldati senza una gamba.

Il giovane si alzò faticosamente.
Perdonatemi signore se vi ho annoiato, siete stato molto paziente ad ascoltarmi, vi ringrazio.

L’uomo tornò a casa, si sedette al suo tavolo e si mise a scrivere.

La mattina dopo, col frutto del suo lavoro in una borsa di cuoio saltò la passeggiata quotidiana, e andò a sedersi direttamente sulla sua panchina al Tivoli. Passò del tempo, tanto tempo, ma finalmente il giovane soldato arrivò, arrancando con le sue stampelle; lo vide e lo salutò con un sorriso.

Buongiorno signore, vi ringrazio per la pazienza che avete avuto con me ieri, posso offrirvi una birra?  

Si sedettero e ordinarono, poi l’uomo tirò fuori il suo lavoro dalla borsa e lo posò sul tavolo fra di loro, spingendolo verso il soldato.

Prendi Pedro, l’ho scritto per te, e per Lola. Ora esiste un libro con un soldato senza una gamba.

Un po’ incerto il soldato prese il dono e lo aprì. Sul primo foglio era scritto:
Il Soldatino di stagno
Di Hans Christian Andersen

Maria Paola Pennetta


MARIO CACCIALUPI

Oxford, 20 aprile 1956

Carissima madre, come state?

Spero che questa lettera vi raggiunga in buona salute.
Qui la vita all’Exeter prosegue come sempre. La primavera finalmente è giunta e con essa, ahimè, il momento di mettersi a studiare con buona lena per gli esami di metà corso. Non preoccupatevi, però. Ho inserito “ahimè” perché la natura, in questa stagione, è così invitante e lussuriosa che, di certo, non invoglia a rimanere chiusi in biblioteca chini sui libri. Voglio rassicurare voi e il caro padre riguardo alla regolarità degli studi e alla soddisfazione dei professor per i miei voti. Devo però confessarvi che sono sempre più convinto che l’economia e la finanza non saranno mai miei amici. C’è una novità: ieri mattina è arrivato un nuovo compagno di stanza, simpatico come solo gli italiani possono esserlo. Si chiama Roberto, ha 17 anni e la sua famiglia possiede diverse industrie siderurgiche nel nord Europa. Tra noi è nata, in breve tempo, un’amicizia molto stretta, sebbene riconosca in lui aspetti caratteriali alquanto eccentrici. È una persona interessante, aperta al mondo in un modo così nuovo per me che mi pare del tutto originale. Uno spirito che io sento affine, nonostante sia molto lontano dal mio carattere. Mi parla con nostalgia del suo Paese ed è rimasto molto stupito del fatto che, nonostante il mio nome, io non sia propriamente italiano. Ho quindi raccontato la storia di come voi, con enorme generosità, avete accolto me, figlio di un boscaiolo, nella vostra stirpe. So, madre, che la vostra tempra nordica vi potrebbe far irrigidire di fronte a siffatta confidenza. Vi assicuro che Roberto è un amico fidato e, non solo non racconterebbe ad alcuno le mie origini ma, dopo la confessione, ha espresso tutta la sua ammirazione per la mia storia definendola “un romanzo d’appendice”.
È mia intenzione inviare una missiva anche al caro padre sperando che le mie notizie giungano presto fino alla sua dimora. Voglio dirgli che mi piacerebbe raggiungerlo sull’isola di Margarita e trascorrere le vacanze estive lì. L’aria di mare, il sole, le splendide spiagge e l’atmosfera di libertà e avventura mi faranno bene dopo il duro anno accademico. Sono sicuro che ne sarà contento, anche se, quasi certamente, i suoi affari lo porteranno ancora in mezzo all’Oceano. Se voi lo consentite, vorrei invitare in Sud America anche Roberto, sono sicuro che si innamorerà anche lui di quei paradisi.
Perdonatemi, madre, se scrivo questa missiva in italiano ma tanta è la presa che costui ha avuto sul mio spirito che appena lo conobbi iniziai a parlare, scrivere, pensare e persino sognare nella sua lingua.
In attesa di nuove, prego il buon Dio per voi e per il caro padre e vi abbraccio.
A presto,
vostro figlio Mario.


Kongens Lyngby, 8 giugno 1956

Madre,

vi scrivo questa lettera dal mio scrittoio, quello dove fanciullo, voi mi insegnavate a disegnare i fiori del vostro bel giardino.
Io non riesco a esprimere quello che provo se non con le parole scritte.
So che mi considererete un figlio ingrato e forse avrete ragione. Ma quello che è accaduto mi addolora in maniera sì profonda che non credo dimenticherò per tutto il corso della mia vita.
Ora che non sono più alla Oxford University, pensate che forse il mio animo sia cambiato? Che non abbia più sete di conoscenza del mondo, che non sia più bisognoso di crescere e di fare esperienze di vita con le anime affini che il destino mi ha posto di fronte?
Pensate che lo splendore e l’energia del sole diminuiscano, solo perché esso scalda con una diversa inclinazione?
Prima di salire sull’auto che voi avete mandato per prelevarmi nell’alloggio nel cuore della notte, come fossi colpevole di qualche reato, io e Roberto ci siamo scambiati una promessa. No, non ve la rivelerò, madre, così come non racconterò più nulla della mia vita intima, dei miei desideri, dei miei progetti per i prossimi anni. Ho scritto a mio padre e sono certo che lui, se non l’ha ancora fatto, saprà aprirvi gli occhi di fronte al fatto scellerato che avete commesso. Mi permetto di usare queste parole perché strappare ad una vita illuminata e ricca di stimoli, di conoscenze, di nuove sensibilità, di affetti puri, vostro figlio, che nella sua condotta mai aveva mostrato un atteggiamento irrispettoso o irresponsabile, questo, madre è un atto scellerato.
La mia decisione è presa. Non avrete più mie notizie. Sparirò da voi così come dalla vita di mio padre, sebbene senta la sua vicinanza morale come un grande conforto.

Addio, madre, che Dio abbia pietà di voi.

Mario.

Marika De Sandoli


CONSTANTIA LOPEZ

Nata a Buenos Aires l'8 gennaio del 1930, Costantia Lopez era l'unica figlia di Lola e Pedro. La donna più bella e il notaio più stimato della città argentina.

Miracolo venuto al mondo quando sua madre aveva già 45 anni e si era rassegnata ad una culla vuota da almeno 10. Figlia unica e tardiva. Constantia crebbe libera ma coccolata dall'affetto incondizionato dei suoi genitori. Chiara come la madre ma appassionata come il padre, attraversò l'infanzia in uno sfarfallio di giornate di sole, corse a perdifiato e pastelli di cera con cui colorava muri, tappeti e raramente anche fogli bianchi e disegni dentro i margini.
A scuola non brillava per la condotta ma la mente sveglia le permetteva voti eccellenti e le gambe lunghe di eredità materna ottimi risultati negli sport, in particolare salto in alto e corsa campestre.

Per il suo tredicesimo compleanno, i genitori, che fino a quel momento le avevano regalato tutto il mondo e anche di più, le fecero dono di una macchina fotografica, una Leica. Lei la prese tra le mani con reverenza, come un tesoro e, da quel momento, prese a guardare il mondo attraverso l'obiettivo. In breve tempo, lo studio del padre, il salotto e persino la toeletta materna furono tappezzati delle immagini in bianco e nero frutto dell'occhio vigile e curioso di Costantia. Il gatto dei vicini, la bicicletta del postino, i sorrisi delle cugine, gli sguardi corrucciati degli sconosciuti, le compagne che saltavano la corda, un cane che rincorreva un pallone, nulla sfuggiva a Costantia e a quello che, con gli anni, si rivelò essere un innegabile talento.

A 20 anni partì per l'Europa, voleva vedere il mondo e voleva che le sue fotografie fossero viste dal mondo. Dopo essere stata prima a Madrid e poi a Parigi, andò infine in visita alla famiglia materna, due zii della madre che abitavano nei dintorni di Oslo. Agnes, una cugina, la invitò a vedere una gara di sci. Costantia si portò dietro la macchina fotografica. “È una gara importante?" chiese mentre scattava foto ai visi tirati degli atleti. "Sì, sono i mondiali di fondo". Un signore con un grande cappello rosso e due piccoli occhi azzurri si avvicinò alle ragazze parlando loro in norvegese. "Cosa vuole?" chiese Costantia ad Agnes. “È un editore, il suo fotografo non si è presentato. Vorrebbe acquistare le tue foto". 
L'indomani il quotidiano locale pubblicò diverse foto di Costantia. Una, la più grande, ritraeva il vincitore. Mario Caccialupi, diceva la didascalia.
Fu l'inizio di una carriera e non solo.

Jane Pancrazia Cole


CONSUELO CACCIALUPI

Era una ragazza come tante, almeno vista da fuori, ma Consuelo aveva dentro tutta l’impetuosa esuberanza che la nonna Lola le aveva trasmesso. Era il DNA tipico dei latinoamericani, gentili, calmi, ma con dentro un vulcano sempre attivo a muovere cuore, pancia e cervello. Così aveva vissuto il suo ’68, studentessa modello di un liceo cittadino, che di fronte ai tumulti ed alle istanze femministe si era trovata in prima linea con il pugno chiuso a gridare “l’utero è mio e me lo gestisco io”. Cosa tra, l’atro, che non era stata per niente digerita dai familiari: i Caccialupi infatti discendevano da una nobile famiglia molto legata al Vaticano e nella Roma della fine degli anni sessanta, avevano sicuramente una posizione di prestigio da salvaguardare. Quella figlia così rispettosa, così delicata, aveva finito per rompere i ponti come qualsiasi acqua cheta che si rispetti, riuscendo a mettere in difficoltà soprattutto suo padre, che oltre a motivi prettamente economici era anche molto condizionato da una religiosità beghina ed integralista. Ma niente, il cuore le batteva per le cause femministe, la pancia la lanciava indomita verso nuove contestazioni e, soprattutto, il cervello le diceva che tutto questo era profondamente giusto. Gli occhi neri, i capelli ancora più neri, la pelle lievemente olivastra, girava vestita come i ragazzi della sua età, con quei pantaloni a zampa di elefante, i top corti che lasciavano scoperto l’ombelico e soprattutto, rigorosamente senza reggiseno. Niente costrizioni per quella generazione di donne, né morali né religiose: Consuelo andava a testa alta contro tutti i dogmi imposti dalla società e tanto più, dalla chiesa. Provarono con le buone a convincerla che non si poteva discutere sull’autorità dei comandamenti religiosi, provarono con le minacce, non facendola uscire per giorni e scortandola a scuola con la scusa che non era maggiorenne: i ventun anni non erano ancora arrivati per lei che ormai li agognava come simbolo unico di indipendenza e libertà. La vita le avrebbe insegnato sulla propria pelle, che le cose non sono sempre o bianco o nero, o giusto o sbagliato, ma spesso il risultato di equilibri precari e ragionati, di convenienze e necessità. Sua madre era l’unica che la capiva, anche se mai l’assecondava, silenziosamente sapeva che era giunto per tutte le donne il momento di far valere i propri valori e non quelli che padri e mariti avevano deciso per loro fino a quel momento. Ma era una donna umile Constantia e da quando aveva fatto quel matrimonio così prestigioso, si era sempre adeguata alle volontà del marito, sacrificando sé stessa e le sue priorità a quelle della famiglia. Forse, se non fosse stata così, la figlia non avrebbe sentito pressante la necessità di esprimere le proprie opinioni. Ma era nonna Lola il suo modello: lei, arrivata giovanissima in Italia proprio nel periodo della guerra, era stata una staffetta partigiana e con i suoi racconti aveva contribuito certamente a mettere quel seme di ribellione dentro al cuore della sua nipote preferita. Conobbe proprio in quelle circostanze nonno Larsen, un bel soldato americano dagli occhi di ghiaccio e dai capelli color rame. Raccontava del suo amore, della libertà, del rischio e Consuelo ascoltava rapita: e la storia del quadro era la più avvincente, quella che prima o poi avrebbe portato a fine. Nonna Lola portava i messaggi ai partigiani in un modo molto particolare infatti: qualcuno ai vertici del governo, ma non allineato con il pensiero e la dittatura, lasciava indicazioni sui movimenti degli squadristi in modo che i partigiani potessero sapere ed attaccare evitando che gli scellerati portassero a termine le loro scorribande. Era la partigiana Argentina nonna Lola, inforcava la sua bicicletta e correva veloce a portare i messaggi che trovava dietro al quadro in quella cattedrale del centro di Roma, dove un magro cappellano sedeva spesso in preghiera con i raggi del sole che entravano dalla vetrata: non la vedeva mai, o almeno così lei pensava. Consuelo non avrebbe mai dimenticato i suoi racconti ma non immaginava, con la testa appoggiata alle sue ginocchia e la vecchia mano che le accarezzava i lunghi capelli neri, quanto questi l’avrebbero fatta diventare quella che era e che un giorno, quel quadro sarebbe diventato un regalo del destino.

Ma questa, è un’altra storia.

Letizia Battaglia


ANTONIO CACCIALUPI 

Il giorno in cui nacque il primo figlio maschio della famiglia Caccialupi erano state chiamate addirittura due levatrici. Il medico era stato avvertito e si era messo in viaggio dalla città. Ma non sarebbe servito. Nessuno ricordava che un simile lieto evento fosse accaduto meno di due anni prima in quella casa, quando era venuta alla luce la piccola Consuelo. Ora però c’era nell’aria quella trepidazione propria delle cose tanto attese. Erano da poco passate le due di un tiepido pomeriggio del 21 aprile 1872 quando il pianto del piccolo Antonio aveva annunciato l’arrivo. Finalmente un maschio. Appena giunta la notizia, di lì a poche ore dalla nascita, il nonno Pedro che nella sua vita aveva toccato anche le Americhe si era deciso a mettersi in viaggio con la migliore carrozza della regione per giungere in quella casa in cui non metteva piede da anni e vedere il piccolo. Una magra consolazione visto che il figlio maschio tanto agognato la sua povera Lola non era riuscita a darglielo. Il curato del paese, venuto per la prima benedizione del piccolo Antonio, aveva disposto che le campane sarebbero suonate a festa di lì a qualche ora per dare il lieto annuncio a tutti i lavoratori sparsi nei possedimenti dei Caccialupi e così nei prossimi giorni, per ricordare la nascita.

Mario Caccialupi ringraziava Dio di averlo reso padre di un figlio maschio. Ora le sue terre ed i suoi possedimenti potevano prosperare senza il rischio di venire smembrati. Quello scricciolo d’uomo era la sua speranza e alla sua formazione si sarebbe dedicato sin da subito. Antonio non aveva ancora compiuti 3 anni che aveva già cambiato 4 balie, alla ricerca della migliore nutrice. Nel frattempo era venuto al mondo in quella casa anche il piccolo Mario, senza troppo clamore. Lui e Consuelo sarebbero stati sempre la sorella maggiore ed il fratello minore di Antonio. Quel fratello che sedeva su un gradino più altro del loro e che conoscevano a mala pena. Per lui, le ore più numerose con i precettori, i musici e i cavalieri. Per lui solo doveri. Per lui l’arte della caccia e la spada. Sopra ogni cosa avrebbe dovuto imparare a combattere e a difendersi per schivare le insidie e le guerre che minacciavano l’Europa e difendere le ricchezze della propria famiglia. Questa era e sarebbe stata la sua vita. Non vi erano altre strade da percorrere. Dalla collina dove ergeva la torre del castello si vedevano solo i campi della famiglia. Il mondo per lui era tutto lì. E così sarebbe stato fino al compimento del suo ventesimo anno.

Dopo poche settimane, gli era stato annunciato che il 1 giugno del 1892 sarebbe stato celebrato il suo matrimonio. Nel rigido mondo che aveva conosciuto fino ad ora doveva esserci dell’altro.

Dopo mesi di trattative con i ricchi proprietari dei terreni confinanti, suo padre aveva deciso che avrebbe sposato una contessa. La piccola Marina aveva appena compiuto 16 anni ed era l’ultima discendente di un nobile casato del sepolto Granducato di Toscana. La sua famiglia di origine asburgica aveva retto le sorti del granducato fino alla falcidia dell’unificazione d’Italia. Marina era arrivata su una carrozza ornata d’oro e lustrini, con due cameriere, una dama, un precettore ed il vecchio zio.

Le nozze furono celebrate all’alba. Antonio non era riuscito a scorgere il viso di Marina per gran parte della cerimonia. Le luci delle candele ed i veli che le coprivano il volto avevano dato a quell’incontro una magia inaspettata. Non si sarebbero parlati per tutto il giorno. Si sarebbero ritrovati esausti nella stanza più alta della torre dopo una giornata di banchetti e balli. La gioia dell’evento si era tradotta con una giornata di festa pagata due volte per tutti i braccianti che lavoravano nei campi di proprietà della famiglia Caccialupi. Nel poderi erano risuonati canti di ringraziamento per l’inaspettata generosità.

Erano frastornati, impauriti e stanchi. Antonio sapeva bene quello che ci si aspettava da lui. Suo padre avrebbe voluto morire sapendo di avere un discendente. Per questo erano state anticipate le nozze.
Marina, minuta e bianchissima, piangeva in silenzio, appoggiata di spalle alla finestra socchiusa. Le si avvicinò, la guardò per la prima volta e vide che la luna disegnava sulla guancia destra della sua sposa una forma solida e luminosa. La prese per le spalle e la volto verso la finestra. Le lezioni di astronomia ora sembravano avere un senso. Iniziò a parlare della luna e dei pianeti. Marina smise di piangere. Conosceva a memoria le pagine degli Elementi di Astronomia ma era come se le ascoltasse per la prima volta. Anche Antonio si rese conto che non erano semplici nozioni. Le si aprì il cuore e svanirono le paure. Entrambi sapevano che si sarebbero amati, era solo questione di tempo.

Anonimo


MARINA MARINI

Donna di grande cuore, Marina Marini i suoi splendidi cinquant’anni li porta davvero egregiamente. Dotata di un’inconfondibile chioma bianca come la neve, a volte ingestibile, è un avvocato di grande fama per la sua totale onestà unita ad un’ottima parlantina.

Vive a Torino, dove è nata e cresciuta, sposata con Antonio Caccialupi, noto finanziere del capoluogo torinese, un figlio, Paolo Ferrante, avuto in giovane età prima di incontrare l'attuale marito.
Nota nel mondo forense per le sue battaglie a favore dei minori, Marina Marini è molto stimata nel suo ambiente, dote riservata solitamente a pochi eletti.

Collabora con prestigiosi studi notarili a Torino, Alessandria e Cuneo.

Nel tempo libero adora rifugiarsi nella sua immensa ed attrezzatissima cucina, la sua seconda passione.

"Il giorno in cui non riuscirò più a sostenere la frenetica attività forense, potrò dedicarmi definitivamente al mondo culinario", ha affermato in un'intervista recentemente.

Laureata in Giurisprudenza presso l'Università di Torino con 110 e lode, una Laurea Magistrale in Psicologia criminologica e forense ottenuta nello stesso Ateneo con il massimo dei voti, numerosi articoli scritti per diverse riviste del settore.

Serena Favalli


MARIO JUNIOR

È stata una giornataccia a lavoro, quindi mi sono buttato in un pub sulla via del ritorno dalla trasferta. Avevo bisogno del primo pub e della prima birra disponibile.
Al bancone, adesso, fisso la birra ed il tipo che mi ha servito – l’unico presente nel locale - e che non ha quasi nemmeno alzato la testa. Provo ad attaccargli bottone indicandogli una foto appesa al muro alle sue spalle.
“Che bella famigliola”.
Improvvisamente mi considera, mi scruta come solo chi è a contatto con il pubblico ogni giorno può fare, riuscendo a capire in un attimo chi gli è toccato stavolta.
“Sono Marina e Mario Junior, gli ideatori dello spazio in cui ti trovi, con il loro bambino appena nato.”
Mi viene il dubbio che forse il posto dove mi trovo non sia solo un pub. Mi guardo meglio attorno e vedo un palco per suonare, frecce con su scritto “Spazio Teatro”, “Spazio di Comunità”, “Spazio di Supporto”.
“Adesso ti spiego, sembri stranito. Mario Junior è un nome un po’ del cazzo. Tra l’altro, suo padre si chiamava nello stesso modo, Mario, chi avrebbe chiamato suo figlio col suo stesso nome?” – e fa il primo sorriso della serata. Sorrido divertito anche io.
“Mario Junior è nato Maria” – continua – “Dicono fosse la più bella ragazza della città..”. Una voce dalla cucina lo interrompe improvvisamente ed urla “Paooooloooo, non la romanzare troppo anche stavolta!”
“Scusa un attimo, eh” - mi dice – “Joohnn, farò come mi pare, non mi interrompere!!!”
“Dicevo: era la ragazza più bella della città. Figlia di Costantia Lopez, donna leggendaria. Anche la nonna, Lola Larsen, metà svedese, metà spagnola ed un poco zingara, di nazionalità e di fatto, aveva compiuto grandi imprese. Non mi dilungo, le loro sono altre storie, ma si erano distinte nella scienza e nell’impegno sociale.
Maria nasce quindi in una famiglia matriarcale, come quelle degli etruschi, o dei minoici, in cui una componente principale è la cultura ed in cui le donne sono determinate, colte e belle.
O anche come la famiglia reale degli UK, in cui le persone che contano sono le donne: Elisabetta, Kate, Meghan. E poi c’è la povera Camilla. Ecco Maria aveva due fratelli: una sorella maggiore, che assomigliava a Camilla, ed un fratello maggiore, che assomigliava a Camilla.
Anche fisiognomicamente Maria era identica in tutto e per tutto a Lola e a Costantia: era lei, dunque, che, tacitamente, doveva continuare a portare avanti la leggenda della famiglia. Peccato che Maria, fin da piccolina, si fosse accorta di essere diversa. E se ne fossero accorti anche tutti gli altri membri della famiglia.”
Paolo si ferma un attimo compiaciuto dalla mia reazione: pendo dalle sue labbra.
“Il momento più difficile fu il suo diciassettesimo compleanno, quando sua madre iniziò a strattonarla, insultandola - “Non sei un uomo, lo vuoi capire? Smettila con questa farsa!” – e via dicendo, come nemmeno i peggiori bulli della scuola erano riusciti a fare.
Spesso nemmeno essere una donna leggendaria in molti campi permette di affrontare lucidamente le relazioni con i figli, così vicini emotivamente e così stipati con aspettiative spesso disattese.
Meno male che esistono le nonne. Nonna Lola sentenziò: “Lasciala vivere la propria vita, Costantia. Se lei si sente uomo, non puoi forzarla ad essere donna. Non potrà mai stare bene, se non è - consentimi la parola - concorde con sè stessa. Non vuoi che sia felice?”
Un urlo dalla cucina: “Queeestaaaa invece è la versione romanzata da Mario Junior!”
Paolo sbuffa e continua: “Da lì, è iniziata la trasformazione di Maria ed il suo impegno per i diritti dei transgender e di tutta la comunità LGBT.
In tutto questo marasma, Maria si innamora di Marina, moglie di suo fratello: da sempre amiche, da sempre consapevoli dell’attrazione reciproca. Marina era ricorsa alla fecondazione assistita, ma aveva voluto sapere chi era il donatore. Suo figlio/a aveva il diritto di sapere tutto, di conoscere il suo vero padre e di conoscere tutta la storia, il dolore ad essa sotteso, per poter avere anche consapevolezza di sè stesso. Senza le tipiche menzogne di comodo per protezione dei genitori.
Possibile?
Suo figlio ha preso anche il cognome del vero padre, Ferrante. Paolo Ferrante. Che sarei io!
E questo centro internazionale lo ha costruito Mario Junior, con passione, forza e dedizione. Come solo una vera Larsen/Lopez poteva fare.”

E se è romanzata, non so se è una leggenda o una favola.

Marianna Palmerini


JOHN STUART

Mi chiamo John Stuart. Non è un nome particolarmente affascinante, direi piuttosto il contrario. Ma nel mio lavoro l’anonimato era essenziale, saper scivolare tra la gente senza che nessuno ricordi il tuo volto, la fisionomia. Un’ombra tra le ombre. Facevo parte del dipartimento di intelligence di un’agenzia governativa di controspionaggio inglese.

Quando si sente la parola “controspionaggio” ci si immagina subito un uomo con licenza di uccidere, che guida un’auto sportiva, attorniato da bellissime ragazze, ma non è così. Il mio lavoro è fatto di analisi, ricerche sul campo, verifica ed incrocio di dati finanziari di personaggi dalla reputazione poco chiara. Però ho svolto questo mestiere tanti anni fino alla pensione vivendo parecchie situazioni pericolose ed interessanti, almeno per i patiti di Fleming.

Sono nato il 14 Ottobre 1950 in un paesino ad un centinaio di chilometri da Londra. I miei genitori mi amavano come una benedizione dal cielo perché, dopo aver provato ad avere un figlio per anni, arrivai io. Crebbi circondato da amore, ma anche da regole rigide che mi diedero un carattere forte, con una morale altrettanto forte. Per me la carriera militare era l’unica via da percorrere.

Cominciai dal basso, ma già dall’addestramento nell’esercito capii ero destinato a fare carriera: ero forte, agile, sveglio e intelligente. Non lo dico io, è tutto riportato nel mio fascicolo di allora che il mio primo sergente istruttore mi volle regalare quando completai l’addestramento. Ogni tanto sfoglio ancora quel fascicolo, e con un sorriso ricordo il momento in cui me lo consegnò: “John, tu sei un diamante in mezzo a tanto carbone. Fai in modo che la tua luce splenda”.

La mia luce cominciò a splendere quando fui coinvolto in un’operazione di rastrellamento nelle campagne irlandesi, alla ricerca di un nascondiglio dell’IRA dove si riteneva che fosse nascosto un capo brigata insieme ad un ostaggio, il nipote di un ministro inglese. Le forze speciali della SAS insistevano per procedere verso sud, ma il mio istinto mi diceva che la direzione era l’opposta. Il capo brigata aveva trascorso otto anni nella SAS, sapeva come ragionavano. Contro ogni logica, presi tre uomini ben addestrati e mi diressi a nord. Li trovammo poco dopo, neutralizzammo le guardie e liberammo l’ostaggio.

Da lì al dipartimento di antiterrorismo della SAS il passo fu davvero breve e non ci volle molto perché il dipartimento di controspionaggio governativo mi notasse e mi proponesse un ingaggio. La giostra era partita: mi ritrovai a girare il mondo a caccia di terroristi, criminali internazionali e contrabbandieri d’armi. Vorrei sorvolare sui dettagli, perché molte di quelle operazioni sono ancora coperte dal segreto di stato.

Una sera giravo da solo per il centro di un paese in provincia di Modena, in Italia. Era arrivata una soffiata su un deposito d’armi di una cellula terroristica italiana ed il governo ci aveva chiesto un supporto di intelligence. Arrivato in un vicolo buio e stretto, sentii la fredda lama di un coltello appoggiata alla gola e una voce che mi diceva di dargli il portafoglio. Il mio addestramento militare ebbe il sopravvento e pochi secondi dopo avevo il suo coltello in mano. Il giovane, spaventato e disarmato, mi guardò negli occhi poi svenne. Lo portai nell’appartamento che avevo affittato e lo misi a dormire sul mio divano. Furono giorni interessanti, nei quali cercavo di ottenere la fiducia da quel giovane mostrandomi intenzionato ad aiutarlo. Poco a poco si instaurò un legame e appresi della vita difficile e tormentata di Paolo, questo è il suo nome. La mia missione era intanto terminata, le armi erano state trovate e distrutte, e mi accingevo a tornare a casa. L’ultima sera Paolo mi si avvicinò e senza dire nulla mi diede un bacio. Per me le donne non rappresentavano un vero interesse, e da quel bacio capii il perché. Rimasi altri due mesi in Italia, il tempo di sbrigare le pratiche, ed insieme volammo in Inghilterra. Paolo è un brillante artista, pieno di fantasia e creatività. Il giorno dopo la pensione ci siamo sposati in un magnifico giardino. I miei commilitoni non hanno ancora capito bene cosa sia successo, ma vedo la gioia nei loro occhi e tanto basta.

Dopo una vita dedicata alla violenza, all’inganno ed ai sotterfugi, posso finalmente godere una vecchiaia di serenità, fiducia e amore.

Beppe Carta

Il lockdown sta per finire ma cinema e teatri ancora non aprono, quindi io continuo a consigliarvi cose belle da fare e guardare rigorosamente sul web. Abbiate fede, verrà il momento in cui potrò consigliarvi uno spettacolo da vedere o un evento da seguire dal vivo, ma per ora cerchiamo di trarre il meglio da ciò che abbiamo a disposizione.

Iniziamo con la natura, gli animali e gli spazi aperti. Lo so, pare un controsenso data la situazione attuale ma non sono impazzita, so di cosa sto parlando. Si tratta dei canali di YouTube della serie Explore, web camera sparse per i luoghi più interessanti del globo che trasmettono in diretta 24/7. Tra gli altri vi consiglio Explore Africa per vedere le giraffe che mangiano  le foglie dagli alberi, gli elefanti che passeggiano e le zebre che bevono dalle pozze d'acqua. Sì, immagino che ci si possa imbattere anche in un leone che sventra una gazzella ma è la Natura Bellezza!... e comunque a me non è ancora capitato. Poi c'è Explore Bears & Bison dove potete intenerirvi di fronte ai panda o commuovermi per la maestosa terrorizzante bellezza degli orsi polari nel loro ambiente naturale, all'interno di riserve protette. E infine Explore Oceans dove si ammirano i surfisti alle prese con le enormi onde dell'oceano. Io, la bambina che a Rimini piangeva pure quando la mettevano nel canotto, adoro questi coraggiosi scriteriati!
www.youtube.com/channel/Africa.
www.youtube.com/channel/Bears.
www.youtube.com/channel/Oceans.

Da Youtube passiamo su Instagram, dove troviamo Dave Grohl, frontman dei Foofighters oltre che amatissimo batterista dei ancoracimancano Nirvana. Dave ha scelto il social delle immagini per scrivere. Del resto è sempre stato un tipo originale lui. Nessuna fotografia dunque nel suo nuovissimo profilo ma racconti brevi, storie vere di una vita passata nel mondo del rock. Da seguire e leggere divisi tra invidia e curiosità.
www.instagram.com/davestruestories/.

Trovate sia su Instagram che su Facebook, Humans of New York, un grande classico. Da anni un fotografo americano intervista persone in giro per la grande mela e, spesso, anche in giro per il mondo. Ora, in tempo di lockdown, le storie di varia umanità arrivano tramite scatti fatti dai vari protagonisti a casa propria. Storie normali ed eccezionali, drammatiche, edificanti, incredibili, un compendio inesauribile di umanità. Ho sempre amato questo progetto e, con la situazione attuale, lo amo ancora di più perché è riuscito ad adattarsi, rimanere se stesso ma rinnovarsi. Ho sempre amato così tanto questo progetto che in passato, per un paio d'anni, ne ho condotto uno simile a Torino con il mio amico, socio  e fotografo Sergio Sasso. Io intervistavo, lui scattava. Non lo sapevate? Furono fatica, soddisfazioni e incontri incredibili. Siete curiosi? Guardate qui.
www.instagram.com/humansofny/.
www.facebook.com/humansofnewyork/.
www.facebook.com/humansturin/.

Infine, dal 29 maggio al 7 giugno si terrà We Are One: A Global Film Festival, un festival cinematografico su YouTube che ha lo scopo di sostenere una raccolta fondi per l'OMS, l'Organizzazione Mondiale della Sanità. La Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, il Festival di Cannes, quello di Berlino, il Sundance, il Tribeca e molti altri offriranno gratuitamente cortometraggi, documentari, film e altro materiale, dando vita a un festival unico nel suo genere. Da non perdere.
YouTube.com/WeAreOne.

E se non vi bastano ancora questi consigli, ricordate che ci sono io che posso riempirvi le giornate con i miei ambiziosi progetti. Come il Laboratorio Condiviso di Scrittura, giunto ormai all'ottavo esercizio,  e le mie stories dedicate a Guerra e Pace.
www.radiocole.it/LAB.
http://www.radiocole.it/OttavoEsercizio.
www.instagram.com/jane_pancrazia/.

Felici giorni a casa, felici momenti a spasso, e ricordate le mascherine!


Due volte al mese scrivo "Racconti sotto la Mole" per il quotidiano online TorinOggi. Oggi ho scelto di raccontare la liberazione di Torino, o meglio il suo inizio, attraverso gli occhi di un tranviere che è rimasto nella storia o, quantomeno, nella memoria della città. Il tranviere del 14.
Buona lettura.


"Sei sicuro?" mi chiese accompagnandomi alla porta.
"Sì" le risposi.
 I bambini, intanto, in cucina si litigavano una galletta.


La mia Maria sapeva cosa avrei fatto, cosa avremmo fatto tutti. Aveva paura, non aveva dormito per l’ansia ma ora, ancora in vestaglia, cercò di farsi coraggio e mi strinse forte dicendomi solo "Fa quello che devi ma poi torna da noi".


Erano tempi bui quelli, lo erano da anni, ma ora che avevamo un progetto, che eravamo pronti a far qualcosa, insieme alla paura crebbe anche la speranza. 

Erano le 9 quando uscii dal deposito alla guida, come ogni giorno, del 14, il mio tram. Piero, collega e caro amico, mi fece un cenno dalla sua vettura: "Ci vediamo in piazza" mi disse.

Continua...

All'interno di ogni famiglia si nascondono i personaggi più affascinanti e la gloriosa discendenza dei Larsen - Lopez non fa eccezione.

Per questo esercizio avete a disposizione 16 personaggi tra cui scegliere. Prendetene uno e raccontatelo. Vestite per una volta i panni del biografo e descriveteci le gesta, epiche o meno, di uno degli appartenenti a questa curiosa famiglia. Non trattenete le redini della fantasia e godetevi questo regalo: una pagina bianca e una persona intera da inventare.



Sì, Paolo Ferrante non ha il cognome del padre. Perché? Errore mio ma ve lo lascio così e starà a voi, se vorrete, trovare e spiegare il motivo... mi inventerei qualsiasi cosa pur di non rifare una grafica.

Dovrebbe essere tutto chiaro ma, come sempre, se avete domande, contattatemi pure sul Blog, su FB, Twitter, Instagram o LinkedIn, non si può dire che io sia una persona difficile da trovare!

Credo di avervi detto tutto, non mi resta che augurarvi buona scrittura!

Tipo di testo: qualsiasi (racconto, poesia, flusso di coscienza, etc…).
Lunghezza testo: dai 100 ai 4400 caratteri, spazi inclusi.
Email: janecole@live.it.
Oggetto: laboratorio collettivo di scrittura.
Specificare nel testo dell’email se volete restare anonimi o meno, se volete essere taggati (su FB) o meno.
Scadenza per far pervenire il testo: domenica 3 maggio 2020, ore 12.

Volete leggere tutte le biografie nate da questo albero? Le trovate qui.


Dieci oggetti. Era questo il nucleo del settimo esercizio. Dieci oggetti di cui, almeno tre, da inserire in un testo di scrittura creativa.

Vi ricordo l'elenco: Coccarda da festeggiata, Scatola di tè, Cartolina da New York, Sigaro, Post-it rosa, Fede nuziale, Tazza, Pennello, Campanello da reception, Yo-yo.

I partecipanti hanno risposto trovando, come sempre, tante soluzioni diverse quanti sono i racconti scritti. Racconti che, questa volta, non sono in ordine di ricezione ma nell'ordine che ha reso più agevole la pubblicazione alla redazione. Redazione, composta da me medesima.
Il mio racconto però, anche questa volta come sempre, è in coda a tutti gli altri.

Grazie a tutti i partecipanti e buona lettura a tutti gli altri!


Gli ombrelloni sembravano dipinti tutti dallo stesso pennello: cerchi concentrici bianchi e blu o rossi. Dalla terrazza del Gran Hotel la vista era magnifica. Il regista guardò il mare agitato, pensando alla telefonata del suo produttore. Il contratto parlava chiaro: doveva fare squadra con Pollastri – quel coglione sbarbato raccomandato – e sfornare una buona storia per il pubblico. Un film da girare in massimo 5 settimane e da far uscire a Natale. Lasciò il panorama e si portò il sigaro nella suite anche se aveva giurato a Barbara di non affumicare la suite con la puzza di quel coso. Infilò la giacca leggera e uscì.
Ci voleva una bella passeggiata sulla battigia. A quell’ora c’era solo una coppia giovane mano nella mano. Si toccò istintivamente la fede nuziale. Perché non l’aveva tolta ancora dopo tre anni? Liberò la criniera bianca dal cappello e l’aria fresca cominciò a calmarlo. Si mise a guardare le ombre lunghe e irregolari sulla sabbia. Cercava la sua abilità nello sfornare sceneggiature capaci di riempire le sale e vendere videocassette. E ora doveva pure lavorare con quel ragazzino incapace!
Tornò sul lungomare di cemento, entrò nell’hotel e puntò l’ascensore. Vi trovò Pollastri.
"Giò, allora, come va? Sei carico? Paolo si aspetta grandi cose, eh! Mica vogliamo deluderlo! Senti, io ho pensato a questo: una famiglia modesta riceve una cartolina da New York, una cugina bionda irrompe in una modesta famiglia e succede di tutto. Vedrai che successo! Non sali con me? Vabbè, ne riparliamo, ok?"
Giò si girò e si avvicinò al bancone. Si avventò sul campanello da reception.
"Check out, per favore".

Barbara, ancora in bikini, stava svuotando gli armadi con poca convinzione. Aveva i capelli ancora umidi di salsedine.
"Non posso scrivere a comando, io sono un artista!"
"Lo so e sei il numero uno! Il pubblico ti ama… e anche io…"
Si avvicinò voluttuosa e gli portò le braccia al collo.
"Sono sicura che hai in mente un’altra storia vincente, micetto… vero?"
Barbara, sorridendo, sciolse il nodo del costume dietro la nuca.

Quando il telefono squillò, Giò quasi fece cadere la tazza tra le mani.
"Sei scappato, eh? Troppo lusso? Lo capisco, hai bisogno di tranquillità per creare, hai fatto bene ad andare in collina! Non vedo l’ora di leggere la vostra sceneggiatura. Domani ci vediamo da me, facciamo una bella riunione tutti insieme, ho già parlato con lo chef del Palace. Dopo cena io, te e Pollastri parliamo del film. Che ne dici?"
"No, è che mi chiedevo …"
"Sì, sì, porta anche la tua fidanzata, certo. Ci vediamo domani allora, stai tranquillo, eh! Ciao!

"Che avrà in mente?"
"Barbara, tranquilla. Gli ho dato qualche spunto e lui mi ha detto che ne ha tratto un film che funzionerà."
"Sì ma in genere mi racconta qualcosa, quando scrive. Invece questa volta niente."
"Ma un po’ di mistero è normale! Poi il suo nome è una garanzia."
"Che farai se Paolo ti chiede di che parlerà il prossimo film?"
"Faccio parlare Giò. Verrà fuori che il progetto l’abbiamo creato insieme io e lui. Me l’ha assicurato. Che gran professionista, eh."
"Non capisco… perché dovrebbe farti un favore poi?"
"Perché gli sto simpatico, ovvio."

Il momento clou sapeva di aspic di aragosta, champagne e sigaro cubano. Giò aveva appoggiato solenne la scatola dei fogli sul tavolino davanti alle poltrone di pelle. Un post-it rosa attaccato sulla copertina recitava SARA’ UN SUCCESSO! Pollastri cominciò a gongolare. Il produttore sorrise e allungò una mano verso la cartelletta.
"Prima di tutto vorrei precisare che questo giovane ha dato un contributo enorme al progetto. Lui spiegherà tutto. Fate con calma, io vi lascio soli, vado a casa."
Gli sguardi smarriti di Pollastri e Barbara si incrociarono mentre Giò lasciava la sala. Paolo aprì impaziente il contenitore e, di colpo, si liberò un fetore acre. Un enorme escremento umano occupava lo spazio destinato ai fogli.
"Sarà un successo" pensò il regista.
Marika De Sandoli
Estratto dalla rubrica “Chiedi aiuto a zia Jane”.
Oggi pubblico la lettera di Evangeline Witcher, da Boston. Sono certa che i miei cari lettori sapranno aiutarla. Come sempre, scrivete a JaneCole@live.it.


Cara zia Jane,
Imploro la vostra intercessione per rivolgermi ai vostri lettori.
È con enorme imbarazzo che vi informo di aver perso la mia dignità. Qualora la ritrovaste, vi prego di restituirmela. Non vi chiedo di portarmela a domicilio, si intende, però… però, se foste così gentile, potrei offrirvi un sigaro e, se non amaste i Trinidad Fundadores, potrei farvi scegliere tra le miscele della mia scatola da tè. Magari il Lapsang Souchon? Mentre l’aroma dell’infusione nella tazza si spanderà per la stanza, potrei appuntarmi il vostro nome e il vostro numero di telefono su un post-it rosa. Lo impreziosirò con un dipinto creato sul momento per voi. Ho un pennello tascabile in argento e i miei amati acquerelli Komorebi, sempre a portata di mano.
La mia felicità sarebbe incontenibile se riusciste a restituirmi la mia dignità! Ma come potrei ripagarvi? Insisterei per appuntarvi una coccarda da festeggiata sul petto, anche se foste un uomo! È un’idea bizzarra, ma le grandi gioie richiedono celebrazioni eclettiche! Ne ho una bellissima, un inestimabile ricordo. Pensate, mi fu regalata da mio marito. “Sei la mia numero 1!” diceva. Me lo diceva ogni volta che rientrava a casa dall’ennesima avventura. Ma non si porta una fede nuziale al dito se non si è disposti al compromesso. Soprattutto una fede nuziale Tiffany in oro rosa a tutto giro di diamanti taglio brillante come la mia. L’amore ha bisogno di punti fermi, e io sono il fulcro dello yo-yo sentimentale del mio caro Gedeon. Torna sempre a me. Sempre. Tornerà anche stavolta. In fondo, che significato avrà mai quella cartolina da New York? A volte le parole ingannano… soprattutto la parola scritta.
“Addio, vecchia strega!”
Io ne percepisco l’ironia, voi no? Un tono benevolmente canzonatorio. Briccone d’un Gedeon! Sempre una risata con lui!
Ma perdonatemi, sto divagando.
Dicevamo? Ah già. La mia dignità. Vi prego, restituitemela.
Se desiderate farlo in forma anonima, basterà che la lasciate sul pianerottolo. Suonate il campanello. Oh, non sorprendetevi, suona come un campanello da reception di hotel. È un vezzo, concedetemelo.
E che Iddio misericordioso vi benedica.
La Peppa
Era quasi mezza notte ed Emma tirò fuori dal forno la fragrante torta di carote, il profumo invadeva tutta la casa. Si sentiva estasiata dal profumo e non poté resistere… una bella fetta di torta bollente, alla faccia del mal di pancia. Ahh quanti ricordi, guardava la cartolina da New York della sua amica Celestina e pensava che grazie a lei aveva imparato a farla.
“Emma ricordati sempre il tocco di cannella” ripeteva Cele ogni volta che lei la chiamava o le scriveva piagnucolando “Cele ma non è venuta come la tua!!!”
Per non dimenticare la cannella aveva aggiunto un post-it rosa shocking con la scritta “Ricordati la cannella!”. Un’altra cosa simpatica della ricetta di Celestina era l’uso della tazza come unità di misura… La tazza…
Emma inspirò profondamente il profumo della torta che aveva messo sul piattino e come se fosse in meditazione chiuse gli occhi.

“Uffa Cele, la tazza? Perché la tazza? Le mie tazze non sono come le tue…” protestava Emma mentre Celestina le scriveva la ricetta.
“Ma dai tontolona non dirmi che non hai una tazza come la mia muccatazza?”
“No no no cara, alla fiera di Primavera tu hai vinto la muccatazza mentre io vinsi la coccarda! La ragazza coi capelli originali… (fischietta come complimento) non era come vincere la reginetta della fiera ma almeno anch’io avevo la coccarda da festeggiata!”
“Infatti la reginetta della fiera ora sembra la muccatazza mentre tu sei tutta una reginetta… sempre coi capelli originali”
Erano piegate in due dalle risate. Emma al ricordo batteva le mani sul mensolone della cucina mentre cercava di inspirare… ma la risata non glielo permetteva.
“Ohhh ohhh respira” disse Celestina tra il divertito e l’allarmata.
“Oddio oddio oddio non ce la faccio” singhiozzava Emma scuotendo la testa, tenendosi un po' la pancia, tenendo un po' la mensola, fin quando nel caos fece cadere la vecchia scatola di tè.
Cercò di prenderla al volo, muovendo le mani come un artista circense che scivola su una buccia di banana dopo aver bevuto un bicchierino di troppo. Celestina non sapeva chi prendere… la scatola o l’amica? Scelse l’amica e la scatola cadde rumorosamente per terra. Era la vecchia scatola della nonna Alba, con quel velo di polvere che hanno gli oggetti presenti ma dimenticati.
La latta un po' si ammaccò e quando Emma cercò di aprirla fece un po' di fatica. Poi all’improvviso… clack. Emma sentì all’improvviso odore di tabacco e guardò subito dentro…
“Cele Cele guarda un sigaro di nonno Artemio, noooo ecco dove nonna aveva nascosto lo yo yo che avevo lanciato in testa a Gino, che sbrego in testa ragazzi”
Poi fu subito silenzio. Si guardò la mano sinistra e la vide… la fede nuziale di sua nonna era sempre stata lì, da quando la sua anima decise di lasciare quel suo saggio corpo terreno. Né troppo larga né troppo stretta, perfetta.
Celestina abbracciò con tenerezza Emma, anche per lei la nonna Alba era stata in un certo modo sua nonna.
“Ti ricordi quando Alba mi regalò un pennello finissimo appena seppe che mi ero iscritta al Liceo artistico?”
“No, sinceramente non me lo ricordo” 
“Mi disse – ‘Eccoti un pennello speciale così potrai disegnare occhi meravigliosi…cara Celestina, ricorda l’importanza degli occhi!’”

Emma sentiva il tiepido calore delle lacrime scendere delicatamente sulle sue guance. Aprì lentamente gli occhi annebbiati, invasa dalla nostalgia e la tenerezza che quel profumo aveva liberato in lei. Prese lo smartphone, aprì whatsapp, cercò la foto del panda e scrisse: “Questa volta mi sono ricordata di mettere la cannella”
Patricia Scioli
Emma rigirava nervosamente la fede nuziale fra le dita. La tazza di tè a raffreddare sul tavolino, mentre guardava l’ennesima cartolina da New York appena arrivata. Ricordava esattamente le circostanze che l’avevano portata a ricevere tutte quelle cartoline. Era stata una pazzia, la storia di un giorno che lei si stava imponendo dovesse rimanere tale, ma senza troppo successo.
Era stata a New York due mesi prima per accompagnare il marito che doveva tenere una conferenza sugli impianti ortodontici, e così ne aveva approfittato per girare quei deliziosi negozi di cianfrusaglie che erano spuntati come funghi nel cuore di Manhattan. Era in un negozietto in stile europeo gestito da una simpatica signora di origini italiane, indecisa se prendere una antica scatola di Tè oppure uno yo yo senza corda dei primi anni 40. Una voce alle sue spalle l’aveva fatta sobbalzare: “la scatola rappresenta la ricerca di stabilità, lo yo yo rappresenta invece la voglia di lasciarsi andare per un momento, giusto per vedere cosa si prova, per poi tornare alla normalità della propria vita”.
Emma, voltatasi, si era trovata di fronte un uomo decisamente affascinante: la barba folta con qualche spruzzata di grigio, i capelli lunghi raccolti in un codino, due occhi che sembrano rubarti l’anima. Era successo tutto molto in fretta, il tempo di un caffè e di due chiacchiere mentre lui finiva il suo sigaro cubano, e stavano già premendo il campanello da reception di un alberghetto lì vicino.
Dopo tre ore lui era sparito. Rimaneva la traccia del suo profumo, l’aroma intenso del sigaro e un post-it di un assurdo color rosa acceso che recava la scritta “yo yo or tea box? Kisses, Mike”.
Al ritorno in Italia erano cominciate ad arrivare le cartoline, tutte con la stessa frase del post-it: “yo yo or tea box?”. Il marito di Emma, distratto e assente, non ci aveva fatto caso ma Emma, che non sapeva praticamente nulla del suo misterioso amante, aveva cominciato una serie di ricerche; scoprì che Mike Wasinsky era un pittore emergente nella scena post-industriale di New York. I suoi quadri intensi ed appassionati, stavano raggiungendo cifre da record nelle gallerie che esponevano i suoi quadri, ed addirittura il suo primo pennello, che usava quando ancora non lo conosceva nessuno, era stato battuto a cinquemila dollari all’asta di beneficenza di Marriot’s.
Le cartoline cominciavano ad accumularsi in gran numero in fondo al primo cassetto della credenza, e la domanda che Emma continuava a porsi – stabilità o follia? Scatola da tè o yo-yo – rimbalzava nella sua mente e nel suo cuore. Emma amava il marito, un brillante odontotecnico che stava cominciando a raccogliere consensi in ambito internazionale, ma il suo ormai decennale matrimonio scorreva sui binari della noia e di un marito più attento ai perni in titanio che ad una moglie ancora bellissima e trascurata, tant’è che non aveva nemmeno chiesto una spiegazione relativa a quelle strambe cartoline da una città visitata solamente due mesi prima. Viveva la sua vita come una normale donna di casa in un paesino della campagna toscana, con quel desiderio di follia che le cartoline avevano innescato. New York e il suo pittore misterioso continuavano ad ossessionarla con le cartoline, e se lui era stato tanto scaltro da recuperare il suo indirizzo tramite il passaporto, lei decise di essere altrettanto scaltra e recuperare l’ubicazione del suo studio tramite la potenza di internet.
Organizzare il viaggio tramite la complicità di due amiche opportunamente istruite in una cena a base di risatine e di “conta pure su di noi” risultò semplice, e dopo un viaggio aereo pieno di dubbi, ripensamenti e sensi di colpa, si ritrovò fuori da un taxi davanti alla facciata di mattoni rossi di una vecchia fabbrica di sardine riconvertita a loft. Fece un gran respiro e suonò alla porta; davanti ad un esterrefatto Mike disse una sola parola, anzi due: “yo-yo”.
Beppe Carta 
Sono già sei mesi che mi aggiro per questo Limbo. Perché? Di certo non voglio rischiare di annoiarmi per l’Eternità!
Non è scontato trovare la persona giusta con cui passare il tempo in Paradiso!
Ed “Eternità” è un tempo lunghissimo.
In Paradiso ci sono spazi così ampi, quasi infiniti, che potresti stare giorni, mesi (anni?) senza incontrare nessuno. Non ci voglio nemmeno pensare a quest’eventualità!
Devo quindi approfittare del momento dell’entrata di nuove persone per trovare quella giusta.

Quest’idea mi è venuta in mente durante l’Incontro Introduttivo. Vengono fatti degli incontri iniziali, non appena arrivi: per metterti a tuo agio, spiegarti come è fatto e come funziona il Paradiso, per integrarti nella nuova situazione nel modo migliore. Ma a me, mentre lo Spirito Santo sorrideva gentile e San Pietro parlava, è salita un’ansia pazzesca: altro che momento di conforto.

Appena San Pietro ha terminato, mi sono messo vicino all’entrata, accanto a quelli di Lotta Comunista. Sì, perché in Paradiso c’è anche la lotta di classe: ti associano ad un Livello in base ai peccati fatti nella tua vita ed anche se poi non esistono zone separate, c’è una selezione naturale. I Santi stanno coi Santi (Livello1), i preti buoni ed i Papi sono in genere al Livello2, e via così fino al Livello10. E per alcuni è inaccettabile.
Io, avendo ricevuto un livello basso (Livello8), non voglio ritrovarmi o solo o accompagnato da degli sciagurati.
Dunque, distribuisco volantini, proprio in accoglienza ai nuovi arrivati. In più ho messo volantini dovunque, su ogni bacheca o nuvola disponibile.
Se intercetto le persone giuste all’entrata, prima che si uniscano ad altri, le posso selezionare.
Sui volantini viene indicato un appuntamento, praticamente ogni giorno alle 10 di mattina faccio un “casting”. Già avevo iniziato una selezione ad occhio: lo stralunato eclettico lo riconosco a 20 km di distanza. Poi devo dire che ad ogni selezione imparo qualcosa di nuovo, faccio esperienza e scarto ogni volta con più facilità.
Per esempio, dopo la prima settimana e pensandoci bene, ho deciso che devo cercarne due di persone. Non più di due, perché rischiamo di ucciderci dopo tre giorni sulla decisione della direzione da prendere.
E poi, volevo copiare la Trinità.
Che caratteristiche deve avere uno/una con cui devi condividere l’eternità?
E’ difficile decidere. Partiamo da cosa NON deve avere.
Non deve sapere cucinare: il cibo non sarà un problema, perché non avremo bisogni. Non avremo desideri di nessun genere, non dobbiamo né mangiare né dormire, perché siamo nutriti dalla luce.
Non deve essere attraente, non ci sono bisogni sessuali.
Deve essere divertente e pieno di iniziative. Deve avere un sacco di argomenti di cui parlare e di giochi da proporre da qui a…Per Sempre.
La Luce può tutto, ma non allontanare la Noia.
Al casting mi presento con un campanello da reception ed una coccarda da festeggiata: la prima per allontanare chi viene scartato; la seconda per premiare i prescelti. Li ho comprati allo spaccio paradisiaco con alcune Buoni Buone Azioni. Sono oggetti temporanei, che dopo 3 settimane scompaiono, perché anche il senso del possesso, in Paradiso, non esiste.

Quando troverò le persone giuste le riconoscerò, sono sicuro.
Dopo un po’ di tentativi, ho smesso di domandare “Mi dica 3 suoi punti di forza e 3 suoi punti deboli” – perchè i parametri terresti sono cosi diversi - e “Cosa ha fatto scrivere sulla sua Lapide?” – il 90% delle persone piangeva.
La mia richiesta standard adesso è:
- Immagini un oggetto per lei importante e significativo della sua Vita, prenda un poco di Nuvola, lo modelli e mi spieghi perché è così importante.

Il peggiore per me è stato quello che ha plasmato una fede nuziale e con gli occhi lucidi mi ha detto: “Non vedo l’ora di ricongiungermi con mia moglie perché senza di lei nulla ha più senso. Lei, il mio unico sole, la mia...”. Driiiin. Campanello suonato.
Il terzo incomodo no, non lo voglio fare e tra moglie e marito meglio non mettere il dito.
Un altro ha modellato un sigaro, sostenendo che i suoi momenti migliori li ha passati sul terrazzo in sua compagnia. Driiiin.
Non vorrei che poi me lo ritrovo inebetito a giocare con uno yo-yo, alla ricerca del gesto e della ripetizione abitudinaria ed a me non considera nemmeno.

Questo limbo diventerà forse il mio Inferno? Oppure, nella continua ricerca, ho scoperto il modo per non annoiarmi mai?
Marianna Palmerini
Il lampadario ondeggiava leggermente sulle nostre teste mentre servivo il tè ai signori. Lei, elegante e distaccata, tradiva un leggero nervosismo solo dalle dita che continuavano a giocherellare con la fede nuziale. Lui, che alla destra teneva la tazza ricolma di liquido amaro e alla sinistra l'immancabile sigaro, borbottava qualcosa tra sé e sé, perso, come spesso accadeva, in uno dei suoi intensi monologhi interiori.
L'allarme cominciò a suonare nel momento in cui la giovane segretaria entrava precipitosamente nella stanza. "Vai pure" mi disse la moglie del Primo Ministro, prima ancora che la procace ragazza avesse il tempo di aprir bocca e dar voce alla sua inelegante mancanza di autocontrollo. "Vai giù con gli altri, sparecchierai dopo con calma". Feci un cenno riconoscente col capo alla signora e mi diressi verso la porta.
"Sarebbe il caso che anche noi ci mettessimo al riparo, non credi caro?" la sentii dire al marito un attimo prima di chiudermi la porta alle spalle. "Un bombardamento all'ora del tè. I tedeschi sono degli incivili".

Jane Pancrazia Cole
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