Darren Star, padre – tra le altre cose – di Sex and the City, un giorno andò dal signor Netflix e gli disse: "Signor Netflix, facciamo una serie americana, ambientata a Parigi, con tutti i peggiori cliché che ci vengono in mente?"
E il signor Netflix gli rispose: "Ma certo, che ideona!"
Ed e così che adesso abbiamo Emily in Paris, con Lily Collins – figlia del buon Phil – che va in Francia a insegnare ai francesi come si sta al mondo. Perché loro, si sa, sono tutti stronzi, pigri, non si lavano mai e, durante la guerra, invece di combattere facevano all'ammmore.
Il pubblico francese, per la cronaca, si è incazzato, ma chissà come mai?
Lo confesso ho visto Emily in Paris e mi ha intrattenuta con leggerezza. Ma bisogna dire le cose come stanno: posso anche nutrirmi di junk food con lussuria ma il cibo buono è un'altra cosa!
Questa serie è una poracciata, un Sex and the City che non ci ha creduto abbastanza, un Gossip Girl con 10 anni di ritardo! Parigi e la cultura francese vengono descritte da un superficialissimo punto di vista americano. Parigi è stereotipata e il punto di vista americano pure. Col risultato che i parigini risultano stronzi e l'americana orgogliosamente chiusa nel proprio provincialismo. Ovvio che i francesi si siano offesi, emblematico che non l'abbiano fatto anche gli americani.
Avrebbero potuto fare qualcosa di meglio ma evidentemente agli ideatori sarebbe costata troppa fatica: meglio raccontare quello che gli americani senza passaporto (il loro pubblico di riferimento) si aspettano, non quello che è o potrebbe essere.
Una delle protagoniste dice, ad Emily, una cosa tipo "Usi la città come il tuo parco giochi personale", ed è proprio vero. Emily la Parigi vera non la conosce, non la frequenta, vive là per mesi ma ha sempre l'atteggiamento della turista appena atterrata al Charles de Gaulle. Lei non fa mai parte della città , non le interessa, presa com'è dal rifiutarsi di capire una cultura un po' diversa dalla sua. Solo un po' diversa, tra l'altro, non è andata da Chicago su Marte, è solo a Parigi, ma neanche riesce a contare i piani del palazzo dove abita!
Inoltre, di fatto, è una Mary Sue qualunque, un personaggio senza profondità ma con i superpoteri: è brava in tutto, le riesce tutto, le sue idee variano dal banale al pessimo ma il risultato finale è sempre un successo clamoroso. Per costruire una Mary Sue qualunque basta uno scrittore di fan fiction su Internet, non c'è mica bisogno di uno sceneggiatore. Per capirci, da uno sceneggiatore mi aspetto molto di più, esigo molto di più.
Insomma, avrei preferito qualche cappellino in meno e un (bel) po' di attenzione alla scrittura in più.
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