Il mio rapporto con il calcio ha avuto i suoi alti e i suoi bassi.
Grande passione giovanile, cocente delusione dell'età adulta.
Ora è poco più di un rumore di fondo nella mia bacheca facebook, un fastidioso brusio da far tacere con un click.
Ma il Mondiale no. Il Mondiale è altra cosa.
Il Mondiale è un appuntamento che ogni quattro anni porta con sé ricordi ed emozioni. Segna il cambiamento di un paese, la vita di una famiglia, ed il passaggio attraverso le diverse fasi dell'esistenza.
Il primo che ricordi è quello del 1982.
Avevo solo 5 anni e per la finale ci riunimmo tutti dagli zii.
C'erano confusione, urla, e poi quel tizio in televisione. Quel tizio che correva, correva e gridava. Sul momento non capii se fosse felice o disperato, e cercai i volti dei grandi per avere una risposta. Erano tutti in piedi, ridevano e si abbracciavano. Loro erano contenti. Anche lui doveva esserlo.
Quel tizio era Tardelli.
Ricordo che nella confusione mio cugino Marco, che ai tempi era un pupo di due anni legato come un salame al passeggino, mi strappò la piccola bandiera dell'Italia dalle mani, rompendo con un sonoro TAC! la minuscola asta a cui stava attaccata. Io prima cercai di strangolarlo poi, impeditami l'impresa dal resto della famiglia, reagii con una crisi di pianto inconsolabile. A riportare la pace ci pensò, contro ogni previsione ed episodio precedente, il collerico zio Nino. Egli si affrettò a compiere le dovute riparazioni, presumo con il legnetto di un ghiacciolo (li chiamavo stick allora), e a rendermi così nuovamente felice.
Grazie a tanta solerzia, potei festeggiare adeguatamente durante il tragitto del ritorno a casa. Per strada c'erano confusione, clacson, e il mio piccolo tricolore esposto fuori dal finestrino di mia madre. Eravamo sulla nostra 127 verde. Senza finestrini posteriori, cinture di sicurezza, o seggiolini per bambini.
Era un'Italia incosciente ed innocente. Gli anni più brutti sembravano messi definitivamente alle spalle. Avevamo Pertini, Toto Cutugno e Paolo Rossi. Non desideravamo di più.
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