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Il tredicesimo esercizio del Laboratorio Condiviso di Scrittura è una celebrazione del potere della sintesi e della capacità di scegliere con cura le parole.

Tante piccole storie. C'è chi ne ha scritta solo una, chi qualcuna in più, chi tutta una serie per raccontare punti di vista diversi del medesimo evento.

Siete curiosi?
Buona lettura!



Alla fine andarono tutti via. 
Vincenzo Scalfari



Lei parlava inglese. 
Lui bolognese. 
Al telefono lui parlò di lei. 
Bella, bionda, dalle tette statuarie e le lunghe gambe. 
"What did you tell them?" 
"Oh, mess at work, nothing special". 

*******
Il gabbiano ruppe un'ala. 
E fu subito piccione.

Lucia Del Chiaro

 

Al rientro in ufficio, Zineb mi si era avvicinata, sconsolata, mostrandomi prima il palmo di una mano, poi tre dita dell’altra. Otto. 
Io, allora, tristemente, le avevo mostrato, alzandolo, il palmo di una mia mano ed in più un dito dell’altra: sei. 
I chili presi durante il lockdown. 

*******

Io ero lì. 
Aspettavo oramai da un tempo lunghissimo, che a me sembrava un millennio, il cibo. 
Ululavo al cielo per tutta la mia fame ed il dolore, dando colpi alle sbarre tutta la notte, invocando la pietà dei vicini, ma anche per svegliare quegli stessi infami che il cibo lo avevano. 
Avevo pregato, disperato, perché qualcuno apparisse dal nulla con un vassoio di pane, oppure di patate al forno o addirittura di prosciutto cotto e uova! 
E, invece, all’improvviso, quella mattina, piovvero polpette. 

********

6:28: movimento di gancio – lancio la merenda nel cestino del piccolo Andrea. 
6:30:29: lancio nel paniere del panino di mio marito! 
Uno scricchiolio. 
6:45: Andrea – apro finestra. 
6:50: Francesco – bacio del buongiorno. 
Altro scricchiolio. “Le termiti?” 
8:07 Andrea accompagnato a scuola. 
Non muovo più il braccio sinistro?
8:31 a lavoro. 
No, sono ad un passo dalla porta del lavoro. 
8:32 – sono in ritardo! 
Provo a spostarmi, ma sono diventata un burattino di legno! Cado. 
Mi sono rotta. 

********

Una lotta fratricida era in atto: chi sarebbe arrivato a terra prima? 
Scommesse, digrigni, lanci di resina tra famiglie vicine. 
Spiegateglielo voi che dipende dalla gravità. 

Si sta come 
D’autunno 
Sugli alberi 
Le Foglie.

*******

Ho messo la maionese nel ragù della nonna

Marianna Palmerini 



Una sola tela. 
E qualche avanzo di colore già preparato: un po’ di marrone, poco giallo, un poco più di verde, pochissimo giallo. 
Speriamo che venga a trovarmi, e mi porti qualcosa. 
Théo arrivò. 
Con sé aveva del blu. 
Lo salutò e andò via. 
Vincent iniziò a dipingere. 
E la terra si coprì di iris.

********

Vincent. 
L’Olanda, la Francia. 
La luce, il colore, il buio. 
Zac.

Maria Paola Pennetta 



I passi alle spalle la raggiunsero. 

*******

L'Adozione
"Voglio lui" disse la bimba. 
"wof" rispose Garibaldi. 

*******

Il treno partì. 
Lucia no. 
Marco attese.
Invano.

Jane Pancrazia Cole



Mentre camminava lentamente dietro l’auto lussuosa predisposta per contenere il suo triste carico, la vedova si scoprì ad accennare un lieve sorriso. Si ricompose, sperando di non essere stata notata. Se solo avessero saputo in quali circostanze suo marito si era trovato esanime sul letto, forse avrebbero sorriso anche loro. O forse no. Con lo sguardo basso accompagnò suo marito fino al cimitero, adagiato dentro una bara in una lussuosa auto scintillante. 

*******

La cognata lo chiamò con la voce rotta dal pianto. Il fratello era morto sul letto, ma la vedova suscitò in lui contrastanti emozioni. L’aiutò a ricomporre il corpo del fratello poi la strinse in un abbraccio consolatorio. Le erezioni in quella stanza divennero due. Forse quel leggero sorriso che aveva visto sulla vedova camminando di fianco a lei era dovuto a quello che lui stesso stava pensando? Una piccola speranza si insinuò nel suo animo, misto alla vergogna ed al senso di colpa. 

********

La vecchia signora sulla sedia a rotelle seguiva il corteo, spinta dalla badante sudamericana che era sempre così servizievole e gentile. Sua figlia le aveva detto che il marito era morto di un infarto improvviso, ma lei non le aveva creduto: un uomo così sportivo sempre attento alla cultura del suo corpo non poteva morire così. E provò un po’ di invidia per la fortuna che era toccata alla figlia, al contrario di lei e del suo povero Ugo, che era sempre stato freddo e distaccato. 

*******

Giovanni inserì la prima marcia ridotta del carro funebre. Una splendida autofunebre su base Maserati Ghibli, 3 litri V6 gran lusso, velocità massima 349 chilometri l’ora ed una mostruosa coppia di 700 Nm. Ed a lui toccava inserire la prima ridotta, con una velocità massima di 5 chilometri l’ora. Tutto questo era decisamente frustrante, era sicuro che sarebbe piaciuto anche al morto farsi un bel giro in pista, anche se dentro una bara. Il suo sogno di sempre. 

*******

Con la pala ancora sporca in mano, Filippo pensava che questo fosse uno degli aspetti peggiori del suo lavoro: vedere delle persone piangenti seguire una bara nel suo ultimo viaggio. Ma è ancora peggio quando il morto era un tuo amico, compagno di carte e di belle serate. Ricordò quella sera in cui avevano bevuto entrambi, cosa strana per il suo amico che era sempre così attento al suo corpo, ed erano finiti a baciarsi furiosamente nel retro del locale. Una lacrima scorse sul suo volto. 

*******

Don Mario procedeva dietro al carro funebre recitando preghiere e pensando che un uomo così onesto e retto fosse merce rara. Lo aveva visto tutte le domeniche a messa, diventando prima il suo confessore poi suo amico. La sua morte lo aveva colpito nel profondo, e quando vide un leggero sorriso sul volto della vedova si accigliò, facendogli perdere il filo delle preghiere. Pensò con stizza che a questo mondo le persone ciniche fanno uno sgarbo a Nostro Signore. 

*******

La vista dall’alto regalava un bel colpo d’occhio: il carro funebre seguito dal prete, i parenti e tutti gli amici. “Peccato”, pensò quando l’auto imboccava il vialetto del cimitero, “mi sarebbe piaciuto vivere ancora qualche anno per godere ancora quello che la vita mi aveva regalato”. Vide il sorriso della moglie, e non potè fare a meno di pensare che fosse stato davvero un bel modo di andarsene, mentre facevano sesso. Era sicuro che lo stesse pensando anche lei.

Beppe Carta

La Quinta Strada dove si scoprono cose nuove ad ogni angolo, inclusa la cattedrale di San Patrizio, bella, imponente e con la follia tutta americana di un distributore automatico di acqua santa. Non mi fate quell’aria sconvolta: in fondo si tratta solo della versione più moderna e molto più igienica delle nostre acquasantiere. 

Il Rockefeller Center che regala uno degli scorci più tipici, cinematografici e natalizi. Ma è giugno quindi niente albero e niente pista di pattinaggio, ciccia! 

La Sesta Strada dove c'imbattiamo nella fiera dello street food. No, non è un'arguta metafora, c'è proprio la fiera dello street food. Che se c'è una cosa di cui la città non avrebbe bisogno è proprio la fiera del cibo di strada, essendo già ogni giorno il regno dei carretti calorici. Sempre siano lodati! 

Le stradine con le case belle di mattoni rossi, le scale antincendio e l'ingresso con 4 o 5 gradini. Una foto e "sembra la casa dei Robinson", una foto e "sembra la casa della Tata" , una foto e "la casa di Friends dove sarà?" "E il Central Perk?" "Guarda che il Central Perk non esiste" "Stai scherzando???" 

L'Upper East Side, ricco ricco ricco, lungo lungo lungo e pure in salita... Dipende da che lato lo prendi, ovviamente. Noi da quello sbagliato, ovviamente. 

Le tavole calde con i bicchieroni d'acqua gratuiti e i piatti carne e contorno "Regular o Big?". Tu ordini "regular" e se ne arrivano con una porzione sufficiente per 5, togliendoti la fame per 48 ore ma non la curiosità su quanto cavolo possa essere grande il piatto “Big”. 

Il palazzo dove viveva John Lennon, il ricordo di John Lennon ai confini del parco e il parco. Il park, Central Park, dove ti sdrai sull'erba e dimentichi di essere in città, dove guardi il lago e pensi che vorresti rimanere a New York per sempre, dove una cantante a piedi nudi si fa accompagnare dai musicisti ed è tutto così perfetto che tu quasi ti commuovi. 

Il Memorial dell'11 settembre in superficie e poi, in profondità, il museo dedicato alla tragedia. Ogni parola in più sarebbe superflua. 

Il ponte di Brooklyn dove una coppia di sposi giapponesi si fotografa. Lei ha l'abito bianco e il velo, lui lo smoking. Saranno due pazzi? Saranno sue sposi veri? Nel dubbio ci fermiamo tutti a immortalarli a nostra volta e i ciclisti spietati quasi ci abbattono come birilli. Ma sopravviviamo arriviamo dall'altra parte e ci godiamo quel gioiello che una volta era Broccolino mentre ora, gentrificato e rivoluzionato, è il mio quartiere dei sogni dove trasferirsi per sempre. Dove si fanno delle foto pazzesche con ponti sullo sfondo, dove ci si perde in un mercatino tra artisti, vecchie palle di baseball e figurine dei giocatori come quelle che si scambiavano i bambini nei film di una volta. Mentre un bambino di adesso pizzica i piedi di marito con il monopattino e la madre ci chiede scusa e si genuflette mortificatissima. 


Perché a New York ovviamente ci stanno pure le persone, gli americani, i newyorkesi, mediamente molto più educati di noi italiani, tutto uno scusa e un grazie e un prego. Molto più espansivi di noi torinesi. Che, in effetti, non ci vuole moltissimo. Marito, complice le magliette da nerd e l'aspetto yankee, attacca bottone con chiunque. O meglio, chiunque, attacca bottone con lui. Tv e cinema spesso descrivono i newyorkesi come freddi e maleducati, bah sarà, con noi non lo sono affatto. Rispetto a noi, invece, una cosa è uguale uguale: attraversano la strada da kamikaze arroganti, ignorando sfrontatamente i semafori. Questo fa tanto casa ma io, nonostante l’assicurazione sanitaria faraonica che abbiamo deciso di sottoscrivete prima della partenza, preferisco aspettare il verde eh. 

Times Square che è sempre piena di gente, di giorno e di notte. Turisti, cabarettisti e attori. Cerchiamo la fila per comprare i biglietti per gli spettacoli di Broadway. La troviamo. Abbiamo almeno 40 persone davanti. Una ragazza ci passa un volantino dove sono indicati tutti i punti vendita a Manhattan, scopriamo che oltre a questo che ne sono altri due meno centrali. Ci riproviamo il giorno dopo in uno di questi due. Abbiamo 4 persone davanti. Scegliamo di andare a vedere Chicago. Le attrici cantano ballano e recitano, le ballerine cantano recitano e ballano. I musicisti musicano. Mai vista tanta perfezione in scena. Un orologio svizzero dal cuore pulsante e passionale. Meraviglia. Tra un atto e l'altro passa il ragazzo con vivande e snack. A glass of wine, ordina un tizio a pochi posti da noi. Gli viene consegnato un pinot grigio in un bicchierone di cartone per la bellezze di 30 dollari. Il tizio, per la cronaca, non fa un plissé sentendo il prezzo. Noi. Marito ed io, invece, pianifichiamo di spacciare Tavernello per Barolo e di mettere su un business milionario. 

Lo sport nazionale, il baseball. Andiamo nel Bronx a vedere i New York Yankees. Contro i Tampa Bay. I primi asfaltano i secondi. Kevin Costner saluta alla kiss cam. E noi orgogliosi sfoggiamo cappellino e maglietta, partecipando ad un rito collettivo fatto di gioia e cibo. 

Il Lincoln Center con l'Opera, il balletto e la Juilliard – pazzesca scuola di arte, musica e spettacolo. Ed è subito: “se rinasco faccio la ballerina”. La cantante no, perché neanche in un'altra vita riesco ad immaginarmi intonata.

Continua...

Prologo, Partenza, New York – Prima Parte

Ormai lavoro nell'ambito della scrittura e della comunicazione da mooolti anni. Ho partecipato a numerosi progetti che ho amato e che mi hanno resa fiera. Quello di cui vi parlo oggi è il più recente.

Ho contribuito alla realizzazione di un nuovo podcast. Il titolo è True Colors, l'argomento trattato: la violenza sulle donne.

Storie di (terribile) ordinaria violenza in Italia e in tutto il mondo, raccontate da donne per le donne, per sensibilizzare il mondo maschile e le nuove generazioni. Per contrastare gli stereotipi di genere nella società e promuovere il diritto per le donne a una vita senza violenza.

In questo primo episodio, Grazia Biondi si racconta attraverso la voce di Patrizia Giangrand, inoltre si possono ascoltare le riflessioni di Giustiniano La Vecchia, le letture di Francesca Melis e Gianni Gaude, e i  meravigliosi brani interpretati da Mario Rosini.

Il podcast è disponibile su due piattaforme:

SPOTIFY⁣⁣⁣ TrueColorsPodcast

SPREAKER TrueColorsSpreaker

True Colors sostiene la Fondazione Villa Gaia di Isa Maggi. Se volete contribuire alla nascita di Villa Gaia, una casa per ospitare donne vittime di violenza, potete donare su: 
Fondazione Villa Gaia Onlus 
IBAN: IT54G0501801600000016908485

Buon ascolto.


È arrivata ufficialmente l'estate e, soprattutto, è arrivato prepotentemente il caldo. Quindi, i miei primi consigli per questo luglio 2020 non possono che essere: state all'ombra, non uscite nelle ore più calde della giornata e, soprattutto, bevete molto. Ok, con il momento stupideraStudioAperto ho dato, e ora posso passare ai consigli quelli veri, più interessanti e, magari, un attimo più ricercati. I miei consigli su cosa fare, vedere, ascoltare in questo luglio 2020. 
Ecco che si comincia, prendete appunti! 

È partito il 23 giugno ma continuerà per tutto luglio: Salto Notte, l'estate del Salone Internazionale del Libro in diretta ogni martedì alle 22:30 sul sito salonelibro.it. Chiacchiere e libri dai luoghi della cultura di Roma, Milano e, naturalmente, Torino. Il prossimo appuntamento è per martedì 7 luglio.
https://www.salonelibro.it/ita/il-salone/chi-siamo/salto-notte
https://www.salonelibro.it/ita/

Ho appena visto un documentario su Netflix, si intitola Disclosure, e mi sento di consigliarvelo caldamente. Parla della rappresentazione dei transessuali nei media e di ciò che significa per i giovani  spettatori transessuali. L'assunto di partenza è questo: oltre l'80% degli americani non conosce personalmente neanche un transgender, ciò significa che molti imparano a conoscere le persone trans dai modi in cui vengono rappresentate nei film e in TV. Ciò vale per i giovani transgender stessi e vale sicuramente anche per l'Italia con numeri presumibilmente simili. 
Mi spiego meglio: immaginate di essere un bambino/ragazzino/bambina/ragazzina che non si sente nel corpo "giusto", che sa di voler essere altro. Questo bambino presumibilmente non conosce dei transessuali, non ha nessuno con cui confrontarsi o identificarsi, e dove lo cerca?  Nei media. E cosa trova? Fino a pochissimi anni fa trovava SOLO transessuali che si prostituivano, che si prostituivano e venivano trucidati (CSI e via dicendo c'hanno campato per anni con storie così), oppure che trucidavano a loro volta (vi ricordate Buffalo Bill del Silenzio degli Innocenti?). Non esisteva una rappresentazione "normale". I transessuali venivano rappresentati come vittime, molto spesso, o come carnefici squilibrati. Ora le cose stanno cambiando, per fortuna, ma c'è ancora moltissima strada da fare. 
Guardate questo documentario, davvero, dedicate un'ora e mezza a un punto di vista che non sia il vostro, non potrà farvi che bene.
https://youtu.be/ysbX6JUlaEc 

E, a proposito di bambini che osservano il mondo, io ho trascorso metà della mia infanzia sul divano di Stefania. Chi era Stefania? La parrucchiera di mia madre. A quei tempi non si prendevano appuntamenti, si arrivava e ci si metteva in attesa. E così tra l'attesa, la tinta e il taglio, io ho trascorso numerosissimi sabati pomeriggio della mia età dell'oro seduta sul divano in velluto del negozio di Stefania. Ore passate a leggere, prima i vari topolino, poi, finiti quelli, tutti i giornaletti di gossip dell'epoca. Insomma sono cresciuta a botte di Diana, Carolina e Sarah Ferguson. Crescendo, poi, i gusti si sono un po' raffinati e alla passione per il gossip reale si è sostituita quella per la storia delle casate reali, Windsor in testa. Tutto questo per dire cosa? Per dire che, se vi è preso un colpo di fronte allo spettacolare diadema di Eugenie, se aspettate con ansia la prossima stagione di The Crown, se non vi siete perso uno dei film dedicati ad Elisabetta I o a Maria Stuarda – piangendo per la Scozia ma sognando di essere Elisabetta–, allora seguite su Facebook, ma soprattutto su Instagram, Marina Minelli, esperta di Royal, storica e scrittrice che parla del passato e del presente delle casate, oltre che della storia di tiare, spille e brillocchi grandi come pagnotte!
https://www.facebook.com/MarinaMinelliroyalblogger/
https://www.instagram.com/marina_minelli_/

Ma non avevamo detto che è estate? Sì, e quindi bisogna godere anche dell'aria fresca e, a tal proposito, di cose da suggerire in tutta la penisola ce ne sarebbero a bizzeffe, e per questa volta ho scelto Arte Sella, una grande esposizione di arte contemporanea all'aperto, nei boschi e sui prati della Val di Sella presso Borgo Valsugana, in Trentino. Un luogo magico che riunisce la magnificenza della natura con il genio creativo dell'uomo. Aperto tutti i giorni dalle alle 10 alle 19. Tutte le informazioni le trovate sul sito http://www.artesella.it/it/.

Sono giunta alla fine, e ho deciso di chiudere i consigli di questo mese con uno che riguarda la mia città e i mie amici. In particolare due miei amici che vivono di teatro e al teatro hanno dato e danno tantissimo ogni giorno. Sono Mauro Stante e Franco Abba, direttori, proprietari, padri del magico Piccolo Teatro Comico di via Mombarcaro 99/B a Torino. C'è una bella notizia: il Piccolo Teatro finalmente riapre, sono stati mesi difficili, non fatevi trovare impreparati, tornate ad occuparne le sedioline e a razziarne il buffet! Domani, venerdì, ci saranno i Mammuth, mentre sabato il Quartetto C'Era con Stefano Gorno.
https://www.facebook.com/piccoloteatrocomico/ 
https://www.facebook.com/events/599414034023341/
https://www.facebook.com/events/369627677573548/

E i personaggi secondari si decisero finalmente a scendere in piazza. Ribaltarono trame, imbrogliarono intrecci, malmenarono indegni protagonisti. 
La rivoluzione ebbe inizio.

Questo è un micro racconto, l'ho scritto io anni fa, lo amo molto. Sappiatelo.

Voi avete mai scritto un micro racconto? No? Bene, inizierete oggi grazie al Laboratorio Condiviso.

Un micro racconto, o mini racconto, o microracconto, o miniracconto – come vi pare! – è un testo breve, anzi brevissimo, che riesce a contenere al suo interno una storia intera. Poche parole, scelte con cura, per raccontare misteri, avventure, grandi amori!

Io adoro questo tipo di narrazione perché è immediata e al tempo stesso complessa. In grado di mettere tutto il mondo sopra una capocchia di spillo, grazie all'ispirazione del momento seguita da un lavoro di fino da orologiaio.


Un micro racconto può essere ricco d'ironia, magari con un colpo di scena finale, tipo questo:

Lei lo condusse nella stanza in fondo al corridoio. Lui la seguì. Detestava i convenevoli, preferiva darsi da fare, arrivare subito al sodo. 
Varcarono la soglia. Le luci erano soffuse. Il letto grande. 
Lui si tolse la giacca. Allentò la cravatta. Sbottonò i polsini. Arrotolò le maniche. Lei avvertì un leggero capogiro. Lui la sorresse. 

"Non si preoccupi. Ora penseremo a tutto noi. Noi, delle Onoranze Rampini"


Oppure può essere costruito su un gioco di parole, tipo quest'altro:

"ZAC", dissero le forbici tagliando i ponti.


O ancora può inserire nella narrazione il titolo stesso, come in questo caso:

IL TONFO
Finalmente si decise a fare un passo avanti.
L'ultimo.


Le possibilità sono infinite, la libertà è ampia, l'unico obbligo è la brevità.

Raccontatemi ciò che volete e mandatemi quanti microracconti potete – vabbè, facciamo fino a un massimo di dieci –, avete tempo fino a domenica 12 luglio alle ore 12.

Per tutti gli esempi che volete, sbirciate pure sul blog oppure buttatevi su google, troverete davvero un'infinità di proposte. 

Lo so che vi state chiedendo: ma la lunghezza? Vi lascio un limite massimo di  500 caratteri, spazi inclusi. Sono tantissimi, probabilmente ve ne serviranno di meno.

Buona scrittura e, questa volta più che mai, buon divertimento!


Tipo di testo: micro/mini racconto. 
Numero di testi: non più di 10.
Lunghezza testo: dai 3 ai 500 caratteri, spazi inclusi. 
Email: janecole@live.it. 
Oggetto: laboratorio condiviso di scrittura. 
Specificare nel testo dell’email se volete restare anonimi o meno, se volete essere taggati (su FB) o meno. Scadenza per far pervenire il testo: domenica 12 luglio 2020, ore 12.

Volete leggere tutte le piccole storie nate da questo esercizio? Le trovate qui.
Un matrimonio interrotto da una nonna molesta con un perentorio "No, no, no, voi due non potete sposarvi!" 

Questo era il punto di partenza del dodicesimo esercizio del Laboratorio Condiviso di Scrittura. I partecipanti dovevano spiegare, a modo loro, le motivazioni che avevano portato all'exploit della nonna.

A seguire tutte le diverse versioni che raccontano "Cos'è andato storto?"

Ma prima di queste permettetemi una piccola confessione: la protagonista dell'esercizio non si chiama Rosa per caso. Nonna Rosa era la mia nonna materna, un donnone dal carattere forte, la voce potente e la risata contagiosa. Nella sua lunga vita, affollata di figli e nipoti, non è mai capitato che interrompesse un matrimonio ma, nel caso l'avesse ritenuto necessario, sono sicura che non si sarebbe fatta alcuno scrupolo a farlo. Ciao nonna, qua ti si pensa sempre e questo esercizio è tutto per te.

Buona lettura.




Sara si girò di scatto, udendo stupita la voce della sua amata nonna, dalla quale aveva anche preso il nome. In Sicilia uno dei più popolari diminuitivi di Rosaria – o Rosa – è infatti Sara.
“Nonna mia, cosa stai dicendo?”
“Saretta, amore mio, non sono impazzita! Voi due non potete sposarvi” – disse, tirando su il naso – “Non adesso, non così almeno.”
Silenzio.
La cerimonia, così formale, così solenne, celebrata nella chiesa a cielo aperto nel giardino della villa appartenuta alla famiglia di Sara da generazioni, aveva reso inerti gli ospiti a seguito di quel “contrattempo”.
Non si sentiva volare una mosca, solo il mare che sbatteva contro la scogliera sulla quale il giardino si affacciava.
Non sapete cos’è una chiesa a cielo aperto? Non avete presente San Galgano? Non interrompete per piacere con domande sciocche.
Dove ero rimasto? Ah. Non si sentiva volare una mosca, solo il mare che sbatteva contro la scogliera sulla quale il giardino si affacciava.

Solo dopo qualche minuto lo sposo aveva iniziato a muovere pian piano i muscoli del suo viso, passando dallo stupore alla rabbia. E, inveendo a male parole, iniziò a muoversi verso la vecchina, non potendo pensare che a potenziali tradimenti (presenti o passati) o ad un’incipiente demenza senile, come del resto, state facendo tutti voi. 
Solo la caduta del parrucchino di suo padre – che improvvisamente si era svegliato dal torpore, in quella scacchiera di spettatori oramai immobili, e di scatto gli era andato incontro – lo aveva calmato e fatto sorridere, consapevole dell’incapacità del suo genitore di accettare l’invecchiamento e della conseguente capacità di sfociare così facilmente nel ridicolo.
“Beh, ognuno ha le sue” – pensò, propendendo verso la versione “incipiente demenza senile” della nonna acquisita. Raggiunse Sara, accovacciata ad ascoltare la nonna seduta sulla carrozzina, e le mise una mano sulla spalla. Lei si girò, i loro sguardi si incontraroro e si sorrisero: non sarebbe bastato certo un episodio così a dividerli.

“Dimmi, nonna Rosa, perchè non ci possiamo sposare?” – continuò.
“Amore mio, lo vedi questo fazzoletto di lino? Mi stavo soffiando il naso e ho visto queste lettere ricamate sopra: RR. Rosaria Raspini, mia nonna. Dall’inizio dell’ottocento ci stiamo tramandando in famiglia il nome, da nonna a nipote. Ed anche una tradizione ad esso legata. Purtroppo, ogni tanto mi dimentico le cose...”
Francesco sorrise e le si avvicinò per darle un buffetto su una gota.
“Quindi? Cosa dobbiamo fare? Cosa manca?” – disse Sara guardando anche sua madre, che sembrava avere un punto interrogativo sulla fronte. Sotto lo sguardo di Sara, improvvisamente si accese ed iniziò conpulsivamente a chiamare il dottore di sua suocera plurime volte e senza successo – maledicendo sotto voce la sanità pubblica e gli statali – e poi a correre verso il catering, e la perdemmo di vista, prima dietro le aiuole e poi dietro l’angolo della villa.

“Ogni sposa deve portare con sé all’altare una rosa essicata, presa dal bouquet del matrimonio della Rosa precedente e recitare un pezzo dal suo libro preferito. Dentro questo libro la novella sposa inserirà una rosa fresca e lo rimetterà nella nostra biblioteca. In attesa del matrimonio successivo.” – raccontò nonna Rosa.
“Allora è semplice! Nonna Rosa, qual è il tuo libro preferito? Che pezzo hai recitato al tuo matrimonio?” – rispose sorridente Sara.
La risposta era quasi scontata: “Cara mia, era quello... no quell’altro... aspetta... aveva le pagine blu!”
In questi momenti, Sara avrebbe tanto voluto ci fosse sempre il suo nonno, che, oltre ad essere il suo nonno preferito, era anche un po’ la memoria storica della famiglia, che sapeva come farla stare insieme e che col suo sorriso sdrammatizzava ogni situazione.
Sara prese la mano del suo futuro marito e si spostò in mezzo alle panche dove si trovavano gli invitati. “Cari tutti, come sapete siamo così felici di avervi tutti qui oggi a celebrare con noi questa nostra felicità. Abbiamo questo imprevisto, non ci possiamo sposare senza che io abbia la rosa essiccata che ci tramandiamo di sposa in sposa nella mia famiglia. Le tradizioni vanno rispettate.
Cosa abbiamo da perdere? Diamo un tocco di inatteso a questo matrimonio! Trasformiamo questo imprevisto in un gioco, in una piccola caccia al tesoro. Il celebrante ci farà la cortesia di attenderci?” – disse sorridendo al parroco del paese, anche lui invitato al successivo banchetto. Come avrebbe potuto dire di no? “Ci sposteremo tutti all’interno della villa, nella biblioteca. Siamo in 100, i libri sono circa 4.000, ne controlliamo 40 a testa e chi troverà la rosa verrà adeguatamente ricompensato! Avrete così tutti anche modo di vedere le sale più affascinanti della villa. Vi chiedo cortesemente di seguirmi.”

Cosa pensate che sia successo? Come una mandria di pecore tutti gli invitati uscirono dalla chiesa e si spostarono verso la villa e non appena raggiunto il giardino c’era chi mugugnava, chi fumava il sigaro, la zia Lucia rinunciava definitivamente a calzare ancora le scarpe. 
Il papà di Sara, sornione, era invece rimasto a chiacchierare con sua mamma: “Mamma, sei la regina della confusione. Era il caso di scatenare questo putiferio?”
“Che putiferio, mio Luigi?”

“Ecco a voi, cari tutti, la biblioteca” – riprese Sara, non lasciando mai un momento la mano del suo Francesco – “vi prego, aiutatemi a trovare la “rosa” essiccata.” 
Adesso una mandria di tori si era lanciata verso le sale, spandendosi come l’olio ovunque. Adesso era la fretta di concludere la cerimonia e di iniziare il banchetto la forza motrice più forte di molti. 

“Sara! Ecco ho trovato qualcosa!” – urlò la sua migliore amica arrampicata sulla scala con i tacchi a spillo ed il vestito da damigella – “Ma è solo un biglietto dell’autobus usato come segnalibro”
“Sara Sara Sara!” – si avvicinò la cuginetta di 8 anni, ma solo per mostrare la nuova collezione di ragni di biblioteca.
Il prozio Mario, invece, si era messo a sedere sulla poltrona a leggere “La geopolitica anglosassone” con i piedi su un tavolino. 

Sara pensò: “Cosa mi sono messa in mente? Seguire le idee di una donna così anziana ed un po’ fuori di testa.
Non ce la faremo mai”. In quell’esatto momento, come se le leggesse nella mente, Francesco la strinse forte tra le sue braccia. E la baciò come se non ci fosse nessun altro al mondo. Sara, un po’ destabilizzata, in quel momento sentì che forse, dopo un quarto d’ora perso, potevano anche continuare con il loro matrim...
“Aspetta aspetta aspetta Francesco! Prendi la scala! L’ho visto! Il libro con la costola blu! È lì! È cobalto, impossibile da scambiare con qualcos’altro!” 
Ed effettivamente la nonna aveva ragione: dentro c’era una rosa oramai seccata ed un foglio A4 ripiegato su sè stesso. Sara lo aprì ed una piccola lacrima le scese sulla guancia. 
“Andiamo Francy! Ragazzi, zii, zie, cugini, mamme, qui abbiamo finito! Grazie mille! Possiamo tornare in giardino per la mia lettura e lo scambio degli anelli! Grazie mille: ho scoperto un tesoro!” 

Fu difficile riunire di nuovo tutti, ma dopo ancora un altro quarto d’ora, eravamo di nuovo tutti in chiesa.
Sara, non appena raccolta l’attenzione di tutti, iniziò di nuovo: 
“La tradizione a quanto pare dice di leggere un brano da un libro. Io, con questa simbolica rosa in mano, vi voglio leggere invece una lettera. 

Cara mia Saretta,
se stai leggendo questa lettera ti stai sposando ed io non ci sono più. 
Sarebbe stata un’emozione forte per me esserci, in un intensificarsi di emozioni, a partire dalla tua nascita, alla tua comunione, al tuo diploma, fino alla laurea. 
La prima cosa che ho visto di te è stato quel ricciolo biondo sbarazzino: eri te. Lo sapevo fin dal primo momento che con la tua determinazione non mi avresti deluso. 
Eppure io non ci sono più. Almeno questo tu pensi: non ci sono più a vedere ogni tua gara di nuoto, ad intervenire nei tuoi battibecchi con tua mamma, non cammino più con te nel parco facendoti scoprire ogni varietà di nuova pianta o fiore. 
Questo è quello che tu pensi. 
Ma non è vero, perchè io sono in ogni tuo ricordo, in ogni tuo movimento, in ogni fiore nuovo che cresce sul tuo terrazzino. 
Ed anche oggi sono qui, in prima fila, sulla prima panca, in trepidante attesa di vedere questo tuo giorno speciale ed infine darti un bacio sulla tua meravigliosa testolina. 
Augurandoti tutto l’amore possibile ed un matrimonio felice: come quello mio e di tua nonna Rosa. Ogni singolo giorno insieme noi lo abbiamo vissuto tenendoci mano nella mano e lo abbiamo concluso intrecciando i piedi insieme ogni notte. Spero tu possa avere lo stesso, ma vigilerò sempre anche io perchè ciò avvenga. 

Sempre con te, 
Nonno Sebastiano” 

Beh cosa credete? È stato facile mettere in mano a Rosa quel fazzoletto di lino: conosco bene mia moglie e gli oggetti che le fanno tornare a mente i ricordi. 
Come avrei potuto non esserci davvero anche io al matrimonio della mia nipotina? 

Marianna Palmerini 



Nonna Rosa continuava a sventolare il fazzoletto di lino come una bandiera, agitando la mano. 
Sara scambiò uno sguardo di intesa con Francesco e le corse incontro per capire, placare questa improvvisa resa della nonna ad ogni buon senso. 

“Nonna, cosa dici? Perché non possiamo sposarci? Stai bene? Vuoi un sorso d’acqua? Nonna, che succede?” 

Nel frattempo, in ordine sparso: la madre della sposa minimizzava il disastro con sorrisi imbarazzati rivolti a chiunque incrociasse il suo sguardo, sussurrando a mezza voce, ma avendo cura di farsi sentire da tutti, che era stata un’imprudenza dare alla nonna un bicchierino di spumante prima della cerimonia;     gli zii dottori, rispettivamente proctologo e ortopedico, dispensavano nozioni sull’impatto emotivo delle cerimonie nelle persone sensibili; la madre dello sposo guardava con insistenza il suo figliolo solo soletto all’altare per cercare di carpirgli in modalità telepatica la ragione di quel baccano;     gli invitati si scambiavano sguardi allarmati, ciascuno pensando che no, non poteva saltare il matrimonio! 

E poi nonna Rosa si guardò intorno, spaesata e imbarazzata, lesse negli occhi della nipote la grande preoccupazione e le chiese scusa. “Mio Dio, cosa ho combinato Saretta! Sono una vecchia pazza, scusa, scusatemi tutti, Saretta che vergogna!” 
E con lo stesso cipiglio con cui aveva urlato per interrompere la cerimonia, ora pregava Sara di riprenderla, garantendo di star bene, che chissà cosa le era preso, di stare tranquilla che doveva sicuramente essere stato lo spumante! E fece avvicinare al banco anche Francesco, perché aveva rovinato anche la sua festa e lui proprio non se lo meritava, lui che voleva così bene alla Saretta. 

E quindi la cerimonia riprese, don Elio la buttò sullo scherzo, le preghiere furono accolte, le promesse furono fatte, e furono lacrime di gioia per tutti. 

Al ricevimento, Nonna Rosa non toccò il vino e si inumidì appena le labbra di champagne al momento del brindisi. Sorrise a tutti, ad ogni invitato chiese personalmente scusa del suo comportamento. Abbracciò Francesco, strinse a sé Sara. Prese le loro mani tra le sue, augurò loro tutto il bene di questo mondo. Poi andò alla toilette e pianse per dieci minuti filati. Quando uscì, davanti alla porta c’era Irene.

“Nonushka? Che c’è?”
E nonna Rosa si arrese di nuovo, perché a Irene non si dicono bugie, che quando ti guarda ti legge dentro. E raccontò che in chiesa, per un terribile istante, non aveva riconosciuto Sara vestita da sposa, che le era sembrato che Francesco si stesse sposando con un’altra e lei non poteva accettarlo. E poi era stato come risvegliarsi da un sogno… anzi, da un incubo. E raccontò dei vuoti di memoria, della visita dal dottore che continuava a rimandare. Di quanto si sentisse sola da quando il nonno non c’era più. 
“Nonushka, non devi affrontare tutto questo da sola! Ci sono io!” 

Quella sera, Sara e Francesco partirono per il viaggio di nozze. 
E, in un certo senso, anche nonna Rosa partì. 

Il suo viaggio durò mesi, anni. Le terapie neurologiche si rivelarono da subito inefficaci, gli episodi di straniamento diventarono sempre più frequenti e le affabulazioni sempre più fantasiose. Il carattere mantenne la sua dolcezza nonostante il quotidiano fosse sempre più ricco di sorprese. Quetiapina e Talofen rendevano tollerabili quelle più spaventose. 

“Ma quanto è buono il pollo” diceva a cena mangiando gli avanzi del suo pranzo. “Ma sai che non l’ho mai mangiato?” 

“Ma che bella casa! Ma sai che non sapevo di averla comprata con il nonno?” 

E la casa si riempiva di volti nuovi. In particolare, c’era una signora che ogni giorno la salutava dallo specchio del bagno. 

“Ma sai che quella signora è proprio simpatica? Sorride sempre! Sono proprio contenta di averla incontrata. E sai una cosa? Sono proprio contenta che tu lavori qui. Com’è già che ti chiami?” 
“Irene. Mi chiamo Irene”
“Che bel nome! E com’è che mi hai chiamato prima? Hai detto un nome strano.”
“Nonushka. Ti piace?” 
“Sì… mia nipote mi chiamava sempre così. Adesso è un po’ che non la vedo.” 
Irene le diede un bacio sulla guancia. “Non preoccuparti, Nonushka. Quando la incontro te la saluto e le dico di venire a trovarti.” 

La Peppa



"E no, no no no no!" tutti si girarono a guardare nonna Rosa che, in piedi in mezzo alla navata, sventolava fazzoletto e pugni: "No, no, no, voi due non potete sposarvi!" 

Tutti gli ospiti si immobilizzarono, tutto rimase bloccato per un tempo indefinito. Anche una mosca fastidiosa che si accaniva sul cappellino di zia Lucia si posò su una panca e se ne stette lì buona senza disturbare. 

Nonna Rosa cominciò a percorrere la navata con ancora il fazzoletto di lino stretto nel pugno. Gli sguardi di tutti la seguirono finché non raggiunse i due sposi e la sentirono dire “sposi, prete e genitori con me in sacrestia, presto!” Nessuno si mosse, erano tutti sconvolti da quello che stava succedendo. Nonna Rosa prese di nuovo in pugno la situazione ed emise un forte e prolungato fischio che l’aveva resa famosa nel paese come “Rosa la pecoraia”, ma lei non se ne era mai curata più di tanto. Scossi dal fischio, il piccolo gruppetto si diresse verso la sacrestia col prete che faceva strada. 

“Allora, che succede?”, chiese il prete che già si vedeva seduto sul lettino del cardiologo. Nonna Rosa prese a raccontare. 

“Un’ora fa, mentre eravamo tutti al rinfresco, ho scambiato quattro chiacchiere con Maria, la madre dello sposo”. Maria si fece bianca in volto e confermò: “Sì, abbiamo parlato di come Francesco fosse fortunato ad avere trovato Sara e di come stanno bene insieme. Ma questo cosa c’entra?” 

Nonna Rosa riprese la parola: “È vero, ma mi hai anche detto che Francesco fu trovato nella ruota del convento di San Francesco ed accudito dalle suore del convento finché non l’avete adottato, per questo l’avete chiamato Francesco, giusto?” 

“Tutto giusto, ma non vedo come…” Maria si bloccò di colpo. Una strana idea, un’intuizione, cominciò a farsi strada nella sua mente. 

“Vedo che ci stai arrivando”, proseguì nonna Rosa. “Mi hai anche detto che Francesco è al corrente di tutto, quindi non c’è bisogno di nascondere la verità. Ma quello che tutti voi non sapete è che mia figlia, circa due anni prima di sposarsi, ebbe un’avventura con un ragazzo di fuori, che dopo averla messa incinta si dileguò. Mio marito ed io decidemmo che avrebbe dovuto portare a termine la gravidanza, l’aborto era fuori discussione”, qui il prete fece un sospiro di sollievo, “ma che l’avremmo poi lasciato appena nato alla ruota del convento. Non potevamo permetterci lo scandalo e le chiacchiere.” 

Ilaria, la madre della sposa, contrariamente al suo nome cominciò a piangere e singhiozzare: “furono i nove mesi peggiori della mia vita. Chiusa in casa per non far notare la pancia che cresceva, mentre tutti pensavano ad una brutta malattia. Ricordo la notte in cui portammo mio figlio alla ruota, pioveva ed era buio. Ricordo ancora i suoi occhi che mi guardavano, ed il suo bellissimo faccino…”. Anche Ilaria si interruppe, stava guardando Francesco riconoscendo in lui quel bambino di tanto tempo fa. Ma poi si riprese e continuò: “ricordo anche di una voglia sulla coscia destra a forma di…di…Australia”

“Australia?” dissero tutti insieme. “Sì, Australia” riprese Ilaria “proprio sopra il ginocchio della gamba destra”. Tutti si guardarono attoniti. C’era un solo modo per capire come stavano le cose: Francesco doveva calarsi i pantaloni. Il parroco provò a elevare una debole protesta, ma fu zittito da tutti quanti.

Francesco quindi prese a slacciarsi i pantaloni tra la curiosità e l’angoscia di tutti quanti, parroco compreso, finché una voglia dall’inequivocabile forma del continente australiano si presentò a tutti. Era incredibilmente realistica e si intravedevano perfino la Nuova Zelanda e la Tasmania. 

“Oh cazzo, è proprio lui!” esclamò nonna Rosa. 
“Il linguaggio, per favore!” la riprese il parroco ancora sconvolto dalla piega inaspettata che avevano preso gli eventi, e in parte anche per aver visto Francesco in mutande. 

Mentre Francesco si rimetteva a posto i pantaloni, Sara cominciò a ridere. Cominciò con una risatina sommessa ma poi esplose in una fragorosa risata. Tutti cominciarono a pensare che fosse diventata pazza, forse gli ultimi avvenimenti l’avevano turbata a tal punto che la sua mente non aveva retto. 

“Lo sapevo!” esclamò lei. “È da quando ci siamo conosciuti che ho una strana sensazione, come se avessi una strana affinità con te, come se fossimo intimamente legati. Io pensavo che fosse amore, ma adesso capisco che era altro. Sei mio fratello!” 

“Fratellastro!” si affrettò a precisare nonna Rosa. “Stessa madre, padri diversi. Ma questo non cambia la sostanza delle cose. Siete fratellastri, non potete sposarvi”. 

Carlo, il padre di Sara, si schiarì la voce e prese la parola “ma tutto questo non si può dimostrare, abbiamo solo il racconto di Ilaria e una voglia a forma di Australia sulla coscia di Francesco!”. In realtà sapeva benissimo come erano andate le cose alle quali lui stesso aveva partecipato, ma vedeva già tutti i soldi spesi per il rinfresco, la chiesa e il ristorante che volavano via dalla finestra. 

Sara si fece seria e prese tra le mani il volto di Francesco: “Non mi importa se non ci possiamo sposare, e non mi importa nemmeno di aver perso un marito sull’altare. Ho sempre desiderato un fratello fin da quando ero piccola ed ora Dio, nei suoi intricati e misteriosi disegni, me ne ha regalato uno. Sentivi anche tu che c’era qualcosa di strano, che andava oltre all’amore, vero?” 

Francesco, con gli occhi lucidi per l’emozione, le rispose: “Sì, anch’io sentivo che c’era qualcosa che andava oltre l’amore per te, ma non riuscivo a capire cosa fosse. Ora che tutta la verità è venuta a galla il mio sentimento per te è ancora più forte. Sei mia sorella e niente potrebbe rendermi più felice.” 

Il parroco e tutti i partecipanti a questa vicenda non fecero più nulla per trattenere l’emozione e fu un’esplosione di lacrime di gioia, di nasi soffiati, e di grandi sorrisi. Decisero inoltre che trasformare il pranzo di nozze in una festa per i fratelli ritrovati non sarebbe stata una cattiva idea, quindi decisero di uscire a comunicare la notizia a tutti gli altri. 

Si spesero quasi due ore a rianimare gli svenuti e tranquillizzare gli animi, ma alla fine la festa fu una delle meglio riuscite del paese. 

Negli anni a seguire Sara e Francesco trovarono l’amore celebrando insieme il matrimonio con i rispettivi partner. Nonna Rosa questa volta non ebbe nulla da dire. 

Beppe Carta




"E no, no no no no!" tutti si girarono a guardare nonna Rosa che, in piedi in mezzo alla navata, sventolava fazzoletto e pugni: "No, no, no, voi due non potete sposarvi!" 

“Ecco la nonna ci si è rincoglionita!” esclamò Sandro, il nipote simpatico, guadagnando un paio di risatine e il peggior sguardo di censura di cui era capace Don Giuseppe. 

“Nonna che fai? Torna a sederti”, le ordinò Sara ringhiando da dietro il velo. “Non vorrai mica rovinarmi il mio grande momento?” 
“No, non mi siedo e non credere di potermi dare ordini, ragazzina, ti ho vista nascere, ti ho pulito nasino e sedere. Che, a pensarci adesso, forse non mi sarei dovuta preoccupare neanche così tanto di farlo nel giusto ordine!” 
“Ma nonna?” frignò indignata la sposa. 
“Senti, cara, io ti voglio bene e lo sai. Ma Francesco non è l’uomo per te” 
“E perché?” 
“Perché, sarò anziana ma, a differenza di ciò che crede quello screanzato di Sandro – che il prossimo Natale col cavolo che la vede la busta! – non sono ancora rincoglionita!” 

“Nonnina…” intervenne mieloso il nipote. 
“Taci, cretino!” 

“Nonna, senti, ne parliamo dopo, io mi dovrei davvero sposare” riprese suadente Sara. 
“Certo, un giorno, quando troverai la persona giusta ma non oggi con un uomo di cui non t’importa nulla. Credevo di averti cresciuta meglio di così, molto meglio di così!” 
“Ma nonna, io lo amo!” urlò stizzita la sposa. 
“Bugiarda, bugiarda come la tua taglia di reggiseno! Che credi che non lo so che ti sei rifatta l’artiglieria con i soldi che ti avevo dato per l’università?” 
“… io, io, io gli voglio bene” 
“Certo, la mia nipotina sensibile, ma fammi il piacere! Francesco ha settant’anni, un’anca in titanio e, sicuramente, pure un culetto flaccido! Ma tu lo guardi e vedi solo il suo conto in banca da sceicco!” 
“Ma io … lo stimo?” 
“Nipote mia, hai solo venticinque anni, quanto soffrirebbe a vederti così la buonanima di nonno Alberto” 

E il ricordo del nonno fu la goccia che fece traboccare il vaso della coscienza di Sara. 

“Ma io…. Io…. Io voglio i suoi soldi!“ e finalmente la sposa scoppiò in un pianto liberatorio. Il trucco le colava sulle guance mentre, tra i singhiozzi, abbracciava la nonna adorata. 
“Ecco, brava, su, su, sfogati tesoro mio, la verità rende liberi” 
“Perdonami nonna”, singhiozzava “perdonami, hai ragione, dovrei essere migliore di così ma io voglio essere ricca”, singhiozzava “non voglio lavorare un solo giorno della mia esistenza”, singhiozzava “voglio farmi mantenere e fare la bella vita alla faccia di tutte le mie compagne del liceo che si sono laureate e pensano di essere migliori di meeeeee!” 
“Ma no, piccolina” la consolava la nonna. “Io ti capisco, sei giovane, sei bella, tu te la meriti una vita così. Ma ti rendi conto che tuo suocero, quello col parrucchino di moffetta, ha 99 anni? Sono una famiglia longeva, non puoi neanche sperare in una precoce e serena vedovanza! Magari potresti trovarti un bell’imprenditore cinquantenne, che dici?” 
“Sai che non è una brutta idea, dici che ci riesco?” 
“Ma sì, dai, magari però prima ti rifai anche il naso” 
“Ok, mi presti i soldi tu, nonnina? 
“Poi ne riparliamo, eh” 

Sara chiese scusa all'ormai ex fidanzato. Francesco la perdonò. Poi, dopo che si furo abbracciati un’ultima volta, lei si avviò fuori dalla chiesa. Dietro la sposa amici e parenti. Qualcuno sconvolto, qualcuno sollevato qualcuno divertito. Davanti all’altare rimasero solo Francesco e nonna Rosa. 

“Ha preso tutta la faccenda come un vero signore, me ne complimento” gli disse Rosa. 
“Se devo essere sincero, una ragazza così giovane può essere molto impegnativa, mi sento sollevato”
Nonna sorrise e gli porse la mano, “Allora, addio”. 
“E no, comunque mi ritrovo di nuovo tutto solo per colpa sua, il minimo che possa fare per farsi perdonare è accettare un mio invito a cena, non crede?” 
“Non sapevo le piacessero anche le donne più grandi” 
“Neanch’io”, rispose Francesco stringendo la mano di Rosa tra le sue. “Questa sarà proprio una giornata da ricordare. Ah, dimenticavo, non è affatto flaccido” 
“Malandrino” 
“Non sa quanto” 
“Ci speravo”

Jane Pancrazia Cole


Continua la mia rubrica periodica sul quotidiano online TorinOggi: Storie sotto la Mole. Racconti dedicati alle leggende di Torino. Questa volta è il turno di Nostradamus e della sua leggendaria visita in città. 
Il medico entrò nella sala seguito da un servitore sollecito. Avvolto nella sua palandrana scura incuteva una certa naturale reverenza e altrettanta curiosità. Era stato chiamato dalla Francia ed accolto con tutti gli onori dovuti a un uomo della sua fama. 

Attese seduto su una comoda poltrona. Su un tavolino un bicchiere di vino e dei piccoli dolci. “Desiderate altro?” chiese il servitore. Lui si limitò a un cenno di diniego con il capo. Troppo preso com'era da alcuni fogli che teneva sulle ginocchia e leggeva e rileggeva. Una parte delle sue Profezie, ancora in essere.

Continua...
La sposa attraversò la navata della Chiesa stretta al braccio di suo padre, tra le mani uno splendido bouquet di rose. Parenti ed amici, seduti l'uno accanto all'altro, la guardavano commossi scattando compulsivi con i loro smartphone. Lo sposo, che l'attendeva in piedi accanto al parroco, le sorrise con dolcezza. "Sei bellissima" le disse una volta giunta all'altare. "Anche tu non sei male" rispose lei.

La cerimonia procedette liscia tra cori celestiali e lacrime di ordinanza, nonna Rosa si soffiava il naso in un fazzoletto di lino, zia Lucia cercava di sfilarsi con noncuranza le scarpe nuove strette come morsi di cani ai piedi, la madre della sposa tremava dalla voglia di sistemare il parrucchino storto del consuocero. 

Quando il prete si schiarì la voce e prese a recitare le domande di rito l'attenzione di tutti tornò agli sposi.
"Francesco, vuoi accogliere Sara come tua sposa, promettendo di esserle fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarla e onorarla tutti i giorni della tua vita?"
"Sì"
"Sara, vuoi accogliere Francesco come tuo sposo, promettendo di essergli fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarlo e onorarlo tutti i giorni della tua vita?"
"Sì"

"E no, no no no no!" tutti si girarono a guardare nonna Rosa che, in piedi in mezzo alla navata, sventolava fazzoletto e pugni: "No, no, no, voi due non potete sposarvi!"
Io ho scritto questo e ora tocca a voi. 
Raccontate cos'è andato storto, spiegate il motivo della scenata della nonna. Fatelo con un flashback, o partendo da dove ho interrotto io, o da dove cavolo vi pare. Non c'è bisogno che scriviate come andrà a finire ma, se vi va, ovviamente avete la mia benedizione. Chi sono io per fermarvi? Non sono mica nonna Rosa!

Come sempre, avete massima libertà. Usate i personaggi già presenti o aggiungetene anche altri, sguazzate in questa famiglia, in queste due famiglie. E, se avete delle domande, contattatemi via blog, social o email.

Avete tempo per spedirmi i vostri lavori fino a domenica 28 giugno alle ore 12, buona scrittura!

Tipo di testo: qualsiasi (racconto, poesia, flusso di coscienza, etc…).
Lunghezza testo: dai 100 ai millemilioni di caratteri, spazi inclusi.
Email: janecole@live.it.
Oggetto: laboratorio condiviso di scrittura. 
Specificare nel testo dell’email se volete restare anonimi o meno, se volete essere taggati (su FB) o meno. Scadenza per far pervenire il testo: domenica 28 giugno 2020, ore 12.

Volete leggere tutti i Racconti nati da questo esercizio? Li trovate qui.
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