Heroes!

Allora, diciamo subito la verità, non è che il Sedicesimo Esercizio del Laboratorio Condiviso di Scrittura abbia proprio scatenato il vostro interesse. Nella mia email c'è l'eco e a rispondere all'appello ci ha pensato solo Beppe, un vero e proprio veterano di questa avventura. Grazie Beppe, cosa farei senza di te?

E, vabbè, speriamo che il prossimo esercizio (che pubblicherò domani sempre su queste pagine) v'ispiri di più. Intanto eccovi le straordinarie biografie di alcuni straordinari supereroi. E, per quanto vale, secondo me questo era un esercizio spassosissimo, non sapete che vi siete persi! 'tsk!

Il bancone era di nuovo lucido e pulito dopo l’ora di pranzo. L’orologio sopra il juke box segnava le 15.33. Era il momento di rilassarmi tra la ressa del pranzo e gli avventori serali. 

La porta di ingresso si aprì con il suo tipico cigolio che non sono mai riuscito a sistemare. Entrò un tizio alto, con un bel cappello che mi parve un Borsalino, una coda di capelli grigi che spuntava da sotto il cappello, con gli occhiali da vista che sembravano essere pezzi di vetro, forse era soltanto un po’ vanitoso. Un lungo impermeabile copriva i vestiti e nascondeva la sua fisionomia, ma era sicuramente molto magro. Si sedette al bancone e ordinò una birra. Il suo viso era stanco, tirato. 


Mentre preparavo la birra sentii che stava arrivando una lunga chiacchierata ed esordii: “io sono Mike, i 
miei genitori amavano Mike Bongiorno e mi è rimasto addosso questo nome” 
Finalmente un accenno di sorriso: “io sono Andrea”. 
Mentre appoggiai la birra davanti a lui decisi di rompere il ghiaccio: “allora Andrea, cosa ti porta in questa parte della città?”

Il mio non è certamente uno di quei bar eleganti del centro; è piuttosto un pub di periferia con i mobili in legno scuro, sgabelli davanti al banco ed un biliardo in una piccola stanza laterale. 
“Un posto vale l’altro, camminavo senza meta e mi è venuta sete. Mi piace, qui. Caldo e intimo come piace a me.” 
Mentre beveva la sua birra colsi l’occasione di guardarlo meglio. Era indubbiamente anziano, ma c’erano dei dettagli che non erano tipici delle persone di una certa età. I movimenti erano fluidi, e lo sguardo era lucido e attento. Ribadii: “qualche volta piace anche a me perdermi per la città”. 
Mi guardò incuriosito: “io non amo camminare, ma da un po’ di tempo a questa parte ne sento il bisogno. Camminare e parlare con un barista sconosciuto che forse vuole ascoltare una storia”. 
Ecco, il momento che aspettavo. Presi uno sgabello e lo spostai dietro al bancone. Mi sedetti e lo guardai dritto in faccia: “sono tutto orecchie”. 
Andrea aprii leggermente l’impermeabile e cominciò a raccontare: “io sono di qui, sono nato e cresciuto non lontano da questo bar. Facevo parte di un gruppo di amici cresciuti insieme fin dall’asilo. Gigi, Mario, Andrea ed il sottoscritto. Ci chiamavano Andrea alto ed Andrea basso per distinguerci. Tutti gli altri ci chiamavano gli Andrea scemi. Non eravamo molto popolari”. 
“I ragazzi riescono ad essere crudeli, tante volte”, risposi tentando di consolarlo in qualche modo. 
“Vero, ma Andrea ed io non ce ne curavamo più di tanto, ci bastavamo ed andava bene così. Gigi e Mario li perdemmo di vista alle medie. Andavamo bene a scuola, i nostri genitori erano contenti e ci lasciavano in pace. Poi, un giorno, quando avevamo circa quattordici anni, accadde”. 
La mia curiosità prese il sopravvento: “cosa accadde?” 
“Eravamo nella mia stanza ed avevamo letto di Uri Geller, l’illusionista che piegava i metalli, così decidemmo che ci avremmo provato anche noi. Presi due cucchiai dalla cucina e cominciammo a fissarli con grande concentrazione. Non successe nulla. Ma mentre ero intento a cercare di piegare il cucchiaio notai che tutti gli orologi della stanza si erano fermati. Tutti, anche il timex che avevo al polso e che mi avevano regalato i miei genitori per la Cresima. Anche l’orologio digitale del videoregistratore si era fermato, segnava esattamente le 15.48. Andrea era ancora intento a fissare il suo cucchiaio ed all’improvviso gli orologi cominciarono a camminare all’indietro. La lancetta dei secondi del mio timex si spostò prima lentamente, poi sempre più veloce. All’improvviso si fermò, l’orologio segnava le 15.38. Andrea si scosse, battè le palpebre un paio di volte e si rese conto di quello che era successo. Fu un vero shock, andammo in cucina e chiedemmo alla madre di Andrea l’ora esatta. Erano le 15.38 anche lì. Dopo quell’episodio cercammo di capire e controllare quello che successe. Andrea divenne sempre più bravo a far arretrare il tempo a piacimento, senza sforzo apparente. Sfruttammo immediatamente l’occasione, per avere la possibilità di finire i compiti in classe o per anticipare le domande nel corso delle interrogazioni: bastava sentire la domanda, tornare indietro di dieci minuti e dare la risposta. I nostri voti, già abbastanza buoni, decollarono”, un sorriso di divertimento misto a nostalgia comparve sul suo volto. “Verso la fine delle superiori accadde un secondo evento: eravamo in ritardo come al solito per prendere l’autobus – era curioso come una persona in grado di far arretrare il tempo fosse sempre in ritardo – e mentre camminavamo verso la fermata lo vedemmo arrivare. Sapevamo che non ce l’avremmo mai fatta a prenderlo, ma ci mettemmo lo stesso a correre. D’un tratto sentii una forte folata di vento, una specie di scoppio ed Andrea era là, davanti alla fermata, con un grande sorriso e lo sguardo attonito e sconvolto. Passammo i giorni successivi a capire come si poteva provocare il fenomeno nei campi intorno alla città. Dopo un po’ di tempo riuscimmo a controllare anche questo: il teletrasporto verso punti sempre più lontani e la capacità di far arretrare il tempo. L’estate dopo il diploma Andrea viaggiò molto: ricevetti cartoline dai punti più disparati ma era sempre a casa per cena. Stava cominciando a prenderci gusto, ma si rese subito conto che non poteva continuare ad usare i suoi poteri per andare in giro per il mondo senza aereo, sapeva che i suoi poteri dovevano essere usati per migliorarlo, questo mondo” 

Mi intromisi nella sua esposizione: “certo, poteva impedire che le cose succedessero quando erano già successe. Gli bastava recarsi sul posto, tornare indietro di dieci minuti ed impedire che accadessero”, gli dissi mentre versavo la seconda birra. 

“Esatto, e così fece: sventò la maggior parte degli attentati in tutto il mondo e la gente non lo seppe mai perché non era mai successo; nessuno seppe mai chi era stato per lo stesso motivo. Ma presto scoprì che il suo più grande alleato era anche il suo peggior nemico: il tempo. Il teletrasporto ed il controllo del tempo avevano un alto prezzo da pagare, il suo stesso corpo cominciò a presentare il conto. Dopo alcuni anni cominciarono a comparire i primi capelli bianchi, le prime rughe; a venticinque anni ne dimostrava più di quaranta. Ora ne ha trentasette”. 

Così dicendo si tolse l’impermeabile e davanti a me si mostrò un uomo anziano, curvo sotto il peso degli anni, ma il suo sguardo mi diceva che la sua età era nettamente inferiore al suo aspetto. Era lui. Aveva parlato di sé stesso in terza persona ma era indubbiamente lui. Davanti alla mia espressione sbigottita proseguì il suo racconto: “ora non posso più muovermi come facevo prima e cerco di agire solamente quando è assolutamente necessario, come nel caso dell’attentato alle Torri Gemelle di New York, su Pentagono e Casa Bianca” 

“Quale attentato?” risposi io senza pensarci. 

“Appunto, non ne hai mai sentito parlare perché non sono mai successi. Quell’operazione mi costò un’enorme fatica perché dovetti tornare indietro di ben due ore, uno sforzo titanico”. 

“Ma perché lo stai raccontando proprio a me, Andrea?” gli chiesi con un misto di timore e incredulità. 

“Ogni tanto mi capita di volermi sfogare con qualcuno, presto morirò di vecchiaia e non è facile tenermi dentro questo peso. Tanto alla fine della nostra conversazione tornerò indietro e non ti ricorderai di nulla. Anzi, è meglio che adesso vada. I dieci minuti stanno per scadere.” 

Il bancone era di nuovo lucido e pulito dopo l’ora di pranzo. L’orologio sopra il juke box segnava le 15.33. Era il momento di rilassarmi dopo la ressa del pranzo e prima degli avventori serali. L’aveva fatto di nuovo, era tornato indietro ed aveva cancellato la memoria degli ultimi dieci minuti. 

Ma io ricordo tutto perché sono immune agli effetti dei suoi poteri. Non ho mai avuto il coraggio di fare quello che ha fatto lui. Usare i suoi poteri che sono anche i miei, ma l’ho sempre ammirato di nascosto.

Beppe Carta



Non un supereoe ma un trio di supereroine, pronte a rendere il mondo un posto migliore. 
Lasciamo a loro stesse il compito di presentarsi. 

Mi chiamo Cyntha Asy. 
Grammatika, per la stampa che racconta al mondo le mie imprese. 
Correggo gli errori grammaticali altrui e salvo ogni giorno il mondo dalle abbreviazioni da social. 
Date le mie caratteristiche lavoro ovunque, online e offline. Ultimamente, soprattutto, online. Sempre avvolta dal mio costume rosso, "rosso errore gravissimo".
Il mio più grande nemico è Scorrecto, il correttore automatico che si finge tuo amico ma stravolge olli tui trase. Maledetto è nuovamente all'opera! 

SuperFashion, nata Viky Tim. 
Combatto cattivo gusto e sandali con i calzini. Mi potete riconoscere dal fascinator rubato a Kate Middleton.
La mia è una dura lotta che si svolge soprattutto nei luoghi del globo dove la gente si veste al buio: in particolare Germania, Leeds e le zone rurali del Missouri. 
Ogni giorno una sfida diversa contro il mio più acerrimo nemico, quella piaga ama farsi chiamare Leg Bed, ma io lo so che non è altri che Gamba Letto, il più orribile degli orrori. 

Sono @Cinika. Non ho altri nomi perché non mi servono. 
Passo le mie giornate avvolta da pelle nera, borchie e piume di corvo pessimismo.
Combatto smancerie, buongiornissimi caffè e lacrime versate sui vip passati a miglior vita, di cui non ve n'era fregato niente fino a 5 minuti prima. Vi abbatterò tutti, non avrò pietà dei vostri RIP e dei vostri profili di coppia! 
Io non ho aiutanti e neanche nemesi, non mi servono! Capito, patetici esserini il cui diritto di voto è una piaga sociale?

Dicevo non un supereoe ma tre supereroine, pronte a rendere il mondo un posto migliore o quantomeno a rendere tutti infelici nel tentativo di farlo. 
Non potete ignorarle, non potete che amarle! 

Jane Pancrazia Cole

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