Confessione Numero Quattro: Jane la ballerina

Sono sempre stata assolutamente impedita per qualsiasi attività sportiva.

Una mezza sega (scusate il francesismo) a pallavolo. Un'inesauribile fonte d'ilarità altrui nelle evoluzioni ginniche. Una vecchietta enfisematosa nella corsa.

Alle elementari avevo già il fiatone da bronchitica e le giunture rumorose da artritica.

L'unica attività fisica in cui io sia mai riuscita discretamente è stata la danza. La danza classica.
Non che fossi una piccola étoile o una Carla Fracci in fasce però, quanto meno, potevo vantare una certa eleganza, una naturale disciplina e un buon orecchio musicale.

Ai saggi, ovviamente, ero solo una delle tante ballerine di fila ma a lezione mi capitò più di una volta di vivere rari e preziosi momenti di gloria. Ciò si verificò durante le cosiddette gare di "esibizioni folli e improvvisate".
In quelle particolari occasioni la nostra insegnante spegneva la musica classica e faceva partire quella pop. E noi, a turno, ci scatenavamo in personalissime coreografie da tarantolate.

Ogni volta portavo a casa la vittoria. Finivo nel trionfo. Mi beavo nell'acclamazione generale.

C'è poco da fare, da piccina come da grande, io ottengo i risultati migliori e le più grandi gioie quando chiudo gli occhi, me ne frego di chi sta a guardare, e mi lascio trascinare dall'istinto.

Sono nata per ballare da sola.

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