Non ho mai partecipato a nessun Blog Candy.
Questi concorsi non mi attraggono molto.
Perché? E' semplice: di solito la dea fortuna non mi bacia, tutt'al più mi schifa.
A Natale inizio la serata che sembro Paperon de Paperoni con le ghette, la tuba e tutte le monetine del deposito e finisco squattrinata peggio di Paperino.
E mica giochiamo a poker! Ma io riesco ad indebitarmi pure con la tombola.
E agli esami? Avete presente quella compagna "Che fortuna! Mi hanno chiesto l'unico argomento che avevo studiato"? Ecco, appunto, quella stron#a!
Io ovviamente non sono lei, ma quella che viene dopo, quella "Ma noooo, mi hanno chiesto l'unica cosa che non sapevo!"
Non ho mai trovato più di 5 centesimi per strada ma in compenso mi è capitato spesso di trovare simpatici regalini e di spiaccicarci sopra il piedino, magari calzato in scarpe con meravigliose suole a carrarmato. Con risultati che non stò neanche a descrivervi.
Non ho mai vinto niente in vita mia. Maiiii.
Anzi no, una volta con la lotteria di quartiere ho vinto un mega uovo di cioccolato fodente. Ma il biglietto, anche se era a nome mio, l'aveva scelto SorellaCole che, invece, diciamolo: ha più culo che anima! (
con affetto eh, sorellina!)
Lei ed il suo degno consorte sono riusciti a vincere pure alla macchinetta delle sigarette: invece del resto gli è venuto giù un jackpot che neanche una slot machine a Monte Carlo. E meno male che il fumo fa male!
Ma magari questa volta ci penserà la "mia" adorata
Lupina a portarmi fortuna,
echilosa!
Giuro che se dovessi vincere la maglietta, la indosso, mi faccio la foto e la pubblico sul blog.
Lo giuro!!!
Un uomo distinto.
Un bastone ad agevolarne il passo.
I capelli pettinati all'indietro e lo sguardo fiero.
"Buongiorno. Posso dare il mio contributo o sono fuori tempo massimo?"
Ieri un Novantadueenne è venuto a chiederci se poteva donare il sangue.
Novantadue anni.
Novantadue anni compiuti.
Ovviamente no, un novantadueenne non può donare il sangue.
Lo vieta la legge, la medicina ed anche il buon senso.
Ma incontrare un uomo così è stato un onore.
Quando l'ultimo rappresentante della generazione dei nostri nonni se ne sarà andato, quando non resterà più nessuno di quelli che hanno vissuto la guerra, conosciuto la dignità della rinuncia e lavorato la terra con le mani, questa nostra società sarà ancora più povera e smarrita di quanto già non sia.
Alcuni libri vanno assaggiati,
altri divorati e alcuni, rari,
masticati e digeriti.
Francis Bacon.
Ero entrata in libreria solo per dare una rapida occhiata, ripromettendomi di tenere il portafogli ermeticamente chiuso.
I miei buoni propositi sono andati a farsi benedire nel momento in cui ho visto Lui.
Lui, che qualcuno aveva gettato distrattamente su un tavolo.
Lui, che sembrava stesse lì ad aspettarmi.
Lui, il cui titolo mi occhieggiava malandrino e seducente dalla copertina.
Lui, "I berlinesi" di Sven Regener.
Come avrei potuto resistere ad un richiamo tanto sfacciato?
Come avrei potuto ignorare le insistenti sirene crucche?
Come avrei potuto non cadere vittima dell'Erasmus Nostalgia?
Ed infatti non ho resistito, non ho ignorato e ci sono caduta con tutte le scarpe.
Un libro ambientato nella Berlino degli anni '80: quella del muro, delle case occupate, dei punk e degli artisti. Una realtà folle ed irresistibile che viene descritta attraverso gli occhi di Frank, giovane in cerca del fratello maggiore ma soprattutto di se stesso. Un percoso compiuto tra fiumi di birra, personaggi sopra le righe e dialoghi assurdi. Un viaggio che, nonostante il finale sotto tono, vi consiglio di intraprendere.
Un libro per chi ama Berlino.
Un libro dove si può cogliere il clima sociale e culturale che, a distanza di molti anni e dopo lo stravolgimento politico, ancora caratterizza la città.
Un libro lieve, divertito e divertente.
Un libro libidinoso come una colazione
da
Berio (*) (**).
Un libro fresco come una birra al
Pratergarten (*).
Un libro che ti sazia come una cena al
Faustus (*) di Kudamm.
"I berlinesi" di Sven Regener, edizioni Elliot.
(*) Qualcuno di voi è in partenza per Berlino? Questi sono tutti locali provati ed approvati da me. Prendete nota e poi fatemi sapere.
(**) Vi consiglio di ordinare una "Toronto", a mio insindacabile giudizio, la colazione più buona del mondo.
Il maiale trasportava la sua libidine attraverso il cielo d'agosto.
Il bambino lo osservava da terra, rapito dal volo del grasso suino.
Solo lui poteva vederlo. Solo i neonati vedono i beati che salgono in paradiso o i dannati che precipitano all'inferno.
Lucio, il porco volante, non era sempre stato un maiale, ma in un tempo non troppo lontano era stato un angelo. Un meraviglioso angelo con tutte le cosine al posto giusto: i riccioli biondi, le guance paffute, il camicione bianco ed un'apertura alare da fare invidia ad un'aquila.
Per molti secoli aveva orgogliosamente occupato uno dei posti di prestigio nel coro delle voci bianche di Santa Cecilia. Tutti lo amavano e ne ammiravano le doti canore, fino a quando una mattina accadde l'inspiegabile: Lucio, che era andato a dormire con una vocina celestiale, si svegliò con un vocione da scaricatore di porto, degno di San Pietro dopo tre pacchetti di Stop senza filtro.
Santa Cecilia, che lo conosceva da quando era un puttino piccolo piccolo e gli era tanto affezionata, lo tenne comunque nel coro ma con l'ordine tassativo di non cantare, ma muovere le labbra senza emettere un suono.
Lucio era ogni giorno più triste, si sentiva diverso da tutti i suoi amici, il suo vocione sgraziato lo imbarazzava e poi sentiva crescere dentro di sé una fame pazzesca che lo tormentava.
Lui cercava di saziare le proprie voglie a suon di merendine: celestiali crostatine al cioccolato, paradisiache ciambelle ricoperte di zucchero e canditi, divini bomboloni alla crema, babeliche montagne di profitterol e, durante le feste comandate, morbidi panettoni farciti e burrosi colesterolici pandori.
Gli altri cantavano e lui mangiava, gli altri provavano le scale e lui faceva i fanghi nella crema pasticcera, gli altri si esercitavano fino a raggiungere la perfezione e lui s'ingozzava fino ad una bella indigestione.
Lucio mangiava ma non era mai sazio.
Il Grande Capo, che tutto sa e tutto vede, per dare un freno all'ingordo cherubino, riportarlo sulla retta via e abbassargli i trigliceridi, lo mise a dieta con la minaccia che ad ogni dolce ingoiato l'avrebbe duramente punito. E così ebbe inizio la metamorfosi.
Cassata siciliana? Via i boccoli biondi. Sachertorte? Due belle orecchie a punta. Zuppa inglese? Un enorme naso grufolante. Cartellate pugliesi? Una codona a turacciolo. Creme caramel? Quattro piedi porcini.
In poco tempo il povero Lucio si trovò trasformato in un grosso maiale e, abbandonato definitivamente il coro, prese a vagare triste e solitario: "Perché? Perché sono diverso dagli altri? Cos'è questo languore che sento dentro e che nulla riesce a saziare?", si chiedeva sospirando.
Ma un giorno, tra un lamento e l'altro, lo sventurato s'imbattè in Santa Eustacchia da Cinisello Balsamo, tre volte vincitrice del concorso miss Settimo Cielo, "Buongiorno mio sfortunato amico. Ho sentito del tuo crudele destino. Posso fare qualcosa per rendere lieve la tua esistenza?" gli disse lei, che oltre ad essere bella era anche buona e gentile.
"Sorbole, che bocce!" rispose lui ingrifato come un riccio in amore.
E così finalmente si svelò l'arcano: quello di Lucio era un gravissimo caso di frustrazione sessuale da pubertà isterica. Egli, in quanto angelo e quindi asessuato, era privo di tutta la strumentazione necessaria per l'accoppiamento ma, per un rarissimo difetto di fabbricazione, provava comunque le pulsioni terrene tipiche di un adolescente. Anzi di un branco di adolescenti.
Lucio sublimava la mancanza di sesso con l'abbondanza di cibo.
Un angelo obeso ed ingordo era ancora accettabile, ma un maiale che cercava d'infilare il proprio nasone tra le tette di Eustacchia no! E così il Grande Capo lo condannò alla dannazione eterna, lo spogliò delle angeliche ali, gli regalò un forcone, e con un divino calcione nel sedere lo spinse giù verso l'inferno.
Lucio, dopo una perfetta parabola compiuta sopra Posillipo, ebbe giusto il tempo di urlare all'inconsapevole folla napoletana: "Una sfogliatella, lanciatemi una sfogliatella!", per poi venir inghiottito dal Vesuvio e schiantarsi davanti alle infernali porte.
"Lasciate ogni speranza, voi ch'entrate!", recitava un cartello.
"Cazzo! Cominciamo bene", esclamò il porco, che si stava velocemente adattando al nuovo ambiente.
Al cancello gli venne incontro un gran bel pezzo di diavolessa: un metro e ottanta di femmina, avvolta in una tuta di pelle nera, con lunghi capelli rossi, occhi da gatta, labbra a canotto ed una coda che schioccava come una frusta.
Fu amore a prima vista.
"Prendimi, mangiami, rivoltami come un calzino, insaccami come un cacciatorino, sprimacciami come un cuscino: voglio essere tuo per sempre!", la supplicò Lucio, che dopo tutti questi anni di sofferenze non era certo propenso ad un lungo corteggiamento.
Lei lo guardò, capì di aver trovato finalmente la sua metà della mela, e sorridendo gli disse: "Accomodati amore mio."
Ora Lucio è un diavolo felice: ha tanti nuovi amici, un posto fisso come capo reparto nel girone dei golosi ed una fidanzata con cui saziare tutti gli appetiti.
ps: un doveroso grazie al Prof, autore dell'illuminata ed illuminante frase "Il maiale trasportava la sua libidine".
I miei DiarioRacconti originano tutti da una storia vera. Delle volte preferisco rimanere estremamente fedele all'originale, come nel caso dell'Erasmus, altre volte mi sbizzarrisco, mettendoci molto del mio ed utilizzando la vicenda reale solo come fonte d'ispirazione.
Una decina di anni fa la mia amica Sissi mi disse più o meno così:
"La prima moglie di mio nonno morì giovane lasciando dei figli piccoli. Così mia nonna, sua sorella, sposò mio nonno per crescere i bambini. Da questo secondo matrimonio è nato il mio babbo."
Qualche mese fa, improvvisamente, mi è tornata alla memoria questa incredibile storia di vita vissuta ed ho deciso che una vicenda così meritava di essere narrata. All'inizio il racconto doveva essere molto più breve, com'è nel mio stile, ma Adelina è un personaggio volitivo ed ingombrante e così con il passare delle settimane si è guadagnato molto spazio nei miei pensieri e molto tempo davanti al pc.
La trama dunque era già scritta tutta in quelle tre righe ed io mi sono divertita a giocare con l'ambientazione, le suggestioni, la personalità dei protagonisti e le sottotrame. Ossia con tutto ciò che avete trovato nel mio racconto e che non è presente in quelle poche righe.
E' stata proprio una bella avventura.
Grazie a tutti voi per aver dedicato così tanta attenzione e trasporto alla "mia"
Adelina.
Martedì 22 giugno 2010.
Una famiglia qualsiasi in una casa qualsiasi a Pomigliano.
Il padre, la madre e il figlioletto seduti a tavola davanti a tre piatti fumanti.
"Papà, ma dobbiamo proprio?"
"Si, tesoro, dobbiamo. Non abbiamo altra scelta."
"Ma mi fa schifo."
"Lo so, ma se la mangiamo in fretta, trattenendo il respiro, non sentiremo il sapore e riusciremo a mandarla giù tutta!"
"Ma, papà, dobbiamo fare anche la scarpetta?"
"E no, la scarpetta no!
Ci possono costringere a mangiare la merda, ma non a farcela piacere"