Confessione Numero Sei: Jane, l'inaffondabile

Voi siete mai stati in barca a vela?

Io sì.
In due occasioni.

Io odio la barca a vela.
E la barca a vela odia me.

La prima volta solcai le onde di un laghetto berlinese a bordo di un guscio di noce.
Dopo 5 minuti cambiò il tempo, si scatenò l'inferno, e rischiai di rimanerci secca.
Nella medesima giornata provai, dunque, l'ebbrezza della navigazione a vela e quella del salvataggio da parte di un aitante bagnino.

La seconda volta programmai di trascorrere una settimana nelle acque dell'Isola d'Elba.
La vacanza s'interruppe dopo 4 giorni, causa blocco totale e irrecuperabile del timone.
Il ritorno in porto fu possibile grazie a, provvidenziali ma poco aitanti, pescatori locali.

Nel caso non lo sappiate, ve lo dico io, secondo la credenza popolare le donne portano sfortuna in mare. Molta sfortuna.
Lo so cosa state pensando in questo momento: "Saranno anche stupide superstizioni ma Pancrazia porta proprio una gran iella!"
E invece no! Mi permetto di contraddirvi. Poiché al quadro da me tratteggiato manca volutamente un piccolo, fondamentale particolare.

Io non ero l'unica ad esser presente ad entrambi gli infelici episodi.
C'era anche lui.
Lui chi?
Lui, il celeberrimo ex fidanzato teutonico. Impegnato in quelle occasioni a ricoprire, senza averne l'abilità o l'esperienza, il ruolo dello skipper.

Non si trattò dunque di sfortuna ma di vera e propria incoscienza.
E forse anche del solerte destino, voglioso di farci comprendere che, per il nostro bene e per quello di chi ci stava accanto, fosse il caso di andare ognuno per la propria strada.
A piedi.
All'asciutto.


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