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Gli eroi delle storie sono coloro a cui ci affezioniamo, ma sono i personaggi negativi quelli che ci smuovono i sentimenti più forti. 

I migliori autori di tutti i tempi hanno realizzato grandi cattivi che ci hanno profondamente turbato, fantastici antieroi ai quali ci siamo affezionati contro ogni buon senso, o semplicemente personaggi in grado di smuovere i nostri sentimenti più ostili. 

È, soprattutto, di questo ultimo gruppo che voglio parlare in questa occasione. Oggi voglio fare l’elenco dei personaggi negativi che più sono riusciti a darmi sui nervi. Non i cattivi affascinanti, tipo Iago, per cui ho un’antica venerazione, ma quei personaggi tossici, talmente tossici da farmi sviluppare nei loro confronti un astio che va oltre la carta stampata, da farmi urlare contro le pagine, da farmi borbottare tra me e me per ore anche a libro finito. 

Ne ho scelti solo tre, l’elenco non è una classifica. Tutti e tre occupano lo stesso posto nel mio cuore, anzi, nel mio fegato. 

Il primo personaggio non meraviglierà nessuno, si tratta della Professoressa Umbridge. Chiunque abbia letto Harry Potter lo sa, Voldemort fa molta meno paura della Umbridge. La professoressa rosa confetto fa paura per la sua normalità, perché una così potresti davvero incontrarla davvero. Perché una così di solito si dà alla politica, perché di personaggi così sono piene le pagine più oscure della storia. La Umbridge gode nel servire i potenti, sognando di poterli sostituire e fare anche peggio di loro. La Umbridge non si fa nessuno scrupolo a torturare innocenti e bambini. Lei è una a cui non importa la verità ma solo la versione della realtà che le fa più comodo. Un essere viscido in una maniera terribilmente umana e per questo ancora più disgustosa. 

Se la Umbridge è un personaggio notissimo, questo secondo che sto per citare lo è molto meno, eppure nella sua brevissima e inutile vita letteraria è riuscito a darmi sui nervi come pochi. Si tratta di St. John Eyre Rivers. Chi? Uno dei cugini di Jane Eyre. L’ecclesiastico che, verso la fine del libro, insiste perché lei lo sposi e vadano insieme in India come missionari. Mica per amore o per fare del bene, ma per servire e soffrire, dato che la gioia è il male, guai a essere un po’ felici! “Vieni con me a prenderti a martellate le dita, cugina cara!”, le dice in questo virgolettato che mi sono appena inventata ma che è assolutamente plausibile. 
Tu sei là che non vedi l’ora che Jane corra finalmente da Rochester e sto pastore molesto le dà il tormento, imperversa con pressioni psicologiche per pagine e pagine, mentre lei è troppo educata per mandarlo a quel paese. Lei, perché tu invece ce lo mandi eccome! Pesante, saccente, cintura nera di senso di colpa cristiano, in India alla fine ci va da solo e ci muore. Evviva! 

L’ultimo personaggio di questo trittico dell’astio è Mary Love Caskey. La suocera peggiore che si possa avere, oltre che una schifezza di madre e un essere umano deplorevole in generale. Mary Love vive dentro Blackwater, la saga gothic horror scritta da Michael McDowell. È una donna che vuole controllare tutto e tutti, manovrare le persone che le stanno accanto, gestire tutti i soldi di famiglia, distribuendoli a suo piacimento dall’alto della sua enorme bontà, pur non avendo mai lavorato un solo giorno della sua vita. Lei vuole che tutti la amino, facciano sempre quello che dice lei e le vadano a chiedere la paghetta senza mai battere ciglio, anzi dimostrando la giusta riconoscenza. 
Per farvi capire, e qui ci sarà uno spoiler, Mary Love è l’antagonista di Eleonor, sua nuora. Eleonor è una bella donna che, in realtà, si rivela essere un mostro marino, un mostro marino in grado di uccidere spietatamente chiunque, colpevoli ma anche innocenti. Ecco, Mary Love è talmente odiosa che tu, leggendo l’opera, fai comunque il tifo per il mostro marino, con buona pace dei poveri squartati.
Mary Love non uccide nessuno ma s’impegna per rendere la vita impossibile a tutti i suoi cari, per non parlare degli altri. E questo è impossibile da perdonare. 

Scrivere un eroe non è facile ma scrivere un personaggio negativo a suo modo memorabile lo è ancora di meno. Complimenti agli autori, ideatori e genitori di questa bruttissima gente, che tanto mi irrita ma allo stesso modo rende unica la mia esperienza di lettura.

Cosa c'è d'interessante in un uomo che, a un ballo, definisce una donna "appena passabile"?
Nulla, se una critica così non andasse a colpire l'orgogliosa Elizabeth Bennet.

Il senso di colpa non influenza tutti i personaggi allo stesso modo e solo quello che attanaglia Raskolnikov può dar vita a uno dei romanzi più grandi di tutti i tempi. 

E, ancora, è il temperamento di Otello a cadere vittima delle macchinazioni di Iago.


Se Dorothy non mi avesse mai trovato, cosa ne sarebbe stato di me? 

Forse sarei finito così, per sempre in mezzo a un campo, con la testa vuota, senza pensieri e senza obiettivi. 
Forse avrei intrapreso comunque un viaggio, avrei incontrato il Mago di Oz e sarei diventato il suo fedele braccio destro. 
O forse sarei stato il cattivo di una fiaba, avrei dato la caccia a un bambino innocente, terrorizzandolo fino in fondo ai suoi incubi più profondi. 

Se Dorothy non mi avesse mai trovato, avrei avuto comunque diritto a un'altra storia. Tutti ne dovremmo avere una.

Trasforma la tua giornata in un viaggio dell'eroe.

Una mattina come tante ti svegli nel tuo Mondo Ordinario ma poi, alle 9, qualcuno suona alla porta.

Quello è il momento della tua Chiamata all'Avventura: cosa succede? Chi ha suonato? Quale prova ti troverai ad affrontare?

Raccontalo!

Oggi voglio dedicare un piccolo post, con qualche curiosità, alla storia per bambini per eccellenza: Il Meraviglioso Mago di Oz. 

Un libro che uscì nel 1900, scritto da Frank L. Baum e illustrato da W.W. Denslow. 

La storia ebbe subito successo, tanto che Baum decise di cavalcarne l'onda, scrivendo numerosi episodi successivi e realizzando anche due musical teatrali, uno più fedele al libro originale, un altro invece destinato a un pubblico più adulto, dove la storia di Dorothy venne trasformata in una satira della società e della politica del tempo. 

Ma Baum non fu certo l'unico che cercò di trarre più profitto possibile dalla storia e dal successo del mago di Oz. Infatti, quando lui venne a mancare, diversi autori presero in prestito la sua opera per realizzarne dei sequel.

In tutto si contano una quarantina di episodi successivi al libro originario, di cui solo meno della metà scritta da Baum stesso. 

Ovviamente ci sono state anche tantissime trasposizioni. Tra queste la più famosa rimane quella del 1939: il film con Judy Garland nei panni di Dorothy. Una trasposizione abbastanza fedele ma con qualche differenza fondamentale rispetto all'opera originale. Ad esempio, le mitiche scarpette rosse indossate dalla Garland, avrebbero dovuto essere color argento per essere uguali a quelle del libro, ma la produzione decise di prendersi questa licenza poetica poiché delle scarpe scarlatte avrebbero sicuramente fatto più effetto sul grande schermo e in Technicolor. Anche il finale venne leggermente modificato: nel film Dorothy si sveglia e scopre che tutto ciò che le è successo è stato solo un sogno, nel libro invece la bambina torna dagli zii dopo aver vissuta un'avventura in un mondo sicuramente straordinario ma realmente esistente. 

Io, personalmente, che ho una certa età, ricordo con grande tenerezza sia la serie animata giapponese degli anni'80, sia l'episodio di Saranno Famosi in cui Doris Schwartz si addormentava e sognava di vestire i panni della piccola Dorothy. Qualcuno di voi ne ha memoria?

Una riflessione semplice semplice. 

Bellezza porta bellezza, creatività porta creatività. 

Poche cose mi esaltano come le idee altrui, le opere altrui, gli esempi di creatività degli altri che mi riempiono di gioia e fiducia nell'umanità. 

Se poi queste idee, queste opere d'ingegno, vengono stimolate da una mia idea, un mio stimolo, allora non mi esalto soltanto, ma festeggio, mi inorgoglisco, mi riempio cuore ed ego. 

È questo il caso, ad esempio, dell'opera di una persona che sta partecipando al mio Laboratorio di Scrittura via Newsletter. Io avevo dato un semplice esercizio di scrittura a tempo: un incipit e dieci minuti per scrivere, scrivere, scrivere senza pensare e poi, eventualmente, a tempo finito, correggere, riordinare, dare un senso. 

Lei, perché di una lei si tratta, ha realizzato un flusso di coscienza dal caos controllato, che va dalla filosofia all'arte, quella di Wayne Thiebaud in particolare, con tanto di immagini a illustrarne i concetti. 
Una tesina, in pratica. Che, come le ho già detto, conserverò con cura. 

"Come le linee di Thiebaud, camminiamo uno accanto all’altro per un po’, poi ci scontriamo, ci mescoliamo, ci dimentichiamo il nostro colore, ma andiamo dritto fino a che la tela ce lo permette", scrive.  

La creatività porta creatività. 
Guardatevi intorno, scrivete, disegnate, create, non necessariamente per gli altri ma prima di tutto per voi stessi, quanta gioia ne trarrete!

 


Se si amano i libri e la lettura non si possono scordare le prime storie, i primi volumi, le prime pagine che le nostre dita bambine hanno sfogliato. 

Non sapevo ancora leggere quando mia madre cedette a una mia richiesta. Io indicai i volumi al sicuro lassù nella libreria e lei ne scelse uno, mi fece sedere e me lo aprì in grembo. I libri erano una cosa da grandi e già questo me li rendeva speciali. E poi quello era uno spettacolo, pieno di foto e disegni. Era uno dei volumi dei Quindici, enciclopedia per bambini popolarissima tra la fine degli anni '60 e la fine degli '80, un must have di tutte le famiglie dell'epoca. 
Ho passato la mia infanzia a sfogliare quelle pagine, tracciare col dito le illustrazioni, esaminare le foto, leggere tutto con attenzione, imparando a memoria i miti greci come le regole del "fai da te", la storia degli uomini come le fiabe. Un'avventura meravigliosa e ogni volta diversa. 

Appena imparai a leggere, iniziai anche a dare un'occhiata ai libri di mia sorella, più grande di me di 8 anni. In realtà non ne aveva molti, non amando particolarmente la lettura, ma ne aveva alcuni che attirarono immediatamente la mia attenzione. Non era tanto per i bei disegni in copertina o per i titoli interessanti, quanto per il nome dell'autrice: Rossana Guarnieri. Nessuno nella mia famiglia si chiamava Rossana, nessuna tra le miei amiche si chiamava Rossana, nessuna in tutta la mia scuola si chiamava Rossana. E, come se non bastasse, la maggior parte delle persone si dimenticavano o storpiavano il mio nome, facendomi diventare all'occasione Rosanna o Rossella. Una tortura! Ma nella mia cameretta scoprii che al mondo c'era un'altra Rossana e che addirittura scriveva libri, libri con protagoniste ragazzine. Un sogno. 
Ricordo in particolare la storia di una ragazzina timidissima che superava questo suo problema grazie a un corso di teatro, e quella di un'altra che andava in campeggio con i genitori e finiva bloccata in una grotta con alcuni amici, tra cui uno slanciato svedese. Queste mie letture quindi spiegherebbero, tra le altre cose, perché ho sempre amato il teatro e i ragazzoni nordici. 

Infine, ero alle elementari quando la mia maestra ci disse di andare in biblioteca o in libreria, scegliere un libro, leggerlo e poi raccontarlo alla classe. Io andai alla cartoleria sotto casa. Il negoziante cercò di convincermi a comprare un romanzo la cui protagonista era una principessa/duchessa boh, non so, una giovane nobile di qualche tipo. Ma i miei occhi si fissarono su un libro dalla copertina gialla e rigida, il titolo blu mi pareva irresistibile.
"E questo?" chiesi.
"Questo? Veramente è più da ragazzi..."
"Voglio questo!" decisi.
Era "Dalla Terra alla Luna" di Jules Verne.
Che avventura pazzesca fu quel mio viaggio spaziale!

I numerosi traslochi, da allora fino ad adesso, mi hanno fatto perdere traccia di tutti quei libri colorati, i miei primi libri, ma gli splendidi ricordi legati a quelle scoperte rimangono ancora dentro di me e non si affievoliscono con il tempo, anzi.

Tutta la famiglia si muoveva all'unisono, i piedi calzati in scarpe eleganti sulla pavimentazione lisciata dal tempo. 

Il sole tardivo di settembre si mostrava più vivace del solito, tanto che la madre si copriva il volto con un cappellino orlato di pizzo d'Orleans e un vezzoso ombrellino teso da stecche di balena. 

"Emma, abbassa la falda del cappello" suggerì la nutrice alla figlia che, un metro avanti a lei, avanzava a falcate tanto ampie quanto nervose. "Non vorrai le lentiggini sulle gote?". 
"Mamma, ti prego, non è il momento" sbuffò la giovane donna. 
"Lasciala in pace" sogghignò il padre. "La nostra bimba ha ben altri pensieri oggi" e, presa sotto braccio la consorte, la costrinse ad accelerare il passo per stare dietro le lunghe leve della ragazza. 

Arrivati davanti all'istituto, un inserviente venne loro incontro, "Prego, signorina, la stanno aspettando". Ed Emma, lanciato un ultimo sguardo a genitori e fratelli, varcò l'uscio per poi sparire, immediatamente inghiottita da un gruppo di abiti scuri e baffi a torciglione. 

Il percorso fino a quel momento era stato lungo e impegnativo ma Emma, un passo dopo l'altro, aveva raggiunto tutti gli obiettivi prefissati, fino all’ultimo. Lei, a differenza, della maggior parte delle sue coetanee aveva goduto e godeva dell'appoggio incondizionato della sua famiglia. Di suo padre, su tutti. Suo padre che la portava ai cantieri e che trattava lei come i suoi fratelli. Padre che credeva in lei, nella sua intelligenza, nella sua capacità di raggiungere ogni meta, a dispetto di tutti, prima di tutte. 

La famiglia, dopo aver salutato l'avvocato Palmieri e il dottor Valli, genitori di due dei colleghi di Emma, prese posto sugli scranni centrali. Tutti in fila, padre, madre e fratelli, attendevano emozionati il gran momento. 

La commissione togata entrò poco dopo. La sessione iniziò. Uno dopo l'altro gli studenti presentarono la propria tesi. Quando fu il turno di Emma, il padre e la madre si tennero per mano, gonfi di orgoglio. I fratelli sorrisero tutto il tempo, compiaciuti dal successo raggiunto dalla ranocchietta che, fin da piccola, li seguiva ovunque, non volendo mai essere lasciata indietro. 

"Signorina Emma Strada", si sentì al momento della proclamazione "la commissione, considerato il curriculum degli studi da Lei compiuto e valutata la tesi di laurea, attribuisce alla prova finale la votazione massima". Un momento di esitazione. "Per l’autorità conferitami la proclamo Ingegnere Civile". 

E, dalla platea, furono applausi eleganti ma calorosi. 

Lei strinse la mano alla commissione e ai colleghi, poi si girò a sorridere al padre. Che orgoglio.

Emma Strada – figlia di Ernesto Strada, ingegnere abile e uomo progressista –, il 5 settembre del 1908, presso l’Istituto Superiore Politecnico di Torino, venne proclamata ingegnere. Massimo dei voti, terza del suo corso, fu la prima ingegnere donna d'Italia e una tra le prime d'Europa.
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